ITALIA
Riace, questa sì che è un’invasione
In migliaia portano solidarietà a Mimmo Lucano. Nuovi e vecchi abitanti di Riace marciano insieme a persone venute da tutta Italia. Il corteo raggiunge la casa del Sindaco: cori, lacrime e saluti
Alcune migliaia di persone hanno manifestato questo pomeriggio nel borgo di Riace. Difficile provare a fare delle stime. La testa, la coda e i fianchi del corteo si perdono tra i vicoli troppo stretti per contenere tutta questa solidarietà. Sette bus da Cosenza, tre da Napoli, due da Roma. E poi da Catanzaro, Reggio Calabria, Bari. Dalla Sicilia, dal Molise e dalla Basilicata. Alcuni sono arrivati dal centro-nord, affrontando decine di ore di viaggio, all’andata e al ritorno. «Il viaggio è stato lungo e scomodo, ma oggi non si poteva mancare», dice una signora sulla settantina che ha difficoltà ad arrampicarsi per le strade in salita che dal parcheggio portano alla casa di Mimmo Lucano.
Per provare a capire bisogna sempre andare a vedere, toccare con mano. Certo per Riace quella di oggi è una giornata speciale, ma i segni del lavoro incredibile portato avanti in questi anni si vedono tutti. Nessuna utopia da queste parti, ma una soluzione concreta e replicabile alle opportunità offerte dalle migrazioni internazionali e ai problemi di spopolamento e impoverimento dei piccoli comuni.
Salendo dalla costa ionica si incontra un lungomare martoriato dal cemento e dall’incuria, costruzioni lasciate a metà, campi di calcio senza porte e recinzioni di cantieri abbandonati chissà quando. A Riace no. Qui le case rimaste vuote sono state riempite dai progetti di accoglienza diffusa che il Sindaco Lucano, con il sostegno dei suoi concittadini, è riuscito a realizzare in questi anni. Ragazze nere col passeggino si aggirano accanto a donne anziane e bianche. Si salutano. Tra le botteghe artigianali tradizionali, si leggono nomi che vengono da lontano: “Il vasaio di Kabul”, “I ricami di Herat”, “Gli aquiloni di Islamabad”.
La manifestazione avanza disordinata partendo dal parcheggio straordinario istituito al bordo del paese e risale verso la piazza centrale. La testa è tenuta dai rifugiati di Riace. Cantano: «Mimmo libero, Riace non si arresta». Dietro si alzano altri cori: «Apriamo i porti, mandiamo via Salvini»; «Le nostre città sono troppo belle per lasciarle a Lega e 5 Stelle»; «Odio la Lega». I manifestanti se la prendono con Salvini, ma anche con Minniti, a indicare la continuità politica tra Pd e Lega nelle misure che criminalizzano i migranti e la solidarietà. In mezzo al corteo ci sono alcuni stendardi dei comuni vicini, diverse fasce tricolore indossate dai sindaci solidali e molti striscioni contro la mafia. Un cartello alto e stretto svetta sulle teste dei manifestanti: “Salvini, la storia siamo noi”.
Oltre la piazza c’è la casa di “Mimmo”, qui lo chiamano tutti così. Quando il serpentone la raggiunge, farsi strada è difficile. La scena ricorda quelle viste in televisione, nelle dittature sudamericane o del sud-est asiatico. Il simbolo dell’opposizione al governo rinchiuso dentro casa, senza possibilità di parlare. Il suo popolo sotto, che applaude.
Lucano si fa vedere prima dietro una zanzariera. Poi da una finestra. Guarda in faccia le persone che sono venute a portargli solidarietà. Ne riconosce alcune e le saluta. Ma molte non le ha mai viste. Una ragazza nera gli urla da sotto: «Mimmo saluti dall’Africa e saluti dal mondo. Siamo con te». Lui ricambia con un sorriso. «Kurdo siriano palestinese, Mimmo Lucano orgoglio calabrese» cantano tutti. Diversi abitanti di Riace lo vedono così, in gabbia e scoppiano a piangere.
Raffaele ha almeno sessant’anni, guarda la scena dalla porta di casa sua: «Quello che è successo qui è uno schifo. Mimmo Lucano è una persona buona. Lo sappiamo tutti e lo sanno anche quelli che l’hanno arrestato. Non ha rubato niente, non ha fatto niente di male. Prima del suo grande lavoro, Riace era un paese quasi abbandonato. Adesso viviamo insieme, migranti e italiani, senza problemi. Io lavoravo in un bar, ma ora sono disoccupato. Lo so bene quanto sia difficile la situazione in Italia, ma qui almeno ci aiutiamo tra noi».
Aiva è nato in Togo, ma ormai è di Riace: «Quando ero a Rosarno, mi hanno sparato. Ho girato tanto per cercare qualcosa da mangiare. Ero disperato. Poi sono arrivato a Riace e ho conosciuto Mimmo. Gli ho detto che non avevo casa e non avevo soldi, che volevo lavorare. Lui mi ha aiutato. Adesso sono occupato nel settore delle pulizie: ho un contratto e riesco a pagare l’affitto. Non è giusto quello che è successo, non capisco perché hanno arrestato una persona così».
Accanto ad Aiva c’è Daniel, vuole spiegare anche lui perché sta partecipando alla manifestazione: «Mimmo è un angelo. Dovete scriverlo, è un santo. Lui ha un cuore grande e non riesce a sopportare la sofferenza delle persone. Andate a guardare dove abita, entrate dentro casa sua: non ha fatto niente per guadagnare soldi o per diventare ricco. Ha solo aiutato gli altri, con il cuore. Ha sbagliato a dare la carta d’identità alle persone? Io non capisco: se uno non ha documenti deve fare cose brutte per cercare di mangiare e poi anche per gli italiani è più pericoloso. Come fai a trovare uno che fa danni e non ha documenti?». Poi spiega: «C’è un proverbio da me: ognuno sta bene a casa sua, quando esce di casa ha un problema. Noi siamo dovuti scappare da casa nostra, perché avevamo dei problemi. Abbiamo sofferto tanto e solo lui l’ha capito. Adesso qui stiamo bene. Io vivo con la mia famiglia, ho un lavoro e ho tanti amici, nati a Riace o venuti a vivere qua da lontano».
Lucano saluta a pugno chiuso dalla finestra. Intanto fuori ha iniziato a piovere. I primi arrivati si allontanano, ma quello che sembra un pellegrinaggio continua. La coda del corteo si piazza sotto l’abitazione. Aprono gli ombrelli. Arriva una banda. Parte la musica. Dopo un po’ anche il cielo si schiarisce ed esce il sole. Sotto, intanto, l’anfiteatro con gli scaloni arcobaleno è gonfio di gente. Rifugiati, attivisti, sindaci della zona raccontano cos’è Riace. E cosa continuerà a essere.