ROMA

Risto-Clan. Ondata di sequestri nella ristorazione a Roma

Così la camorra divenuta imprenditrice prepara da mangiare nel centro di Roma e mira a controllare e investire negli immobili di pregio

Angelo Moccia era stato condannato all’ergastolo per una serie di omicidi commessi in una guerra di camorra, nel suo quartiere generale, ad Afragola in provincia di Napoli. La pena era stata poi riformata dalla Corte di Assise di Napoli, in seguito alla decisione di Angelo di rompere con il proprio passato, intraprendendo la strada della dissociazione. Così, dopo quasi venti anni di carcere era uscito, mantenendolo fino a ieri, il controllo su una buona parte dei ristoranti del centro di Roma.

 

Anche su quelli che di recente erano stati già sequestrati agli esponenti della sua stessa “famiglia allargata”, il clan Moccia, appunto; beni che erano stati affidati, a loro volta, dal Tribunale di Roma, ad alcuni imprenditori.

 

A rivelarlo sono le quasi cento pagine del provvedimento di custodia cautelare firmato dalla giudice Rosalba Liso in seguito alle indagini condotte dai carabinieri del comando operativo di Roma guidato dal comandante Michele Roberti e che ha portato di nuovo in carcere, all’alba di ieri, oltre allo stesso Angelo Moccia, tra gli altri: Luigi Moccia, i nipoti Gennaro Moccia e Carmine Antonio Capasso, indagando, inoltre, una sfilza di prestanome e imprenditori insospettabili, come il gestore dell’Hotel Park Aurelia, Guido Gargiulo, albergo del centro di Roma dove sono stati documentati dagli investigatori numerosi incontri tra il capoclan e gli imprenditori.

 

Che ci fosse un tentativo abbastanza riuscito da parte dei Moccia di infiltrarsi nell’economia “legale” della Capitale d’Italia lo si sapeva perlomeno dall’estate del 2012, da quando, cioè, Modestino Pellino, luogotenente del clan, veniva ucciso a Nettuno e si scoprivano così, una serie di interessi economici di Luigi Moccia nel mercato immobiliare della Capitale e nella gestione di una azienda di prodotti caseari, attraverso la quale venivano riforniti moltissimi esercizi commerciali e supermercati.

 

Le stesse indagini fecero emergere lo stretto connubio esistente tra Angelo Moccia, Mauro Esposito e Franco Varsi, quest’ultimo uomo con una lunga esperienza nella gestione di bar e ristoranti nella Capitale e destinatario insieme alla moglie di un sequestro preventivo di beni pari a 9 milioni di euro avvenuto il 26 maggio del 2016. Soldi confiscati in definitiva nel 2018, perché considerati frutto di evasione fiscale e riconducibili ad Angelo Moccia. In questo modo finirono sotto chiave nove società, floride attività commerciali come il ristorante “Al Presidente”, “La Cassandra”, “La Fraschetta”, “Osteria dal Bombolone”.

Nomi che ritornano ancora oggi, come quello di Franco Varsi, latitante dal 1995 al 1999 con l’accusa di traffico di stupefacenti, insieme a Salvatore Zazo, boss di Fuorigrotta, arrestato e tornato in libertà nel 2011 nella sua casa romana di viale dell’Ambaradam, a due passi dalle Terme di Caracalla. E, da lì, come ne hanno dettagliato la vita, in una informativa, i carabinieri di Roma: «Cominciò una repentina scalata imprenditoriale, investendo ingenti capitali, attraverso società a lui riconducibili, in attività commerciali ubicate in zone prestigiose del centro di Roma, ovvero acquistando, in proprio, beni immobili di notevole valore commerciale». E indirizzi che altrettanto ritornano, delle vie più eleganti e prestigiose della Capitale: via del Banco di Santo Spirito, viale della Conciliazione, via di Panico, via di Sant’Agnese in Agone, via di Tor Millina, viale Trastevere, via Vittorio Veneto.

 

A un tiro di schioppo da San Pietro, da piazza Navona, dalla Fontana di Trevi, dai ministeri e dai palazzi della politica, il clan di Angelo Moccia preparava da mangiare. Bistrot, trattorie, ristoranti. Quattordici in totale quelli che sono stati sequestrati all’alba di ieri. “L’Antico Caffè di Marte”, “La Piazzetta del Quirinale”, “Augustea”, tra gli altri. E poi di nuovo “Da Giovanni” “Panico”, “Bombolone”, “La Scuderia”, già sequestrati in passato a Franco Varsi e sottoposti in passato ad amministrazione giudiziaria.

 

È un fatto che quest’ultimo, Franco Varsi fosse, in realtà, il fittizio intestatario quantomeno di parte delle società riconducibili alla famiglia Moccia, come risulta dalla pretesa di Angelo e Luigi Moccia di ottenere la somma di 300mila euro in contanti dalla famiglia Dominici, a fronte del “consenso” dei Moccia a rilevare, tramite la Cooperativa Serena47, la gestione di quattro ristoranti sequestrati e quindi affidati dal tribunale di Roma.

Secondo quanto è stato spiegato ieri dagli inquirenti nella conferenza stampa che si è tenuta in Procura per motivare gli arresti e i sequestri, «tale comportamento, oltre a costituire una chiara espressione della forza intimidatoria del clan e della condizione di assoggettamento che ne deriva, dimostra anche come tale organizzazione riesca a mantenere il dominio sulle attività commerciali, nonostante l’opera repressiva dello Stato». Non solo. Sono gli stessi imprenditori romani insospettabili che fanno affari con i clan a rivelare la loro forza economica. Dice Guido Gargiulo, intercettato con un interlocutore:

 

«Tu lo sai chi è Angelo Moccia? Qua l’hai conosciuto! No? Vedi che c’hanno una organizzazione… che per spaventarmi io che l’ho conosciuto ultimamente… ti dico… spaventosa». E ancora: «spaventosa! Stanno nei Tribunali! Comunque… I ristoranti di Roma sono tutti loro! Tutti! Non riconducibili!».

 

Dalle carte dell’inchiesta della procura di Roma, però, emergono anche altri particolari. Rivelati dallo stesso Gargiulo: «Questi hanno soldi e potere politico inimmaginabile per noi… cioè pure per me che li conosco, inimmaginabile…non è camorra, questi sono a livelli Istituzionali, politici, con i Tribunali». Era ed è un potere non solo, mafioso, dunque, quello dei Moccia, che si estendeva anche all’estero e nella zona del basso Lazio. Soprattutto, un potere economico che portava la “famiglia” a controllare buona parte della ristorazione del centro di Roma, ma che portava, inoltre, Angelo Moccia a interessarsi dell’acquisto di immobili di pregio nel centro di Roma. Di un attico in via Ferrara del valore di mezzo milione di euro, di un altro attico di 200 metri quadri in Viale Archimede, ai Parioli, che interessava il “rampollo” Gennaro.

E di una villa in stile liberty da ristrutturare sull’Aurelia antica, valore anche questo immobile di mezzo milione di euro. E poi ancora attico e super attico in via Attilio Regolo, angolo via Dei Gracchi, per oltre un milione di euro. E poi ancora disponibilità di Mercedes, numerose Ferrari, Range Rover, il controllo di numerose attività economiche nel cuore di Roma. Alla famiglia venuta da Afragola venti anni fa interessa ogni cosa che luccica nella Capitale d’Italia.

 

Immagine di copertina: pxhere