OPINIONI
Ribaltare le politiche migratorie degli ultimi 30 anni
Se è vero che “nulla sarà come prima”, bisogna pretendere davvero che i diritti siano per tutti
Una delle priorità del “governo dei Decreti e delle dirette televisive” deve essere quella di occuparsi del benessere complessivo del “laboratorio Italia”, di dare concretezza all’intenzione urlata di “non lasciare nessuno indietro”. Finora, manca infatti all’appello dei provvedimenti urgenti una sanatoria dei cittadini stranieri irregolari, quale strumento indispensabile per garantire a tutti l’accesso alle cure, al lavoro e al reddito e riconoscere e garantire il diritto universale alla salute. È vero, sono stati prorogati i termini per il rinnovo dei permessi di soggiorno al 15 giugno, data in cui – se nulla cambia in termini strutturali – ricominceranno iter complessi, abusi e, soprattutto, dilagherà la condanna alla clandestinità e alla marginalizzazione di migliaia di persone.
È fondamentale, invece, annullare definitivamente proprio contrapposizione tra regolarità (comunque precaria e selettiva) e irregolarità (funzionale al mercato e presupposto di un’eventuale e futura inclusione differenziale) riconoscendo alle figure migranti la giusta centralità nella dinamica produttiva, la loro non eccezionalità a dispetto dell’eccezionalità della crisi che stiamo vivendo. I migranti siano essi regolari o irregolari, costituiscono, da decenni, forza lavoro fondamentale per l’economia italiana, disponibile a qualsiasi mansione e, soprattutto, a qualsiasi condizione di lavoro.
La violenza già subita nel paese d’origine, nell’attraversamento del Mediterraneo, nell’abitudine alla sofferenza, all’attesa, al “respingimento” nei confini marittimi e in quelli terrestri, è come se li rendesse capaci di sopportare la violenza implicita nelle condizioni di vita e lavoro a loro destinato nei “paesi d’arrivo”. È forse questo il motivo per cui ci si dimentica di tutelarli e proteggerli in un momento in cui, tra l’altro, l’attenzione è particolarmente rivolta alle vulnerabilità.
Ma la vulnerabilità, si sa, è funzionale al controllo e spesso all’utilità economica. Vien da pensare che le tutele nei confronti della salute della popolazione migrante, avrebbero un costo troppo elevato e che questa crisi globale ci sta abituando all’ipotesi di eventuali “vite di scarto” perché già in partenza troppo fragili. Va anche detto che per i migranti che vivono in Italia la possibilità di ammalarsi è già elevata di per sé a causa delle “normali” condizioni di vita e lavoro cui sono costretti. Il Coronavirus impone di prendere sul serio la gravità delle condizioni in cui vivono migliaia di persone tra insediamenti informali, centri sovraffollati o nella peggiore delle ipotesi nell’abbandono degli spazi pubblici urbani.
Per i migranti, i rifugiati, i richiedenti asilo, le persone in attesa di rinnovo del permesso, quelle “accolte” nei CAS e quelle rinchiuse nei CPR o negli Hotspot, l’emergenza sanitaria implica grandi difficoltà nel rispettare le misure igieniche e le distanze minime di sicurezza. Difficoltà che talvolta nascono anche solo dal reperire le necessarie informazioni per orientarsi in questo “nuovo mondo” del confinamento generalizzato.
Per fortuna sin dal principio di quest’emergenza la diffusione capillare e multilingue delle informazioni è stata una delle prime azioni solidali messa in campo da associazioni, centri sociali, presidi territoriali, gruppi informali di seconda generazione. Quelle stesse associazioni ed esperienze “solidali e buoniste” precedentemente criminalizzate per un motivo o per l’altro, in mare o in terra e che ora si stanno prendendo cura dei legami sociali, garantendo la qualità della vita di molti e sostenendo campagne a tutela dei diritti di tutti: dalla necessità di ripensare e potenziare la sanità pubblica, all’estensione del reddito di cittadinanza, alla proposta di un reddito di quarantena universale e a quella decisiva di una sanatoria immediata per i cosiddetti “stranieri irregolari”.
In un documento sottoscritto negli ultimi giorni da decine di organizzazioni si chiede di intervenire – qui e ora – a tutela dei diritti, della salute e dalla dignità di tutti a partire dall’evidenza del fallimento delle politiche migratorie e dell’accoglienza. Nell’attesa che i centri di accoglienza di grandi dimensioni (privi di personale sanitario) vengano chiusi (a favore ad esempio di quel sano principio dell’accoglienza diffusa) e nella speranza che quest’emergenza favorisca un radicale miglioramento dei requisiti dell’accoglienza, si chiede che le istituzioni si facciano immediatamente carico di dotare tutti i centri governativi e gli affollati insediamenti informali, abitati dai “nuovi irregolari” prodotti dai recenti Decreti Sicurezza, degli strumenti fondamentali per il contenimento del contagio e dei protocolli necessari alla «gestione dei casi di Covid-19». I prefetti, che si sono visti recapitare “pieni poteri” dai decreti presidenziali dovrebbero proporre, immediatamente, un’alternativa concreta agli insediamenti informali, innanzitutto per rispettare le indicazioni – di legge – relative alla tutela della salute individuale e collettiva.
Si ritiene inoltre fondamentale una tempestiva presa di parole delle Asl relativa alle «indicazioni utili affinché sia effettivamente garantito l’accesso al sistema sanitario per le persone non in regola con le norme sul soggiorno (anche mediante l’attribuzione preventiva di tesserini Stp agli aventi diritto, per facilitare il loro accesso a servizi di prevenzione e cura)». Una presa di parola che ribadirebbe un concetto tanto ovvio quanto fondamentale, ovvero che «l’adozione di politiche sanitarie inclusive della popolazione straniera irregolare è in grado di tutelare non solo la salute dei singoli, ma anche quella della collettività».
Dopo anni in cui abbiamo assistito, non senza lottare, allo svuotamento di senso e di efficacia del diritto d’asilo, alle aberrazioni “umanitarie” dei Decreti Sicurezza che hanno condannato migliaia di persone all’espulsione dall’accoglienza e a una nuova clandestinità forzata, una sanatoria generalizzata sarebbe un necessario segnale in controtendenza, un uso politico del Diritto in nome dei diritti di tutti. Non solo, in queste ore, dopo la notizia di un caso di Covid-19 nel CPR di Gradisca, non possiamo che rinnovare la richiesta di chiudere i Centri destinati al rimpatrio, di farla finita con la privazione della libertà preventiva, di usare questo tempo sospeso per progettare nuove forme di accoglienza, per valorizzare le iniziative di solidarietà e di tutela, per sostenere il mondo del volontariato e dell’autogestione, riconoscendolo come un terreno di conflitto per affermare diritti “comuni” e irrinunciabili.
Il momento è propizio per il cambiamento.
La generalizzazione del rischio, della paura, della fragilità, della possibilità di contagio, deve condurci a un ripensamento complessivo della società, dalle condizioni materiali, alla redistribuzione della ricchezza, al linguaggio. Basta farsi ispirare dal ribaltamento in corso in Africa, dove gli “untori”, indesiderati ed espellibili sono gli europei e i bianchi accusati del potenziale collasso del sistema sanitario dei singoli paesi africani e della possibile condanna a morte di migliaia di persone. Che si andrebbe a sommare alle morti cui abbiamo assistito sui confini di mare e di terra negli ultimi anni e che gridano ancora vendetta.