ITALIA
Torino, rider in fin di vita. Continua la mobilitazione per Zohaib
Giovedì scorso nel quartiere San Donato Zohaib, 31 anni, è stato investito mentre faceva le consegne. È in fin di vita. Dopo un primo corteo selvaggio di colleghi e amici, la mobilitazione prosegue oggi
Giovedì scorso un rider è stato investito nel quartiere San Donato a Torino. È stato travolto, trascinato per diversi metri e lasciato sull’asfalto assieme alla sua bici. La persona alla guida è poi scappata, abbandonandolo lì. Le condizioni di Zohaib, 31 anni, sono state critiche fin dall’inizio: trasportato subito in ospedale in codice rosso, è tuttora in coma in rianimazione, lottando tra la vita e la morte.
Fin da subito colleghe, colleghi e persone della comunità pakistana sono accorse in ospedale dove hanno trovato, a favore di telecamere, l’Head of Operation Manager di Glovo che, a colloquio coi medici, affermava: «In realtà non dovremmo neanche essere qui, perché lui non è nostro dipendente ma solo un collaboratore».
Il giorno successivo, venerdì, esplode la rabbia rider: un presidio sotto la pioggia diventa rapidamente un corteo solidale che blocca due volte una delle piazze principali di Torino, attraversando il quartiere e soffermandosi a lungo davanti al luogo dell’incidente di Zohaib, proseguendo poi verso il centro città.
Strade affollate per lo shopping natalizio dell’ultimo momento, tante e tanti curiosi affacciati ai balconi a osservare lo scorrere del corteo punteggiato dagli zaini giallo Glovo e azzurro Deliveroo, in molti a chiedere perché chi di solito gli consegna la pizza stesse invece bloccando le strade. Rider che lungo il percorso si fermano, smettono di correre per un attimo, annuiscono. C’è chi già sa, chi ascolta, chi si unisce al corteo. Sono presenti componenti della comunità pakistana a Torino, rider in bici o in sella ai loro motorini, solidali e amici che ricordano come Zohaib lavorasse per aiutare la propria famiglia rimasta in Pakistan.
Zohaib in quel momento lavorava per Glovo, multinazionale del food delivery che vive un momento di forte affermazione in Italia, dove nel 2018 ha acquisito Foodora e dove per il prossimo anno punta a triplicare le città in cui è presente, mentre a livello globale ha appena superato il miliardo di quotazione in borsa. Glovo rastrella quindi capitali da ogni angolo del Pianeta, ma per il momento precisa di volersi concentrare sul vecchio continente, dove assumerà diverse centinaia di persone tra sviluppatori, ingegneri informatici, store manager e addetti a imballaggi e logistica, che lavoreranno nei “dark store” – piccoli magazzini nei quali raccogliere le merci più richiesta per velocizzarne lo consegna – e che si andranno ad aggiungere ai già 1500 dipendenti e ai 50mila rider che effettuano consegne di beni di ogni genere, dal cibo ai farmaci, per oltre 5 milioni di utenti attivi.
Zohaib, come migliaia di suoi colleghi rider, è assunto da Glovo con un contratto di collaborazione occasionale, per quella che collaborazione occasionale non è, ed è pagato a cottimo, senza un’assicurazione e senza che gli vengano forniti i necessari dispositivi di sicurezza, né un mezzo con cui lavorare o la possibilità di manutenerlo. Zohaib deve lavorare con qualsiasi clima, gelo o neve o pioggia che siano, 7 giorni su 7, 18 ore su 24. Se rifiuta un ordine, se non ne prende abbastanza, se si ammala, perde punti e quindi ordini e guadagna meno. Ma di che cifre stiamo parlando? Per cosa rischia la vita Zohaib?
Ogni ordine viene pagato 1,60 euro, più 40 centesimi al km di consegna. Questo vuol dire che, se tutto va bene, correndo come matti per la città, si riescono a portare a casa 5-6 euro l’ora, sperando di non farsi male o non avere un incidente. Zohaib deve correre sempre e sempre di più. Se non corri, se non ti prendi dei rischi, se non rischi la vita, non guadagni. Se ti fai male lavorando sono affari tuoi, non c’è assicurazione, non verrai pagato e ti scenderà il punteggio.
Passato il fine settimana, lunedì mattina, un gruppo di rider si è presentato alla sede di Glovo a Torino, con regolare appuntamento. Hanno trovato le porte sbarrate. La promessa di sedersi a un tavolo, fatta in ospedale, è evaporata nel giro di pochi giorni. Non è la prima volta che i datori di lavoro sfuggono il confronto chiudendo gli uffici e scappando dalla porta sul retro, probabilmente non sarà l’ultima volta per chi sta tentando sistematicamente di spersonalizzare i rapporti lavorativi come forma di maggiore controllo e potere. Anche in questo caso è nato un corteo spontaneo che ha riattraversato la città dirigendosi verso il centro.
Intanto lo scorso mese è nato l’Osservatorio Incidenti Rider Food Delivery che, con una statistica aggiornata a fine ottobre, riporta i sinistri stradali occorsi a rider con conseguenze gravi, sia in bici che su motocicli, riportando un quadro che vede la maggior parte degli incidenti avvenire a Milano – dove la situazione è talmente grave da aver portato ad aprire un’indagine – e che da marzo 2018 riporta in tutta Italia sette rider morti mentre lavoravano.
Questa è la quotidianità di chi fa il rider. Correre e rischiare la vita. Per questo oggi pomeriggio alle 17 in piazza Castello a Torino rider e amici lanciano una mobilitazione cittadina in solidarietà a Zohaib, «contro questi sistemi di sfruttamento, contro il cottimo, contro la precarietà esistenziali che le nostre aziende ci impongono».
Foto di Annabella Da Re
E adesso?