ITALIA
«Riconoscere la violenza è il primo passo». La giornata mondiale contro la transfobia
Si celebra il 20 novembre il ventunesimo Transgender Day of Remembrance (Tdor), appuntamento globale per ricordare le vittime dell’odio e del pregiudizio transfobico. Anche in Italia ci saranno numerose iniziative in varie città. Abbiamo parlato con Porpora Marcasciano, Nitx ed Ethan Bonali per approfondire le ragioni della giornata di lotta e commemorazione
Fra sensibilizzazione e protesta, si celebra oggi il ventunesimo Transgender Day of Remembrance (Tdor), appuntamento globale per ricordare le vittime dell’odio e del pregiudizio transfobico. La prima edizione ebbe luogo infatti nel 1999 negli Stati Uniti, in memoria di Rita Hester, donna trans uccisa l’anno precedente in Massachusetts. Con il passare del tempo, la giornata di sensibilizzazione si è diffusa in quasi tutto il mondo e dal 2013 viene celebrata anche in molte città italiane. «Da un po’ di anni si celebra anche in Italia. Per fortuna, visto che la transfobia è un fenomeno ancora gravissimo qua da noi»: a parlare è Nitx, attivista e buffon* queer residente a Roma.
«È un momento estremamente necessario: ho partecipato a rituali veramente bellissimi ed emozionanti, in cui emergeva chiaramente la volontà comune di ricordare e celebrare ogni vita spezzata». Non è casuale che il Tdor preceda di pochi giorni la giornata internazionale contro la violenza di genere. Riconosce Nitx: «È una data che si collega naturalmente con quella del 25 novembre. Inizialmente si parlava di violenza maschile sulle donne, ma oggi è più corretto parlare di violenza di genere, che può colpire le donne, le persone transgender, le sex-worker, le persone razzializzate».
Nonostante la recente approvazione (per ora soltanto alla Camera dei Deputati) del decreto-legge firmato dal senatore Zan che condanna l’omo-lesbo-bi-transfobia, in Italia la violenza di genere colpisce ancora troppo spesso le persone trans, specialmente le donne trans. «L’Italia è al primo posto in Europa per crimini di odio contro le persone trans», lamenta Porpora Marcasciano, presidente onoraria del bolognese Movimento identità trans (Mit) e storica attivista.
Anche i dati pubblicati dall’osservatorio europeo Tgeu ribadiscono questo triste primato: sono ben quarantadue le vittime di violenza transfobica in Italia dal 2008 a oggi, un numero decisamente più alto rispetto le medie continentali.
«Purtroppo in Italia abbiamo pochi dati sul fenomeno», sottolinea Ethan Bonali, attivista bolognese, ideatore della campagna social Guardami: «Questo per vari motivi: gli omicidi devono essere registrati con un documento di identità valido e magari le persone uccise, se non possiedono un documento conforme al proprio aspetto, vengono registrate con il genere riconosciuto nel documento d’identità». D’altronde la legge 164 del 1982, che regola il percorso di transizione e il cambiamento anagrafico, si concentra sul genere di riassegnazione.
«Il nostro sistema giuridico continua a riconoscere soltanto due generi e questo fa sì che tutti i dati vengano raccolti con questo criterio», continua Bonali. Nel frattempo però il mondo fuori dai tribunali ha subito numerosi cambiamenti, testimonia Marcasciano: «È cambiato il mondo ed è cambiato il vocabolario. Prima parlavamo solo di transessualità: oggi ci sono molti più termini per indicare un’esperienza che è molto variegata. Prima invece si pensava che l’esperienza trans fosse solo quella di chi si opera. Oggi invece si parla sempre più spesso di varianza di genere».
Definizioni che fotografano realtà differenti, a cui la legge Zan dovrebbe finalmente garantire qualche tutela. «Omo-lesbo-bi-transfobia può non essere una parola attraente e smart, ma è esattamente quello di cui stiamo parlando. È quello che ci serve per nominare e a riconoscere le varie forme di violenza e discriminazione. È una parola-sommario di tutte le discriminazioni e nessuna delle sue componenti può essere in nessun modo dimenticata o tralasciata», ha scritto pochi mesi fa l’attivista ed editrice Antonia Caruso sul “Manifesto”.
«Questi omicidi, chiamiamoli allora transfemminicidi. È di questo che si tratta in fondo», suggerisce Bonali. E, su questo punto, concorda anche Nitx: «È chiaro che il riconoscimento della violenza è sempre il primo passo». Ma il suo ragionamento fa un ulteriore passo avanti: «Sulla violenza di genere è però necessario un lavoro sociale e culturale, più che punitivo». Anche Porpora Marcasciano rifiuta di affrontare il problema della violenza di genere e della transfobia riducendolo alla sola dimensione individuale. Punta invece il dito verso politica e società.
«Non è che i cittadini italiani sono più violenti e intolleranti per l’acqua che bevono o la pasta che mangiano, ma per delle cause ben precise», ci spiega. «Innanzitutto per la presenza di una Chiesa molto invasiva e invadente che è sempre stata contraria alla causa trans, poi per le destre, più o meno estreme, che in Italia, molto più che in altri paesi, hanno avuto completa libertà nel seminare odio nei confronti di varie diversità tra cui le persone trans».
Eppure, in tempi recenti, non soltanto partiti e formazioni di destra si sono scagliati contro l’esperienza trans. In occasione del femminicidio di Caivano, Arcilesbica ha sfruttato il terribile caso di cronaca per rilanciare le proprie, discutibili, posizioni.
«Purtroppo, attitudini essenzialiste che sfociano in vere e proprie posizioni trans-escludenti, spesso definite Terf (trans-exclusionary radical femminsm, ndr), sono sempre esistite, sia in Italia sia altrove. Per chi si rivede in queste posizioni esiste solo la donna così come è nata, con genitali femminili: altre soggettività, altre femminilità a loro non solo non interessano, ma neanche le riconoscono», illustra ancora Marcasciano, che proprio in settimana è stata testimone dell’ennesimo episodio di discriminazione. «Da diversi anni tengo questa serie di lezioni universitarie all’interno della facoltà di giurisprudenza: quest’anno si trattavano di due ore in cogestione con un’altra relatrice», ha raccontato Marcasciano a DinamoPress in merito a un episodio accaduto lunedì 16 novembre presso l’Università di Bologna.
«All’ultimo momento c’è stato un cambio di programma relativo alla persona che doveva parlare prima di me: è intervenuta questa professoressa, proveniente dalla J. Hopkins University di Baltimora, che inizialmente ha parlato, anche correttamente, di identità di genere e transessualismo. Però poi ha cominciato a portare avanti tesi davvero assurde. Sostenendo che un uomo nasce uomo e tale rimane anche se fa l’intervento. Nonostante lei provasse a giustificare la propria tesi anche scientificamente, a mio avviso le sue posizioni, quasi lombrosiane, sapevano proprio di nazismo».
In Italia le femministe trans-escludenti sono fortunatamente una minoranza, per quanto mediaticamente rilevante e rumorosa. Sempre più spesso si alzano voci che contestano questo posizionamento della storica associazione Arcilesbica. Ma il femminismo (e di conseguenza il transfemminismo) è inevitabilmente terreno di molteplicità e confronto anche serrato. A darcene conferma è Nitx: «Secondo me il movimento femminista, a differenza di altri, ha dimostrato di saper costruire qualcosa e questo è avvenuto anche attraverso i conflitti. Il movimento non deve aver paura dei conflitti interni».
Porpora Marcasciano conosce l’attivismo trans sin da quando il fenomeno in Italia riguardava poche migliaia di persone e dunque può narrarne meglio di chiunque altro le traiettorie: «All’inizio le persone trans erano poche, non superavano i duemila individui in Italia. Io quando ho cominciato ad approcciarmi al mondo trans, nel 1980, avevo ventidue anni. All’inizio non ero una vera attivista protagonista. Poi, quando fu approvata la legge nel 1982, ho cominciato a frequentare più attivamente le riunioni del Mit e sono stata eletta prima segretaria e poi vice-presidente. Quella legge segna uno spartiacque, tra un prima e un dopo. Un prima fatto di soprusi, emarginazione, repressione. E un dopo dove si comincia a costruire, pezzo dopo pezzo, l’associazionismo».
Nel frattempo cresce anche il numero degli individui transgender in Italia.
«Oggi la comunità trans è aumentata nei numeri: alcune ricerche fatte dall’Istituto superiore di sanità parlano di circa quattrocentomila soggettività», commenta Marcasciano. Così, negli ultimi anni, anche in Italia, si sono inevitabilmente moltiplicate le associazioni trans, spesso grazie all’interessamento sempre maggiore dei giovanissimi. «Le generazioni che vengono dopo la mia forse non hanno masticato tanto femminismo e transfemminismo, ma hanno comunque una visione corretta. Tutte le associazioni infatti tendono verso gli stessi obiettivi. Tra cui soprattutto un più facile accesso alle terapie e il riconoscimento della propria identità di genere», sostiene Bonali: «Eravamo effettivamente un po’ indietro rispetto ad altre nazioni europee, però devo ammettere che in questo periodo si sta cercando di creare una rete, un movimento trans solido e ramificato». Anche a partire dalla giornata di oggi.
Immagine di copertina dalla pagina Facebook di Mit- Movimento Identità Trans