CULT
Ricostruire comunità contro la pedagogia della crudeltà
Rita Segato ha elaborato nel corso degli anni un’etnografia del potere nella sua forma fondante: il patriarcato, collegato al dominio coloniale e alla formazione del capitalismo. Oggi finalmente abbiamo due libri tradotti in italiano “Contro-pedagogie della crudeltà” (Manifestolibri) e “La guerra contro le donne” (Tamu Edizioni), entrambi importantissimi per addentrarci nel suo pensiero
In questi giorni Rita Segato è in Italia, invitata dal nuovo dottorato in Studi di genere dell’Università di Bari, che insieme a Manifestolibri e FactoryA ha curato la traduzione in italiano del suo lavoro Contro-pedagogie della crudeltà a cura di Valeria Stabile. La prima traduzione in italiano di Segato è stata edita da Tamu Edizioni, qualche mese fa, La guerra contro le donne tradotto da Mara Biagiotti e Roberta Granelli, che hanno anche redatto un breve glossario iniziale per facilitare la lettura e l’introduzione alle categorie politico-antropologiche di Segato. Pedagogie della crudeltà è la trascrizione di un seminario tenuto all’università di Rosario in Argentina nel 2016 ed è, quindi, una scrittura che mantiene l’ariosità della parola orale, ma anche in La guerra contro le donne, un insieme di articoli, interventi, interviste scritti tra il 2006 e 2018, Segato ha un linguaggio accessibile, creativo, empiricamente fondato e schierato.
Nell’introduzione di La guerra contro le donne, di cui ci occuperemo in questo testo, Segato si domanda come mai la destra antidemocratica e antiliberista sia riuscita a sfondare con la sua offensiva familista e patriarcale il precedente patto liberal-democratico.
Perché se «il decennio benevolo della “democrazia multiculturale” non intaccava la macchina capitalista ma produceva delle nuove élite e nuovi consumatori […], ha però minacciato di corrodere il fondamento delle relazioni di genere, e i nostri antagonisti di progetto storico hanno scoperto, addirittura prima di molti di noi, che il pilastro, fondamento e pedagogia di tutto il potere è il patriarcato» (p. 31). La questione di genere è, quindi, al centro delle lotte per l’egemonia delle destre globali, costruite intorno allo spettro dell’ideologia gender, del ritorno alla famiglia tradizionale, contro l’aborto e diritti riproduttivi.
L’analisi di Segato ha i piedi radicati nel continente latino americano e nella sua storia coloniale, costruita da genocidi, spesso non riconosciuti, dei popoli originari. Il patriarcato, secondo l’autrice, è la struttura politica più arcaica della storia dell’umanità, “un patriarcato a bassa intensità” esisteva e precede la conquista delle Americhe, ed è diventato la base sulla quale costruire il nuovo regime politico predatorio coloniale, fondativo della modernità capitalista.
Questo processo ribalta il regime duale preesistente, in un binarismo che svaluta lo spazio domestico «fino ad allora affollato da una molteplicità di presenze, scena delle attività delle donne da loro gestita» (p.144), lasciando il potere di enunciazione, di rappresentazione e di nominazione all’Uomo che domina lo spazio pubblico. Da questo punto di vista la storia della sfera pubblica è la storia dell’esclusione di genere, così come la storia del contratto sociale è la trascrizione di un patto razziale.
Oggi questa violenza contro le donne e contro tutte le persone femminilizzate è in aumento, soprattutto nel contintente latinoamericano, dove nota Segato, la maggior parte dei femminicidi avviene fuori dalle case, e non dentro le mura domestiche, differentemente dall’Europa.
L’antropologa argentina, che oggi insegna all’università di Brasilia, ha lavorato a lungo sui femminicidi di Ciudad Juárez, città alla frontiera con gli Stati Uniti dove dagli anni ‘90 a oggi sono morte più di di 2.250 donne e la maggior parte dei crimini sono rimasti impuniti.
A partire dalle storie di queste donne, uccise brutalmente, nate al margine del mondo, incolpate anche dalle loro stesse comunità, abbandonate a volte anche dalle famiglie, Segato analizza il declino dell’ordine nazionale, la nascita di microfascismi regionali, la mafializzazione del processo di accumulazione capitalista, il ritorno alla conquistalità senza limiti, portando al centro della scena quelle vite e quelle morti dimenticate. «Cos’è quindi un femminicidio, nel senso che Ciudad Juárez conferisce a questa parola? È l’uccisione di una donna generica, di un tipo di donna, solo per il fatto di essere donna» (p. 76), il cui corpo viene utilizzato dai gruppi della criminalità organizzata per segnare il territorio di conquista e per iniziare nuovi membri alle pratiche violente della maras.
Nell’epoca della guerra informale, parastatale, esternalizzata, della repressione poliziesca, le sconfitte e le vittorie si iscrivono e si segnano sui corpi delle donne «telai grazie ai quali si rivela la struttura della guerra stessa» (p. 97), attraverso queste forme di aggressione sessuale si segna la distruzione morale del nemico e si forma una “pedagogia della crudeltà” che permette la riproduzione di questo sistema di potere.
Questi femminicidi sono una questione di potere pubblico, non una questione privata e così devono essere trattati, come crimini contro l’umanità, come femmi-geno-cidi.
Riportare la questione di genere al centro contro la privatizzazione del crimini di genere, far riconoscere la specificità del femminicidio nelle giurisdizioni nazionali (neanche l’Italia ha una definizione di tale reato) e battersi per il riconoscimento del femmi-geno-cidio nel foro internazionale, senza aver paura di usare il diritto come campo di battaglia, ma senza farsi assorbire dallo spazio statale, perché rimane una struttura intrinsecamente patriarcale e binaria. Abbiamo bisogno di ritessere comunità, compassione, empatia, legami e radicamento contro la pedagogia della crudeltà, e per fermare la guerra dobbiamo smantellare il mandato di maschilità – anche con la collaborazione degli uomini. Perché «senza nessuna pace di genere non potrà esserci nessuna pace reale» (p. 41).
Il 17 maggio Rita Segato sarà a Roma alle ore 18:30 a Esc Atelier Autogestito e il 23 maggio a Napoli a Largo Banchi Nuovi di fronte Zero81
Immagine di copertina di Ilaria Turini
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