INCHIESTE

Il Rei è nudo. Un primo bilancio del Reddito di Inclusione

Nei programmi elettorali dei partiti che si sfideranno il 4 marzo c’è un’inusuale attenzione agli interventi contro la povertà. Ma molti sono ispirati all’ideologia del workfare. Iniziamo l’analisi dal Rei di Renzi e Poletti

Visto il contesto sociale e i dati allarmanti sulla povertà registrati nell’ultimo decennio di crisi economica, nei programmi elettorali dei partiti che il 4 marzo si sfideranno alle elezioni è dedicata un’enorme attenzione agli interventi contro la povertà, come mai era avvenuto in passato.

I contendenti propongono ognuno la propria ricetta, ma si tratta in tutti i casi di misure assai limitate o, il più delle volte, esplicazione dell’ideologia workfaristica: il PD promette di potenziare il “Reddito di Inclusione” (REI); il Movimento 5 Stelle continua la sua campagna per il workfare spacciato impropriamente per “Reddito di Cittadinanza”; Forza Italia, con la sua versione del “Reddito di Dignità”, riprende le teorie neoliberali di Milton Friedman (Negative Income Tax) agganciando il reddito alla loro proposta di flat tax [1]; Liberi e Uguali si limita a sostenere l’estensione del REI «in modo da renderlo realmente uno strumento universale di contrasto alla povertà assoluta»; Potere al Popolo afferma di lottare per «l’istituzione del reddito minimo garantito contro l’esclusione sociale e la precarietà della vita, per persone disoccupate e precarie».

Visto il quadro ci siamo detti perché non cominciare questa rubrica partendo proprio dal REI, provando ad indagare cosa sta succedendo in queste ore ai poveri che hanno cominciato a farne richiesta? Il REI sarà stato realmente erogato dall’INPS ai beneficiari come promesso dal Ministro del Lavoro Giuliano Poletti il 26 gennaio 2018, quando si è affrettato a comunicare alle agenzie stampa che le famiglie lo avrebbero ricevuto dal giorno successivo?

Mentre diversi soggetti, dal PD al sindacato confederale, lodano l’introduzione di questo strumento, semmai aggiungendo che si tratta di un primo passo per l’affermazione di un reddito minimo in Italia, noi oltre a dire che il REI è l’equivalente delle Poor Laws dell’Inghilterra Elisabethiana, vogliamo fare un elogio di questa governance debole, di questo traballante sistema istituzionale che sorregge la sua applicazione. Si, vogliamo elogiare la debolezza e lo stato di confusione delle istituzioni chiamate ad erogare il servizio perché pensiamo che sia un’occasione da sfruttare per lo sviluppo di una lotta, che nel contrastare il REI provi ad affermare le ragioni di un reddito di base universale e incondizionato.

 

Le risorse e i destinatari del REI

Il REI viene finanziato con le risorse del Fondo Povertà, istituito con la legge 208 del 2015[2]. Nel fondo sono stati allocati complessivamente 10,3 miliardi di euro[3], di cui solo 8,2 circa saranno destinati ai beneficiari del REI[4]. Si tratta di una dotazione finanziaria riferita al periodo che va dal 2018 al 2021, con una media di allocazione annua, se si tiene conto delle sole risorse a favore dei poveri, pari a circa 2 miliardi di euro[5]. Senza ombra di dubbio le risorse disponibili sono assolutamente insufficienti, persino allo scopo davvero minimo di assicurare il sostegno a tutte le famiglie o i soggetti in povertà assoluta. Anche l’Alleanza contro la povertà, che riunisce parte del mondo cattolico, sindacati confederali[6] e parte del cosiddetto “secondo welfare”[7], nonostante l’assoluta internità alla gestione della misura, ha recentemente dichiarato che «serviranno a regime circa 5,1 miliardi [annui] in più rispetto ad oggi. Solo con queste risorse e con servizi adeguati l’Italia sarà dotata di una misura nazionale contro la povertà assoluta che possa dirsi universale, ovvero rivolta a chiunque viva in tale condizione».

Le risorse del fondo pluriennale potranno essere utilizzate fino ad esaurimento; l’INPS avrà il compito di comunicare l’eventuale fine delle risorse e il Ministero del Lavoro sarà incaricato (con un decreto) di rimodulare il benefit. Chissà cosa potrebbe mai accadere se i poveri, come già in parte stanno facendo, iniziassero a bussare in massa richiedendo il danaro?

Ogni richiedente ammesso riceverà un contributo monetario che oscillerà tra 187,5 euro e 534,37 euro a seconda della numerosità del nucleo familiare e sarà erogato mediante la “Carta REI”[8] che sostituirà la vecchia “Carta acquisti”.

La platea dei beneficiari è stata ridefinita più volte: in campagna elettorale si sà, il governo ha dovuto cedere alle pur (davvero) blande pressioni esercitate da alcuni soggetti, tra cui la stessa Alleanza contro la povertà. I requisiti inizialmente fissati per maturare il diritto al REI erano estremamente selettivi. Oltre ai requisiti economici (means test) si aggiungevano una pletora di requisiti familiari, atti ad attestare la presenza di alcune categorie di soggetti particolarmente vulnerabili[9]. L’intento sembrava quello di categorizzare in modo persino maniacale l’erogazione della misura. La Legge di stabilità 2018 ha fissato che verranno superati (dal 1 luglio 2018) i requisiti di carattere familiare, mentre resteranno in vigore quelli economici.

 

 

La Legge di Stabilità 2018 ha recentemente introdotto un parziale allargamento dei beneficiari[10] dal 1 luglio 2018 e il Ministero del Lavoro ha effettuato una stima dei potenziali beneficiari stabilendo che risultano essere pari a 700 mila famiglie povere, ossia 2,5 milioni di persone componenti i nuclei. Il governo, tra l’altro, nel presentare questo ampliamento della platea non ha usato mezzi termini, spingendosi a dire che la misura assumerà così una vocazione universale. Forse qualcuno dovrebbe spiegargli che una misura rivolta ai poveri, per giunta esclusivamente ai poveri assoluti, resta comunque una misura categoriale, perché finalizzata ad una certa categoria di individui, e non certo una misura universale, qual è un diritto di cittadinanza come la salute o l’istruzione. Nel neoliberismo, se si tiene conto alle teorie della giustizia, da Nozick a Rawls, che muovono le riforme fiscali fino a quelle del welfare, il concetto di universalismo è stato fatto degradare, come conseguenza del fatto che la residualità del welfare costituisce un principio indiscutibile e il suo fondamento deriva esclusivamente dai cosiddetti “fallimenti del mercato”[11].

Indipendentemente dal fatto che si tratti di una misura estremamente categoriale, rivolta ai più poveri tra i poveri, che ne dicano anche i sindacati confederali che sono parte attiva del governo di questa misura così come di altri comparti del welfare neoliberale, i numeri dei soggetti potenzialmente coperti restano comunque insufficienti. Basti pensare che secondo le stime dell’Istat, le famiglie in povertà assoluta nel 2016 sono state circa 1,6 milioni (+900 mila unità rispetto alla platea potenziale del REI), pari a 4,7 milioni di persone. Ed inoltre, se si allarga il campo alla povertà relativa ed al rischio povertà o esclusione sociale l’universo diventa decisamente più consistente. Il 6 dicembre 2017 l’Istat ha pubblicato il report “Condizioni di vita, reddito e carico fiscale delle famiglie nel 2016”, nel documento si stima che nel 2016 il 30,0% delle persone residenti in Italia sia a rischio di povertà o esclusione sociale, pari a 18.136.663 di individui, con un peggioramento rispetto all’anno precedente pari al 28,7%.

 

L’impatto della misura sui Centri per L’impiego

Il Cnel nella Relazione annuale sui servizi sociali e contrasto alla povertà, realizzata prima che la Legge di stabilità modificasse la platea del REI, ha indicato che, rispetto all’universo potenziale dei beneficiari, solo una parte potrà rivolgersi ai Centri per l’Impiego (CPI), poiché non tutti saranno persone in cerca di occupazione o risulteranno attivabili, per cui si stima che i Centri sperimenteranno un incremento dell’utenza pari al 64,7%. Se, ad oggi, mediamente in un mese per ogni unità di personale dei CPI si rilevano 43 disoccupati circa, è possibile stimare un numero medio di utenti aggiuntivi per dipendente pari a 28 unità circa. Di conseguenza, ogni operatore dei circa 536 CPI in Italia, dovrebbe svolgere azioni di orientamento, accompagnamento al lavoro ed assistenza intensiva a circa 71 utenti al mese. Si tratta, inoltre, di cifre da rivedere al rialzo, sia perché, come si è detto, la platea risulterà allargata dal luglio di quest’anno, sia perché sul totale dei 8.798 operatori dei CPI considerati dallo studio[12], poco più del 75% opera effettivamente in front office (a stretto contatto con l’utenza)[13]. Qualcuno forse non sa, che anche nella situazione attuale, prima ancora che i poveri si riverseranno sui CPI, gli attuali operatori in forze nei Centri non sono assolutamente in grado di ottemperare a tutte le mansioni stabilite dalla legge (D. Lgs. 150/2015), non riuscendo di fatto ad attivare correttamente i Patti di Servizio ai disoccupati.

 

Un primo bilancio dell’applicazione

L’avvio (1 dicembre 2017) delle presentazioni delle domande ha reso evidenti ritardi, inadempienze e confusione nella gestione delle prime migliaia di richiedenti. La Consulta Nazionale dei Centri di Assistenza Fiscale ha denunciato l’incapacità di diversi Comuni di gestire i flussi di richiedenti, una disorganizzazione che ha portato alla necessità di siglare convenzioni con i CAF locali, presi d’assalto per ottenere la certificazione Isee. Dai dati ufficiali di monitoraggio pubblicati dall’INPS (unico aggiornamento disponibile a questa data), risulta che tra 1 dicembre 2017 e 2 gennaio 2018 sono state presentate 75.855 richieste di accesso al REI. Come era immaginabile le regioni con il maggior numero di domande sono la Campania, seguita dalla Sicilia e dalla Calabria.  Più di 5.000 domande sono state trasmesse da Lombardia e Lazio.

In assenza di dati ufficiali, per comprendere cosa sta avvenendo il Sole 24 Ore il 26 febbraio ha pubblicato un proprio monitoraggio realizzato su dodici tra i maggiori comuni italiani per popolazione[14]. La rilevazione conferma che le domande sono state presentate principalmente al Sud (Napoli e Palermo ai primi posti), e nelle altre grandi aree metropolitane (Milano e Roma, rispettivamente 7.300 e oltre 4 mila domande). Nonostante l’INPS informi che i primi pagamenti sono partiti a fine gennaio, dai Comuni per ora non si hanno riscontri. Inoltre si segnala che una percentuale altissima (tra il 25% e il 35%) di domande sono state bocciate.

Cosa bisognerebbe fare una volta considerato questo quadro? Bisognerebbe imparare a sfruttare intelligentemente questi “colli di bottiglia” per immaginare una lotta efficace che faccia saltare il sistema di regolazione e di governo di questa misura, riaffermando le ragioni di un reddito universale e incondizionato come diritto di base. Una sfida necessaria contro il sistema di workfare che colpirà totalmente la vita dei poveri.

 

Una versione estesa di questo articolo è stata pubblicata sul Quaderno 8 del BIN.

 

 

[1] Per approfondimenti sulla differenza tra il reddito di base e l’imposta negativa sul reddito si veda Van Parijs P., Vanderborght Y. Reddito di base. Una proposta radicale, il Mulino, Bologna 2017, pagg. 58-70.

[2] Per approfondimenti si veda l’articolo 1, comma 386 della legge.

[3] La dotazione del Fondo è stata incrementata di circa 2,5 miliardi di euro con le diposizioni della Legge di Stabilità 2018. Probabilmente come conseguenza delle pressioni esercitate da alcuni soggetti, tra cui l’Alleanza della Povertà.

[4] I dati sono tratti dalla Legge di Stabilità 2018 (Legge 205/17, art.195).

[5] Se si tiene conto esclusivamente delle risorse destinate ai poveri, al netto degli altri costi, gli importi (in milioni di euro) sono ripartiti nel seguente modo: nel 2018 1.747 €, nel 2019 2.198 €, nel 2020 2.158 €, dal 2021 2.130 €.

[6] Questa strana rete è composta dai seguenti membri: Acli-Iref, Caritas Italiana, Cgil, Uil, Confcooperative, Fondazione ActionAid, Fondazione Ebbene.

[7] Si tratta di interventi di protezione sociale finanziati con risorse non pubbliche e che prevedono il coinvolgimento di diversi attori (imprese, assicurazioni, fondi di categoria, sindacati, enti bilaterali, fondazioni e altri soggetti della filantropia, terzo settore, ecc..)

[8] Che viene ritirata presso gli sportelli di Poste Italiane.

[9] Almeno un componente con età inferiore ai 18 anni; una donna in stato di gravidanza accertata; una persona con disabilità; un lavoratore con >=55 anni in stato di disoccupazione.

[10] Il rapporto è stato pubblicato il 4 dicembre 2017.

[11]Per un approfondimento sul rapporto tra welfare state e fallimenti del mercato si veda: Barr, N., Economic theory and the welfare state: a survey and interpretation, Journal of Economic literature, 30(2), 1992.

[12] Per completezza è opportuno segnalare che il 24 gennaio 2018, la Conferenza Stato-Regioni, ha approvato un piano di rafforzamento dei servizi per l’impiego che prevede l’assunzione di 1.600 unità di personale (di cui 343 a tempo determinato), di cui 600 dedicate alla gestione del REI.

[13] Isfol, Rapporto di Monitoraggio sui Servizi per il Lavoro, 2015

[14] Si veda Sole 24 Ore del 26 febbraio 2018 “Città alla prova del Reddito di Inclusione”.