ROMA
Rivolta transfemminista: risale la marea!
Franca, Brigitte, Fabiola, Nevila, Domenica, Maria, Slobodanka sono alcuni dei 107 nomi della lista di donne e trans*gender ammazzatə quest’anno. I colpevoli hanno nome e cognome, ma il mandante si chiama patriarcato che genera violenza e guerre contro cui la marea transfemminista scenderà in piazza oggi sabato 26 Novembre
Femminicidio, termine una volta categorizzato come militante, da qualche anno inizia a fare capolino e essere riconosciuto anche dalle autorità e dai media, peccato che non sia lo stesso per patriarcato. Allora come è possibile attuare una politica che miri a mettere fine a femminicidi e trans*cidi se non si riconosce neanche la causa principe di questi.
Bell Hooks in “Il femminismo è per tutti” (Edizioni Tamu) scrive: «La violenza patriarcale tra le mura domestiche si fonda sull’idea che è accettabile che un individuo dotato di maggior potere controlli gli altri tramite varie forme di forza coercitiva. Questa definizione allargata di violenza domestica include la violenza maschile contro le donne, la violenza tra persone dello stesso sesso e la violenza degli adulti contro i bambini. L’espressione “violenza patriarcale” è utile perché, a differenza della formula più accettata di “violenza domestica”, ricorda continuamente a chi ascolta che la violenza in famiglia è legata al sessismo e al pensiero sessista, al dominio maschile».
GUERRA, ABORTO E CRISI
Oggi la marea transfemminista che attraverserà le strade di Roma partendo da Piazza della Repubblica alle 14 e tutte le altre piazze italiane si aprirà al grido di «Basta guerre sui nostri corpi: Rivolta transfemminista» per rimarcare che «la violenza patriarcale non può prescindere dall’opposizione alle guerre sui nostri corpi».
La marea transfemminista è decisa a non lasciar prevalere l’idea che le violenze che si perpetuano quotidianamente siano un fenomeno isolato e individuale, ribadendo l’interdipendenza che sussiste tra femminicidi e trans*cidi, accanimento contro l’aborto, guerre nazionali, difesa dei confini e crisi economica, sociale e climatica. Se non si lavora per cambiare le dinamiche di potere nel quale siamo avvolti, è poco credibile che si possa affrontare l’espressione ultima di un problema radicale.
Un problema che è inequivocabilmente evidente sul campo di battaglia della guerra che si sta verificando tra Russia e Ucraina, come su tutti gli altri fronti mondiali Afganistan, Kurdistan, Palestina, Yemen e non solo, dove il conflitto dura da anni e si intensifica seguendo la logica patriarcale del più forte.
Una logica binaria dove sussistono un più forte e un più debole, quindi la prevaricazione di uno stato su un altro, di una soggettività su un’altra e fa sì che l’escalation di violenza nei rapporti, a partire da quelli interpersonali, siano all’ordine del giorno, atrofizzando la violenza, fino ad arrivare a rimanere quasi impassibili davanti al fenomeno delle guerre. Conflitti dove, come scrive NUDM nel comunicato del lancio della manifestazione, «violenze, lutti, stupri, distruzione segnano le vite di chi fugge e di chi resta a seconda dei ruoli imposti e cristallizzati dal binarismo di genere, riducendo le donne a terreno di conquista».
A Mehsa Amini è stata tolta la vita perché degli uomini hanno deciso che non era conforme a una legge che decide sul suo corpo in quanto donna, senza considerare che in quanto donna sia lei a decidere come e quando indossare l’Hijab.
Ma il vento sta cambiando. Questo atto di violenza ha di fatto dato forza alle contestazioni in Iran dove cittadine e cittadini si sono ribellati alla violenza che lo stato esercitava sulle loro vite, un’oppressione che si è manifestata sul corpo di Mehsa, ma che agisce sulla quotidianità di tuttə. In Italia, in Europa e nel mondo in moltə sono scese in piazza negli ultimi mesi per denunciare le scelte politiche ed economiche che le democrazie in cui viviamo stanno portando avanti e per appellarsi alla pace.
Immagine da pagina fb di NUDM
Le guerre ridisegnano le economie e il welfare di un paese, poiché vincere le battaglie diventa lo scopo ultimo delle manovre finanziarie, che portano giovamento a industrie di armi e di materiale bellico cancellando le priorità dell’agenda politica che al momento dovrebbero confluire nelle lotte al cambiamento climatico e nella ricerca di soluzioni alla crisi sociale (aggravata dalla pandemia dalla quale ancora non ci si può dire completamente fuori). In tutta Europa le mobilitazioni contro il caro bolletta, contro le emissioni di Co2 e la disoccupazione battono i piedi con forza, alzano le voci e manifestano pacificamente i problemi ai quali Stati e governi paiono non badare o comunque dare la giusta importanza o ancor peggio reprimere tramite le forze dell’ordine.
Il transfemminismo sarà in piazza ancora una volta per denunciare il patriarcato e le dinamiche che da questo ne derivano, che inevitabilmente ribaltano le priorità delle cittadinə aggravando le crisi ambientali, economiche e sociali. I risultati delle elezioni politiche europee, non ultimo quello italiano che vede Giorgia Meloni come presidente del consiglio, tracciano una linea politica che agisce violenza soprattutto verso i corpi delle soggettività minoritarie, negando l’accesso ai confini nazionali, negando i diritti civili, negando l’aborto.
Nudm nel chiamare la manifestazione scrive: «L’affermazione elettorale della destra antiabortista, razzista e ultraconservatrice porta al governo chi in questi anni nelle amministrazioni regionali e in Parlamento ha negato l’accesso all’aborto chirurgico e farmacologico; la possibilità di autodeterminazione di donne e persone lgbtiaq+, anche nell’ambito dei percorsi di affermazione di genere. Una guerra che nega la violenza omolesbobitransfobica e che si oppone all’educazione alle differenze e sessuale nelle scuole agitando lo spettro di una inesistente “ideologia gender”. A questa linea programmatica da seguito l’istituzione del Ministero per la famiglia, la natalità e le pari opportunità affidato a Eugenia Roccella. L’attacco all’aborto legittima la violenza patriarcale nelle case, nello spazio pubblico, nei posti di lavoro e di formazione, in rete, nei media, riaffermando come principio la subalternità delle donne e delle persone con utero, e con esse delle soggettività non binarie e fuori norma.
È la battaglia identitaria principale della destra autoritaria. L’Italia del governo Meloni non si sottrae a questo schema e si allinea a Polonia e Ungheria, agli Usa di Trump e dei gruppi ultracattolici, ai regimi autoritari, anche nella criminalizzazione di stili di vita e comportamenti ritenuti “devianti”, nell’ambito di una lettura delle giovani generazioni pericolosa e stigmatizzante. Esemplare risulta infatti l’urgenza con cui è stato proposto il decreto anti-rave, utilizzato strumentalmente per limitare spazi di libertà “fuori mercato” e di agibilità politica».
FEMMINICIDI E TRANS*CIDI
Secondo i dati riportati dall’Osservatorio Nazionale Femminicidi, Lesbicidi e Trans*cidi di Non Una di Meno aggiornati al 25 Novembre le morti sono arrivate a 107 persone. Una violenza strutturale contro le donne e le libere soggettività che Non una di meno (Nudm) ha deciso di monitorare creando un portale online dove si occupa di osservare e riportare le morti per mano della violenza patriarcale che ogni anno aumentano.
I casi di violenza patriarcale e omolesbobitrans*fobica riportati da Nudm indicano 95 femminicidi, 4 trans*cidi e 8 suicidi (3 donne e 5 persone trans*), i casi sono avvenuti in 57 province italiane e 88 città diverse dal Nord al Sud del paese.
Le morti più giovani sono di Sasha e Chiara, 15 e 16 anni. Sasha risiedeva a Catania, era un ragazzo transgender, e ciò che l’ha portato al suicidio si sospetta sia l’ennesimo caso di misgendering, ovvero sbagliare volutamente il genere di qualcuno e chiamare una persona con il nome che le era stato assegnato prima della transizione. Chiara è stata ammazzata dal padre, nella stessa notte ha perso la vita anche la madre e il fratello è rimasto gravemente ferito. Alessandro Maja, avrebbe disposto sul tavolo da cucina le armi del delitto prima di andare a dormire e compiuto la violenza durante la notte. Stefania, la moglie, si era rivolta a un avvocato per avviare una pratica di separazione.
Le morti più anziane sono di Alda Pivano, 94 anni soffocata dal marito di anni 95 e Miranda Pomini, 91, uccisa dal figlio. Alda soffriva di una malattia neurodegenerativa, per cui non era più autonoma e non le è stato possibile difendersi, il marito si è suicidato subito dopo aver scelto le sorti sulla vita della donna. Così anche il figlio di Miranda ha scelto per lei, avvolgendole bocca e naso a più giri con del nastro adesivo per poi suicidarsi a sua volta.
La violenza patriarcale non fa distinzione di età o nazionalità. L’Osservatorio di Nudm riporta che l’età media della donna o trans che hanno perso la vita è di 52 anni, inoltre, «nella quasi totalità dei casi, l’assassino era conosciuto dalla persona uccisa. Solo in un caso, l’assassino non aveva alcun legame con la vittima. In 44 casi, l’assassino è stato il partner (marito o convivente). In 12 casi, a compiere il gesto è stato l’ex partner da cui la persona uccisa si era separata o aveva espresso l’intenzione di separarsi. In 16 casi, il colpevole è il figlio. Ci sono poi generi e ex generi, padri, vicini di casa e altri parenti, conoscenti, colleghi e clienti».
Le cause dei decessi sono indice della brutalità e intenzionalità della violenza. Accoltellamento, colpi da arma da fuoco, percosse, soffocamento o strangolamento, ma anche martellate, colpi d’ascia, investimenti con l’auto, bruciate vive, fatte a pezzi, decapitate, affogate.
Inoltre la violenza di genere è al passo con i tempi: digitale e a farne le spese spesso sono lə più giovanə.
Reti nel mondo che denunciano e monitorano Femminicidi
Stop Femizid– Svizzera
About – Uk
Feminicidio.net – Spagna
Stop Feminicide – Belgio
Femicid.net – Russia
LOTTA TRANSFEMMINISTA
La lotta transfemminista ha permesso che si alzassero i riflettori sul problema strutturale della violenza sui nostri corpi di sorellə e in senso lato. Attivismo e realtà indipendenti agiscono quotidianamente producendo nuova conoscenza, informazione, pratiche e denunciando.
Mentre in Italia si formava il governo che vede la portavoce del primo family day del 2007 come ministra per la famiglia, la natalità e le pari opportunità, in Belgio il 25 Ottobre è stata adottata in prima lettura una legge che vuole prevenire la violenza di genere, tutelare le soggettività in pericolo, dotarsi di strumenti adeguati quando questa si verificare e monitorare femminicidi e trans*cidi. Una legge che prevede un rapporto annuale sulle morti per violenza patriarcale, uno studio biennale sui femminicidi che monitori il fenomeno nelle sue caratteristiche e gli strumenti messi in atto per arginare il problema. Infine, un’analisi qualitativa per identificare le carenze governative e elaborare di conseguenza delle raccomandazioni. Inoltre, la legge vuole tutelare chi subisce violenza mettendo a disposizione dei servizi di interpretariato gratuito per chi sporge denuncia, dando la possibilità di essere ascoltate da un membro delle forze dell’ordine formato sulla violenza di genere, e di ricevere informazioni circa le misure di protezione esistenti.
Questa estate la Corte europea dei diritti dell’uomo con sede a Strasburgo ha condannato l’Italia per inadempienza a risarcire Silvia De Giorgi per “trattamenti inumani e degradanti”, che tra il 2015 e il 2019 ha presentato 7 denunce contro l’ex marito, ma è rimasta inascoltata. Anche questa è violenza e non è la prima volta che la penisola riceve una condanna in questi termini.
Nonostante a livello amministrativo il nostro paese pare si allontani sempre più da una politica e da pratiche volte a mettere fine alla violenza patriarcale, esiste un sottobosco di attivismo, associazioni e centri antiviolenza che denunciano gli abusi e che quotidianamente si occupano di tenere alta l’attenzione e fornire supporto e dignità a tuttə le soggettività.
Donne in rete contro la violenza (D.i.Re) ha sviluppato un’indagine qualitativa esplorativa su “La vittimizzazione istituzionale” e durante l’approvazione dell’istituzione di una «commissione parlamentare di inchiesta bicamerale sul femminicidio e ogni forma di violenza di genere» in Senato ha rimarcato come non sia praticabile la proposta dell’intesa Stato-regioni rispetto i requisiti minimi dei Centri per Uomini Autori di Violenza (Cuav) che chiede un contatto diretto tra Cuav e centri antiviolenza violando la stessa Convenzione di Istanbul “sulla prevenzione e la lotta contro la violenza nei confronti delle donne e la violenza domestica”.
Immagine da archivio
Quest’anno il centro antiviolenza romano Lucha y Siesta insieme al sindacato Clap (Camere del lavoro autonomo e precario) ha elaborato un Vademecum “Donne verso l’autonomia”, uno strumento realizzato con la collaborazione di donne che si trovano all’interno di centri antiviolenza e dedicati alle sorelle che stanno seguendo percorsi di fuoriuscita dalla violenza e si stanno reimmettendo nel mondo del lavoro. Un documento al cui interno c’è anche una sezione dedicata al riconoscimento della violenza in ambiente lavorativo.
Molto ampia è la rete di chi ogni giorno mette in atto pratiche per porre fine alla violenza patriarcale e alla logica che questa perpetua: il comitato Vulvodinia e neuropatia del nervo pudendo porta avanti la battaglia sul riconoscimento, lo studio e la formazione professionale dei corpi femminili e delle malattie di questi, molti collettivi studenteschi denunciano le molestie all’interno degli edifici scolastici e chiedono percorsi di educazione alla sessualità, Fem.in cosentine in lotta qualche settimana fa ha occupato il cortile dell’ospedale calabrese per garantire l’aborto libero e sicuro, il Laboratorio femminista ha creato una biblioteca transfemminista nella periferia romana, il collettivo Ombre rosse che si batte contro le violenze verso i sex worker, la rete Trans per Trans (TxT) e il MIT movimento identità Trans che lavora per il riconoscimento dei diritti delle persone transessuali.
Molte altre sono le realtà in tutta la penisola e nel mondo, non ultima Non una di meno che ha lanciato il corteo di oggi, uno dei tanti appuntamenti e delle tante pratiche che la lotta transfemminista mette in campo contro la guerra sui nostri corpi, contro la violenza patriarcale: «sarà una manifestazione senza spezzoni né bandiere, dai due camion organizzati il microfono sarà aperto alla molteplicità delle voci che la compongono. Invitiamo le rappresentanti politiche a rimanere in ascolto e non occupare lo spazio mediatico della manifestazione, diamo indicazione alle strutture partitiche, sindacali e organizzate di rispettare le indicazioni date. Porteremo in piazza la voce di chi non ha più voce e di chi vede la propria voce invisibilizzata, sommersa, ricattabile. Saremo in piazza anche per chi non potrà esserci, per chi vive una condizione di privazione forzata della libertà; per le donne e le soggettività detenute, quelle rinchiuse nei CPR o ‘contenute’ nei reparti e nelle cliniche psichiatriche. Perché nessuna dovrebbe restare sola!».
Nudm rilancia anche l’appuntamento dell’Assemblea nazionale di domani 27 novembre alla facoltà di lettere di Roma 3 per confrontarsi e iniziare a costruire insieme il prossimo appuntamento di convergenza dell’8 marzo.
Immagine di copertina da archivio