ROMA
A Roma si apre una nuova stagione di sgomberi
È stata resa pubblica la lista delle prossime occupazioni da sgomberare. Senza alcuna soluzione abitativa alternativa per le persone in emergenza. Più che per mancanza di risorse, per una precisa volontà politica.
Il Comune e la Prefettura hanno elaborato la lista dei primi immobili da sgomberare, in attuazione della Circolare Minniti del 1 settembre 2017 che stabilisce le modalità con cui debbono essere eseguiti gli sgomberi di occupazioni abitative, previsti dalla legge sulla sicurezza urbana. Sulla base di tali indicazioni il 20 ottobre 2017 il Comitato Metropolitano ha elaborato un protocollo operativo (ottenuto dalle associazioni Alterego-Fabbrica dei Diritti e A buon diritto dopo l’accesso agli atti effettuato dopo i recenti sgomberi in via Vannina) «per superare le criticità che rallentano o impediscono la conclusione delle operazioni di censimento degli occupanti».
Le priorità: via Carlo Felice 69 (San Giovanni), via Cardinal Capranica 37 (Primavalle), via Tiburtina 1040 (ex fabbrica della Penicillina), via dell’Impruneta 51 (Magliana), e poi via Raffaele Costi e via Collatina 385. Questi i primi immobili da sottoporre in via prioritaria a censimento.
Il 22 gennaio 2018 il Comitato Metropolitano ha effettuato una ricognizione degli immobili occupati: 90 stabili occupati (64 con destinazione abitativa e 26 destinati a centri sociali o studentati) di cui 53 di proprietà di enti pubblici e 31 di privati. I criteri di priorità individuati per la calendarizzazione dei censimenti ai fini della successiva programmazione degli sgomberi risultano essere i seguenti: 1. Immobili che presentino precarie condizioni di sicurezza; 2. Immobili per la cui liberazione sia stato promosso giudizio di ottemperanza; 3. Immobili gravati da sequestro preventivo in attesa di esecuzione.
Come denuncia Alterego – Fabbrica dei Diritti, il protocollo non fa alcuna distinzione tra “favelas” e occupazioni abitative definite “arbitrarie”. Ovvero tra insediamenti spontanei, vere e proprie baraccopoli, come l’ex fabbrica della Penicillina, dove abitano in condizioni di degrado assoluto molti dei migranti sgomberati dalle occupazioni di via Vannina (per cui Alterego chiede l’evacuazione, non lo sgombero) e le occupazioni abitative di edifici vuoti, frutto di conquiste del movimento per il diritto all’abitare, che hanno dato vita a esperienze di riappropriazione, riuso e rigenerazione di spazi dismessi.
Il protocollo prevede la ricognizione delle situazioni di «fragilità sociale» per predisporre interventi di presa in carico. Questa disposizione sarebbe stata disattesa nel caso dei violenti sgomberi di via Vannina, classificati dalla Prefettura come «allentamento volontario e identificazione» dei migranti presenti, pur di non prenderli in carico, come previsto dalla Circolare Minniti.
Quella delle “fragilità”, una classificazione ritenuta esistente per il Dipartimento delle Politiche Sociali ma priva di qualsiasi riferimento normativo, «si è rivelata una categoria escludente e inefficace», scrive Alterego. Infatti riguarda un numero limitato di persone a cui viene proposta una soluzione alloggiativa alternativa spesso in zone molto distanti dal lavoro o dalle scuole frequentate dai bambini, che viola il diritto all’unità dei nuclei familiari. «Negli sgomberi che si sono verificati in questi mesi abbiamo avuto modo di constatare come le soluzioni alloggiative alternative offerte a quelle poche persone ritenute “fragili” siano state sempre dei meri centri istituzionali di accoglienza, per un tempo peraltro limitato (6 mesi)», senza l’avvio di alcun percorso di autonomia da parte della Giunta.
Se il Comitato Metropolitano definisce “allarmante” il fenomeno delle occupazioni abitative, è evidente che a essere «allarmante» è proprio la mancanza di alternative per le migliaia di persone che abitano in povertà e disagio nelle occupazioni, anche a causa dell’assenza di politiche abitative e dell’impiego dei fondi disponibili. La «fragilità sociale» riguarda tutti.
La Cabina di Regia istituita dalla Circolare Minniti avrebbe dovuto mappare gli immobili pubblici e privati inutilizzati sul territorio romano, compresi i beni confiscati, da utilizzare ai fini abitativi. A distanza di otto mesi non si è prodotto nulla. Intanto il Comune di Roma ha elaborato un regolamento sui beni confiscati alle mafie che prevede il loro possibile uso a scopo di lucro e l’esclusione dalla loro gestione di soggetti che abbiano occupato immobili di proprietà del Comune, come ha denunciato la Rete dei Numeri Pari in un incontro svoltosi al Campidoglio il 9 maggio.
Il patrimonio immobiliare confiscato è molto vasto:«209 beni, tra appartamenti, terreni, box auto e negozi, già passati nelle proprietà del Comune; 470 immobili di varia natura, tra cui 200 a scopo abitativo attualmente nelle mani dell’Agenzia nazionale dei beni confiscati». Con un delibera del 22 novembre 2017 del Dipartimento Patrimonio, Sviluppo e Valorizzazione ben 14 immobili confiscati alle mafie, di diversa metratura (di cui 5 nel V municipio) sono stati già destinati al Dipartimento Politiche Abitative-Emergenza Abitativa. «Tuttavia, anche qui, a distanza di quasi sette mesi non è dato sapere se tali edifici siano stati effettivamente utilizzati per tale scopo o se sono ancora inutilizzati».
C’è chi intanto una mappatura la sta facendo. Il Laboratorio di Progettazione Architettonica e Urbana del corso di laurea magistrale in Architettura – Progettazione Urbana dell’Università di Roma Tre, sta portando avanti il progetto CIRCO, una mappatura del patrimonio immobiliare romano dismesso: un patrimonio molto vasto che potrebbe essere usato, se ci fosse la volontà politica di farlo, per risolvere la «allarmante» questione abitativa che a Roma rischia di esplodere in una guerra tra poveri, alimentata dalle istituzioni.
Si prevedono infatti ancora nuovi sgomberi in assenza di soluzioni alloggiative alternative, per una questione di volontà politica più che un problema di risorse. Se la strategia istituzionale sembra essere quella di ignorare e cancellare l’esistenza di migliaia di persone in povertà, le associazioni e i movimenti per il diritto all’abitare si sono incontrati ieri per iniziare a costruire un fronte comune contro una nuova stagione di sgomberi.