ITALIA
«Riformare l’intero settore»: la lotta di lavoratori e lavoratrici dello spettacolo
La pandemia ha portato alla luce tutti quei buchi e quei disastri che il settore dello spettacolo già sperimentava quotidianamente e che l’emergenza ha soltanto aggravato. Ma lavoratori e lavoratrici hanno saputo autorganizzarsi in una serie di percorsi che hanno già dato vita a numerose lotte e mobilitazioni
Il nuovo Dpcm concernente le urgenti misure anti-Covid, pubblicato in Gazzetta Ufficiale il 25 ottobre, ha ristretto ancor di più le attività economico-sociali che provocano naturali assembramenti di persone: il Governo ha così imposto la chiusura di teatri, cinema e sale-concerti. Tale decisione va a colpire un settore già duramente messo in crisi dal primo lockdown. Il mondo dei lavoratori e delle lavoratrici dello spettacolo e della cultura è infatti rimasto fermo per oltre tre mesi: un periodo nel quale sono emerse con prepotenza difficoltà che erano già insiste nell’ambiente e che hanno spinto numerose realtà associative (assemblee spontanee, coordinamenti di maestranze…) ad avviare una riflessione capace di immaginare soluzioni valide anche per il dopo emergenza.
«Si tratta di un segmento del lavoro che vede tutte le problematiche della precarietà insieme: contratti spezzettati e mai rispettati, lavoro a chiamata, interposizione delle cooperative, occupazioni giornaliere… Inoltre stiamo parlando di un settore quasi interamente non sindacalizzato, decisamente frammentato e storicamente incapace dunque di costruire istanze collettive», ci dice Tiziano Trobia, il responsabile della Camere del Lavoro Autonomo e Precario (Clap) delegato al mondo dello spettacolo.
«Le prima rivendicazioni nascono in coordinamenti territoriali che, a livello nazionale e in maniera interamente autorganizzata, si riuniscono in un’assemblea che si chiama Professionisti e Professioniste dello Spettacolo – Emergenza Continua. Da questa organizzazione sono emerse varie istanze: innanzitutto un lavoro sui contratti collettivi, che attualmente sono troppi e troppo frammentati. Una richiesta quindi è quella di un contratto unico per tutti i lavoratori dello spettacolo dal vivo. Poi chiaramente è emersa anche la richiesta della continuità di reddito: la pandemia è stata la proverbiale goccia che fa traboccare il vaso e ha dimostrato l’insufficienza dei sistemi di welfare già esistenti».
«Queste sono le prime e principali necessità rilevate, ma adesso si sommano al fatto che la pandemia sta nuovamente avanzando: c’è il rischio che fino al prossimo anno si debba restare a casa senza lavoro. Già la tanto annunciata ripartenza di giugno è stata in realtà una falsa ripartenza», prosegue Trobia: «Hanno riaperto in pochi e chi lo ha fatto ha spesso offerto condizioni lavorative al ribasso. Si è un po’ incominciato a ragionare su come comportarsi e, dopo alcune partecipatissime mobilitazioni a maggio a Roma e in tutta Italia, l’assemblea nazionale ha deciso di dotarsi di uno strumento intersindacale, e come Clap abbiamo partecipato e contribuito alla costruzione della Rete InterSindacale Professionist* Spettacolo e Cultura (Risp). Insieme a noi Adl Cobas e Si Cobas, ma pian piano si stanno aggiungendo e si vogliono aggiungere anche altre realtà sindacali: perché questa rete è aperta a tutti coloro che ne accettano le modalità di discussione e di decisione, tutte in capo alle assemblee territoriali e al coordinamento nazionale».
L’assemblea Autorganizzati Spettacolo Roma (Asr) è una delle tante sigle, nate in assoluta spontaneità durante il lockdown primaverile. «Siamo le lavoratrici e i lavoratori dello spettacolo di Roma. Siamo tecnici, impiegati e artisti, siamo scenografi, musicisti e attori, siamo drammaturghi, maschere, facchini, siamo i lavoratori dei teatri, dei service, delle compagnie», si legge sulla loro pagina Facebook.
«Siamo stati tra i primi a perdere il lavoro in conseguenza della crisi sanitaria e ora insieme a centinaia di migliaia di precari ci troviamo senza stipendio». Anche Asr sviluppa un discorso che va oltre la dimensione emergenziale causata dalla pandemia. Ci spiegano: «Innanzitutto c’è bisogno di un’assoluta riforma del settore: a partire dalla riduzione di tutta la burocrazia che sta dietro al mondo dello spettacolo. Per noi semplificazione però non vuol dire andare in deroga alle regole, ma regole più semplici e facilmente rispettabili da tutti, anche dai soggetti più piccoli, siano essi produttori, aziende o agenzie».
Il discorso del Ministro Franceschini:
La risposta degli Autorganizzati dello Spettacolo di Roma:
«Spesso si lavora con contratti che non appartengono alla categoria dello spettacolo: ci sono tantissimi colleghi che stanno su un palcoscenico come metalmeccanici», ci illustra un componente di Asr, elettricista di scena presso il Teatro del Lido di Ostia, aderente alla Rete dei Teatri Pubblici di Roma: «Io sono uno dei pochi fortunati, avendo un contratto stagionale sono riuscito ad accedere all’ammortizzatore sociale previsto per i lavoratori dello spettacolo. Però i primi bonus non prendevano neanche in considerazione le lavoratrici e i lavoratori dello spettacolo: tutti costoro venivano lasciati completamente fuori dalla logica del sussidio e anche fuori dagli strumenti ordinari. Fino a maggio la categoria è stata totalmente privata della possibilità di accedere al bonus. Poi, grazie anche alle pressioni del movimento che si è andato a creare sulla base di necessità evidenti, si è riusciti ad avere uno strumento che era studiato sulle necessità dei lavoratori intermittenti, cosa che fino a quel momento era stata completamente ignorata dal governo».
Secondo i dati Istat, nel 2019 erano oltre trecentomila i lavoratori del mondo dello spettacolo e della cultura. «Circa l’80% di questi sono lavoratori intermittenti: o hanno contratti di brevissima durata, a tempo determinato (un giorno, una settimana o, se va bene, un mese), oppure un contratto di tipo subordinato, per cui sono sempre in forza all’interno di una cooperativa o azienda, ma poi effettivamente lavorano solamente nei giorni in cui hanno una chiamata attiva», fa notare Asr.
«Per costoro, oltre a una precarietà strutturale, tipica di questo lavoro, a causa dell’emergenza sanitaria è scomparsa completamente ogni fonte di reddito. Si potrebbe prendere spunto dal sistema dell’intermittenza francese al fine di garantire giornate contributive e diarie, così da costruire appunto una contribuzione che accompagni il lavoratore fino alla pensione, altrimenti non rischia di non arrivarci mai. Ma è necessario uno strumento che comunque garantisca una copertura quando il lavoro si ferma. Noi vorremmo ragionare sull’eventualità di un welfare universale o su uno strumento di reddito che intervenga nei momenti di non continuità», confermano da Risp.
La Rete InterSindacale apre le proprie porte a tutte le lavoratrici e a tutti i lavoratori dello spettacolo due volte a settimana: il lunedì dalle 17 alle 19 a San Lorenzo, presso il centro sociale occupato Esc Atelier, mentre il giovedì lo sportello si tiene negli spazi di Acrobax, in Via della Vasca Navale. Proprio ad Acrobax, venerdì 23 ottobre si è tenuta un’assemblea di presentazione del progetto.
«La pandemia ha portato alla luce tutti quei buchi, quei disastri che il settore già sperimentava quotidianamente e che l’emergenza ha soltanto aggravato», ha spiegato Trobia ai presenti: «Risp non ha soltanto tentato di portare avanti delle rivendicazioni e delle mobilitazioni che avessero a che fare con l’urgenza del momento, ma anche di fare un passo in più, immaginando una riforma del mondo dello spettacolo e della cultura». Anche rappresentanti del coordinamento Asr hanno partecipato e dal microfono hanno fatto valere le proprie istanze: «Siamo qui per conquistare nuovi diritti, per provare a immaginare un mondo nuovo del lavoro dello spettacolo e della cultura».
Giulia è invece una delle attiviste di Risp e il suo intervento suona, a posteriori, come una profezia, o semplicemente l’attenta analisi di una situazione ancora ben lontana dalla risoluzione: «La sfida che ci attende è ancora lunga. Qualcuno pensava, o sperava, che la fase emergenziale sarebbe durata qualche mese.
Invece ci apprestiamo a entrare in un clima pesantissimo di picchi emergenziali che non fanno ipotizzare scenari di ripresa o di rilancio. Anzi… Siamo ancora in una fase in cui è necessario un sostegno al reddito, ma non sono state implementate misure di questo tipo. Quelle che sono state improntate, le abbiamo conosciute, e sono state del tutto insufficienti e dire insultanti».
Soltanto pochi giorni dopo infatti, il presidente del consiglio Giuseppe Conte procedeva alla chiusura di cinema, teatri e sale-concerti, condannando così tutto il mondo delle lavoratrici e dei lavoratori dello spettacolo a una nuova fase di preoccupazione e incertezza. «Noi non siamo qui a chiedere al governo un via libera per poter continuare a fare girare una certa economia, che sicuramente fa lavorare delle persone, ma le fa lavorare, per quello che abbiamo visto fin adesso, troppo spesso su una logica di sfruttamento», dichiara il coordinamento Asr, che riconosce la situazione emergenziale e si dice favorevole alla chiusura, pur ritenendo necessario riflettere su strumenti di sostegno che vadano oltre questo periodo.
«Non si tratta di opporsi alla chiusura, ancora una volta però non può bastare un bonus “una tantum” a tutela delle lavoratrici e dei lavoratori dello spettacolo. È arrivato il momento di programmare dei sostegni al reddito che siano differenti e che guardino in prospettiva del futuro e non esclusivamente a questa chiusura. Il decreto così come è stato presentato è dunque assolutamente insufficiente».
Immagine di copertina dalla pagina Facebook di Autorganizzati Spettacolo Roma