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ROMA
R/Home Tour. Di chi è la città?
Una sentenza per l’occupazione di Metropoliz condanna lo stato a un risarcimento milionario. Così come a rischio sono altre occupazioni. Ordine pubblico o proprietà privata? La lotta per la casa esprime esigenze che la politica ignora. È necessario riflettere, parlare, mobilitarsi: attraversare Roma passando per gli spazi degli ultimi, aiuta a capire. Qui una riflessione sulla vicenda giudiziaria e la cronaca di una passeggiata insolita.
C’è un’occupazione abitativa all’interno di un’ex fabbrica romana acquisita da una grossa società immobiliare. C’è una denuncia della proprietà. C’è una sentenza del tribunale. Le voci a bilancio in questa storia sono “abusivi”, “pericolosità sociale”, “mancato sgombero”, “proprietà privata”, “mancati guadagni”.
Gli abusivi sono poveri che vengono da dieci paesi del mondo, Italia compresa. Il proprietario è lo stesso di una multinazionale leader mondiale delle grandi opere, già interessata alla costruzione del Ponte sullo Stretto di Messina.
Il computo totale di questa vicenda è di 27,9 milioni di euro di risarcimento a favore della proprietà e a carico dello stato.
L’ex fabbrica Fiorucci, sulla via Prenestina al 913, dal 2009 si chiama Metropoliz Città Meticcia e al suo interno dal 2012 esiste il MAAM, un museo di arte contemporanea.
Il MAAM è un esperimento socio culturale riuscito, unico al mondo. È famoso e importate tanto da assorbire spesso l’occupazione al suo interno, almeno nell’immaginario di molti. Dopo la sentenza del tribunale, qualche titolo avventato recitava appunto “MAAM abusivo”. Un titolo più adatto alle furie pro-decoro di Artribune, a cui “Roma fa schifo” tanto da disprezzare con un certo rispettabile metodo e puntualità il miracolo di un’opera d’arte collettiva, nata dalle macerie, e l’intuizione del suo creatore, Giorgio de Finis.
In realtà l’obiettivo della sentenza non è il museo, se non in seconda battuta, ma l’occupazione in quanto tale, e con essa, di riflesso, l’intero movimento di lotta per la casa. La sentenza è importante e significativa, soprattutto perché è stata preceduta da un’altra condanna: altro stabile, altri protagonisti. Si tratta dell’occupazione di via del Caravaggio, cominciata nel 2013. Per questa, il Comune di Roma, il ministero dell’Interno e la Regione Lazio dovrebbero versare 200 milioni al proprietario dell’immobile.
I 19mila metri quadrati dell’ex fabbrica Fiorucci vengono acquistati da Salini nel 2003 per 6,85 milioni di euro. Sul terreno doveva sorgere un maxicondomino, per realizzare il quale era però necessaria una variante al piano regolatore che arriva solo il 20 marzo 2013, data in cui sarebbero potuti cominciare i lavori.
L’ex fabbrica intanto viene occupata nel marzo del 2009.
Le domande che questa vicenda stimola sono molte, e sulle stesse sarà il caso di tornare in futuro. Quali sono per esempio i criteri che hanno permesso di quantificare una tale esorbitante somma? E quali contraddizioni esprime la condanna di un giudice nei confronti di un mancato sgombero, presumibilmente evitato per questioni di ordine pubblico e sociale, e a tutto vantaggio di un interesse privato?
Il magistrato naturalmente non ha dubbi se afferma, come riportato da molte testate, che l’occupazione abusiva danneggia non solo il privato, ma anche il tessuto sociale. Secondo questa lettura, l’occupazione altera la normale e ordinata convivenza tra cittadini con la propria equivoca valenza eversiva. Metropoliz e il MAAM avrebbero dunque portato nel quartiere di Tor Sapienza un’esiziale ventata rivoluzionaria, abilmente mascherata. A travisare le intenzioni del progetto contro l’ordine costituito concorrono infatti: la convivenza pacifica, per quanto non semplice, di duecento persone, di cui sessanta minori; l’esposizione di oltre cinquecento opere d’arte, che generano un micro turismo quantificabile, per difetto, a diecimila visitatori l’anno. Va rilevato inoltre che tra i minori occupanti il tasso di alfabetizzazione è del cento per cento. Mentre per molti di loro, negli anni precedenti la vita dentro Metropoliz, la frequentazione scolastica era impedita proprio da instabili condizioni sociali e abitative.
La sentenza non si ferma qui. Se Metropoliz è un problema di ordine pubblico, l’insieme delle occupazioni romane dimostra come l’azione preventiva e repressiva delle autorità sia totalmente inadeguata. La sentenza diventa un atto di accusa per lo stato che non controlla abbastanza, né reprime. Eppure qualche anno fa, la cassazione aveva sancito che un grave stato di indigenza giustifica l’occupazione.
Al centro di quella sentenza c’era il riconoscimento della casa come diritto fondamentale. Il giudice non intendeva all’epoca suggerire l’abolizione della proprietà privata, ma sottolineava un altro concetto che oggi sembra essere pericolosamente dimenticato, il valore sociale dell’iniziativa e della proprietà privata. Al contrario la sentenza che condanna lo stato al maxi-risarcimento sembra ignorare che a Roma l’ingente numero di occupazioni abitative è proporzionale alla carenza di soluzioni amministrative per il “problema casa”.
La capitale d’Italia risulta essere una città nella quale aumentano le disponibilità abitative, ma al contempo cresce anche il numero di coloro che non possono permettersene una.
Una veloce panoramica di dati descrive questa situazione: ci sono 7000 sfratti l’anno e quasi otto famiglie al giorno perdono casa. L’emergenza abitativa capitolina interessa oltre 10.000 persone, mentre gli appartamenti sfitti sono circa 200.000. Questo rende l’affermazione “troppe case senza gente, troppa gente senza casa” non più solo un banner politico, ma il possibile e valido titolo di una indagine sull’abitare a Roma.
I dati qui indicati sono forniti dall’Unione Inquilini e sono facilmente reperibili online. Sono proprio questi numeri che rendono la sentenza ancor più sorprendente.
A questo punto è lecito provare a ribaltare le questioni: chi è che sta minando l’ordine pubblico? Chi rivendica attraverso le loro azioni, la rinascita di un’adeguata edilizia popolare? O la speculazione edilizia condotta anche attraverso la manchevole attività politica, non più in grado di elaborare processi favorevoli al vivere comune, ma sempre più schiacciata da interessi privati? Perché il numero degli alloggi cresce insieme a quello dei soggetti in emergenza abitativa? Perché in Italia l’attenzione all’edilizia popolare è praticamente scomparsa? Gioca un ruolo l’ossessione tutta nostrana per la casa di proprietà.
La realtà è complessa e in molti casi amara. Sembra però inopportuno, approssimativo e pericoloso individuare nei movimenti di lotta per la casa il problema, e non il tentativo di proporre soluzioni all’assenza di adeguate iniziative pubbliche.
L’idea di città che si sta imponendo e sviluppando deve essere oggetto di un sostanzioso dibattito politico. Affinché il “corpo” di Roma non venga offerto ora alle contingenti necessità del turista, ora all’ingordigia dei costruttori. Tra questi due soggetti rimane schiacciata una visione di cittadinanza e vivere comune, che spesso proprio tra le mura delle occupazioni riscopre una propria necessaria vitalità.
Proprio con l’intenzione di conoscere e valorizzare quanto accade all’interno degli edifici occupati, domenica 8 luglio, si è svolto un singolare tour cittadino chiamato R/Home. Qui di seguito vi raccontiamo come è andata.
R/home Tour. Cronaca di una passeggiata insolita
Decine di pullman sono già in giro per Roma. Scaricano turisti accaldati davanti ai monumenti, li aspettano con i motori e l’aria condizionata accesi, per caricarli di nuovo e portarli velocemente verso un’altra meta del turismo feroce del nostro tempo. È domenica mattina, sono appena le nove.
Di fronte al Teatro di Marcello si raduna un gruppetto di persone. Sono attivisti dei movimenti di lotta per la casa, giornalisti, docenti universitari, artisti, fotografi invitati a partecipare ad uno strano convegno itinerante in città. Anche loro salgono, insieme al vicesindaco Luca Bergamo, su due pullman, ma l’itinerario previsto è molto diverso.
R/home Tour è stato organizzato dai Blocchi precari metropolitani e dal Coordinamento cittadino di lotta per la casa. Un esperimento per discutere dei problemi di Roma e dei suoi abitanti, mentre si incontrano esperienze che Roma hanno provato a trasformare.
Lungo il tragitto verso la prima sosta prevista, Massimo Pasquini dell’Unione Inquilini elenca numeri che mettono paura. Sono stati 7000 gli sfratti a Roma nel 2016, di questi 3200 eseguiti con il ricorso alla forza pubblica. Il 90% è per morosità.
In graduatoria, in attesa di un alloggio popolare, ci sono 12500 persone al 31 dicembre 2016, 1300 vivono nei residence, 2800 hanno diritto all’assistenza alloggiativa. Gli studenti fuori sede che abitano a Roma sono 85.000. Numeri che non comprendono tutti quelli che vivono in alloggi di fortuna, in campi informali, lungo gli argini del fiume.
Mentre ascoltiamo questo bollettino drammatico attraversiamo il quartiere Ostiense. Nato come quartiere operaio, lontano e separato dalla città residenziale, di Roma divenuta Capitale del Regno. Qui erano localizzate le attività industriali legate ai pubblici servizi: il mattatoio, i mercati generali, i mulini, la centrale del gas, i depositi militari, alcune piccole attività artigianali. Oggi il quartiere è in piena trasformazione, sotto la spinta di interessi speculativi. La presenza dell’Università Roma 3 ha portato all’incremento dei prezzi delle case e all’apertura di numerosi fast food. Un quartiere stravolto da nuove residenze di lusso, movida notturna, ristoranti gourmet.
Un edificio imponente rivestito dalla pelle disegnata da Blu (uno dei dieci migliori artisti al mondo, secondo il “Guardian”) è la nostra prima destinazione. Siamo in via del Porto Fluviale di fronte al murales che ha richiesto, per essere completato, due anni di intenso lavoro, durante i quali l’artista è vissuto qui. Un arcobaleno di volti ed espressioni ci accoglie. Sono quelli coloratissimi che si estendono sui tre piani dell’edificio, le cui finestre sono gli occhi sulla città.
Sono anche quelli degli abitanti, provenienti da paesi lontani, che ci aspettano nel vasto cortile. Arte sinergica l’ha definita l’antropologo Roberto De Angelis: l’artista prende linfa dagli abitanti e loro crescono protetti dalla pelle disegnata da Blu.
Ci troviamo in un ex deposito dell’aeronautica militare, 46 mila metri cubi su mezzo ettaro, occupato dal 2003. Destinato alla vendita per essere valorizzato era rimasto vuoto troppo a lungo. Uno spreco in una città senza case per chi non può pagare prezzi altissimi. Qui oggi vivono 62 famiglie. Gli alloggi sono stati realizzati ai piani superiori, utilizzando materiali leggeri per le tramezzature, tutti hanno un bagno allacciato alla fognatura. La vita collettiva è regolata attraverso assemblee settimanali.
Gli spazi al piano terreno che affacciano sulla corte interna, tutti aperti al quartiere, ospitano una sala da the, una ciclofficina, una sartoria, una cucina comune.
Abbiamo lasciato quel cortile pieno di bambini festosi e tavole imbandite per ospitarci con dolci tipici di ogni paese rappresentato dai suoi abitanti, consapevoli di aver conosciuto una comunità ricca di esperienza e progettualità.
A Roma sono 100 le occupazioni di edifici lasciati a lungo vuoti.
Chiara Cacciotti che lavora con l’Università di Roma ad una mappatura degli spazi autorganizzati, per comprendere la portata e il significato del fenomeno ce lo racconta, mentre risaliti sul pullman ci dirigiamo verso la seconda tappa del Tour.
L’edificio di viale delle Province 196 è dal dicembre 2012 la casa per 140 famiglie.450 persone italiane, africane, sudamericane qui hanno costruito fra mille difficoltà una vita degna. Ci raccontano storie di solidarietà e di conflitto, paura per la precarietà della vita e progetti per il futuro. L’edificio fino al 2002 sede dell’Istituto Nazionale Previdenza Dirigenti d’Aziende Industriali, era rimasto vuoto per dieci anni, in attesa di qualche “valorizzazione”. Non è stato facile ricavare alloggi in questo spazio per uffici con la facciata vetrata.
Saliamo la scala di pregio, disegnata con dettagli sapienti e ci troviamo negli spazi residenziali. Piccole unità, con il servizio sul corridoio. Le tende schermano le vetrate, gli arredi segnalano un abitare laddove era previsto un luogo di lavoro.
Anche qui il piano terreno è utilizzato per attività comuni, una biblioteca è in corso di allestimento. Il suo curatore Rafael, che arriva dal Venezuela, ci racconta dei corsi che vuole organizzare: fotografia, teatro, scrittura, lettura per i giovani abitanti e non solo. Nella grande sala usata per le assemblee e le feste è stata preparata una lunga tavola coperta di pietanze preparate dagli abitanti. Anche qui colori, odori, sapori si fondono.
Ripartiamo. L’ultima cosa che vediamo è la scritta a terra su una grossa croce gialla: Not here – Non qui. È il segno di riconoscimento dei luoghi occupati ideato nel 2014 dall’artista Mauro Cuppone, che oggi fa parte del gruppo degli strani gitanti.
Il nostro torpedone si dirige verso Casal Boccone, un quartiere fra Bufalotta e Talenti. Non riusciamo a vedere altre occupazioni che lambiscono il nostro percorso. Una di queste è a via del Policlinico, dove vivono 44 famiglie, 117 persone, 25 bambini provenienti da dieci paesi diversi. Più volte si è tentato di effettuare uno sgombero, dichiarando lo stabile pericolante. La perizia ha evidenziato che non esiste pericolo, ma solo la necessità di opere di manutenzione.
L’edificio era inserito all’interno di un’operazione di valorizzazione immobiliare (fondo “Patrimonio 1” gestito da Bnp Paribas Real Estate). Nell’ottobre 2011 è stato acquistato per 9,7 milioni (cifra poi ridotta a 8,4 milioni) dalla Cammeo Azzurro srl, attiva nella gestione di case e appartamenti per vacanze. L’obiettivo della società era di affittare lo stabile, previa ristrutturazione.
Percorriamo strade e quartieri, mentre al microfono si alternano voci che raccontano mille volti della città, con i suoi problemi irrisolti, con la povertà che attanaglia la vita di tanti suoi abitanti. Fuori dal finestrino scorrono immagini di quartieri appena costruiti. Case sovrastate da elettrodotti e antenne per la telefonia, circondate da sale gioco gigantesche dai nomi esotici. Quasi impossibile distinguere le zone residenziali da quelle industriali, abbandonate oramai da tempo. Edifici obsoleti, lasciati al loro destino fino a quando non diventeranno utili a produrre valore per la finanza che detta le regole della trasformazione urbana.
A Casal Boccone nel 2012 è stata occupata la Clinica Roma II, una residenza geriatrica con 70 posti, centro Alzheimer, dove lavoravano 60 addetti. Era stata chiusa dal Campidoglio e gli anziani deportati altrove, gli operatori ricollocati e tutti i macchinari distrutti. Per impedire che il servizio fosse smantellato e partisse la prevedibile speculazione immobiliare, ad opera della FIMIT e del gruppo Ligresti, l’immobile è stato occupato. Vivono nello stabile 120 famiglie. Anche qui ci raccontano del lavoro messo in campo per costruire il loro abitare, dell’impegno necessario per tenere unità la comunità composta da persone provenienti da paesi e culture tanto diverse. Il risultato è sotto i nostri occhi, anche qui sulla tavola imbandita, negli occhi di chi ci racconta, nelle voci dei bambini che giocano.
Il confronto con quello che incontreremo per trasferirci verso l’ultima destinazione di questo meraviglioso viaggio è doloroso.
La ex fabbrica della penicillina incombe lugubre su via Tiburtina. Fra rovine, ruderi, lastre di amianto, cemento in via di sgretolamento vivono in condizioni disperate almeno 600 persone. Ce lo racconta un medico che con Medici Senza Frontiere cerca di portare aiuto e solidarietà a chi fra quelle macerie vive. «Sono almeno 10.000 le persone escluse dall’accoglienza, tra richiedenti e titolari di protezione internazionale e umanitaria, con limitato o nessun accesso ai beni essenziali e alle cure mediche» ci dice.
La fabbrica inaugurata nel 1950 alla presenza di Alexander Fleming, scopritore della penicillina, occupava 1300 addetti, fino alla fine degli anni ’90. Poi fu dismessa e si cercò di demolirla per farne un lussuoso hotel. Il progetto si infranse di fronte ai costi per la bonifica e lo smaltimento di rifiuti chimici e amianto, tutt’ora presenti nell’area.
Proprio di fronte alla fabbrica un gruppo di uomini ci viene incontro, sono una rappresentanza dei 120 sudanesi che dal 5 luglio vivono in strada dopo essere stati sfrattati dalla residenza nella quale abitavano in via Scorticabove. Si rivolgono al vice sindaco, chiedono che sia trovata una soluzione.
Siamo arrivati alla fine del nostro viaggio: via Prenestina 913. Eccoci anche qui in una fabbrica che per anni ha prodotto salumi occupata nel 2009. Nell’ex salumificio Fiorucci non troviamo ruderi o macerie, ma opere d’arte. Siamo nel Museo dell’Altro e dell’Altrove di Metropoliz.
Qui abitano anche 200 persone. Il progetto Metropoliz è riuscito a rigenerare questo spazio industriale attraverso la costruzione di uno spazio ibrido. L’abitare ha incontrato l’arte e la rigenerazione dello spazio avviene attraverso il confronto, senza alcuna piramide gerarchica.
Attraversiamo gli spazi dove venivano macellati i suini, preparate le carni, realizzati i salumi. Sul muro di fronte l’affresco della Cappella Porcina, un’opera di Pablo Mesa Cappella e Gonzalo Orquín, ricostruisce il percorso dei maiali nella fabbrica al contrario. Si passa dalla morte alla vita. Nella sala adiacente, che ospitava le vasche di raccolta del sangue, le opere di Nicola Alessandrini e Vincenzo Pennacchi richiamano quello che queste pareti hanno effettivamente visto per anni.
È Giorgio de Finis che ha creduto in questa sperimentazione fin dall’inizio. La costruzione del museo è andata di pari passo con la realizzazione delle case, recuperando metro quadro dopo metro quadro lo spazio necessario.
La giornata finisce.
Questo strano convegno itinerante lascia di certo un segno in ognuno di noi. Abbiamo attraversato parti del territorio romano che credevamo di conoscere. Abbiamo visto cosa produce la rigenerazione affidata alla finanza. Abbiamo incontrato edifici abbandonati fatti rivivere dalla capacità di uomini e donne di costruire spazi plurali dove praticare forme di solidarietà urbana e mutualismo sociale. Abbiamo visto quante discariche, anche umane, Roma nasconda fra le sue rovine.
Di tutto questo dobbiamo parlare a lungo.
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PS: per tastare con mano la pericolosità sociale (sic!) degli occupanti di Metropoliz, nonché l’assurda fantasia di realizzare un museo dentro un rudere, che per alcuni è anche un esempio importante di archeologia industriale, il sabato mattina, dalle ore 10.00, le porte della città Meticcia e del museo sono aperte.