editoriale
Ragazze e media
“I don’t know how to live in this world, if these are the choices” (Buffy l’ammazza vampiri)
Siamo fragili esseri umani che hanno poco tempo da trascorrere su questo bellissimo, eroticissimo ed estatico pianeta. Dovremmo condividere questo dialogo il più possibile e fare in modo che il terreno di gioco su cui ci muoviamo diventi ampio quanto la terra intera. In altre parole, diamo alle nostre ragazze che partono nude per la battaglia le armi giuste per combattere invece di ordinare loro di rientrare in casa e mettersi addosso qualcosa. (Amanda Palmer, 2013)
La citazione è tratta da una lettera scritta qualche anno fa da Amanda Palmer, performer queer di 40 anni, a Sinéad O’Connor, famosa cantante irlandese di 50 anni. La lettera segue un animato scambio, tramite tweet e blog, avvenuta tra Sinéad O’Connor e la teen idol americana Miley Cyrus di 25 anni. La giovane cantante produce nel 2013 il video di una canzone – dal titolo “Wrecking Ball” [1] – in cui posa senza abiti. Alle polemiche scaturite da questo gesto, Miley Cyrus risponde che è stata ispirata dalla cantante femminista irlandese, conosciuta anche per aver sempre messo in discussione le forme dominanti di femminilità utilizzando e rappresentando il proprio corpo in modo alternativo. Di contro Sinéad O’Connor decide di rispondere chiedendole quanto ritiene che la sua scelta di mostrarsi nuda sia stata presa “liberamente” o quanto sia il risultato (consapevole o meno) delle pressioni del mercato, dei media e delle case discografiche. In questa discussione si inserisce la lettera di Amanda Palmer a Sinéad O’Connor in cui invita la cantante, ma più in generale le donne e le femministe di altre generazioni, ad ascoltare le voci delle ragazze e i loro vissuti, seppur nelle loro contraddizioni, piuttosto che assumere un atteggiamento che rischia di risultare moralista. Lo scambio intergenerazionale tra queste donne protagoniste del mondo mainstrem dello spettacolo e dei media parla, più in generale, della libertà dei corpi femminili di poter scegliere come muoversi e rappresentarsi nella costante tensione tra autodeterminazione, regole del mercato e rappresentazioni stereotipate dei media.
Cercare una maggiore comprensione del nesso che lega rappresentazione di genere, popular media e produzione di soggettività non è semplice, si è obbligate a rivolgere lo sguardo al frangente della vita quotidiana, dove l’orchestrazione del potere si fa sottile e gli spazi possibili di resistenza hanno confini offuscati.
I media sono produttori di immaginario, sostengono e confermano determinati modelli e rappresentazioni mentre ne sanzionano altri, così facendo creano marginalità composte da corpi, vite e relazioni che non si conformano ai modelli dominanti. Se da un lato si assiste a una moltiplicazione di modelli di genere, anche grazie alla diffusione di Internet, e alla parziale dismissione di forme stereotipate del femminile a favore di raffigurazioni più assertive, dall’altro vanno configurandosi nuove relazioni di potere in cui i repertori quali “libera scelta”, “sessualità agita”, “autoaffermazione” – svuotati di un loro significato politico – rischiano di diventare una nuova norma – una nuova tecnologia del sé per costruire “ragazze di successo”.
L’idea che le ragazze riproducano gli ideali di femminilità oppressivi e patriarcali veicolati dai contenuti mediali e dalla cultura popolare – nelle vecchie o nelle contemporanee forme di produzione di soggettività – ha ispirato a lungo sia le analisi sui media sia il dibattito pubblico. In particolar modo intorno alla sessualità delle ragazze viene alimentato un panico morale di genere che priva i soggetti in questione della capacità di scelta, nonostante le ricerche mettono in luce come le ragazze mostrino consapevolezza della natura poco realistica di alcuni modelli di femminilità loro proposti e segni di resistenza ai messaggi mediali, ad esempio ridicolizzando i modelli di bellezza rappresentati. L’idea che le ragazze siano imbrigliate e ripropongano passivamente le norme di genere stereotipate della cultura popolare, insieme a una ricorrente preoccupazione di quello che le ragazze fanno dei loro corpi e della loro sessualità, orienta una buona parte del discorso pubblico.
Mutano i media, mutano gli immaginari di genere che vengono offerti e muta il rapporto (di potere) che intratteniamo con loro. Sembra rimanere meno permeabile al cambiamento la produzione di discorso intorno alle (im)possibilità di azione delle ragazze.
La riorganizzazione dell’analisi sui media dal punto di vista delle nuove possibilità offerte da internet, come spazio di produzione culturale, ha fatto fare un salto in avanti alle riflessioni sul rapporto tra agency e strutture sociali: nel riconoscere le ragazze come attive produttrici di testi e significati online, piuttosto che sole vittime di una cultura egemonica. Tuttavia, le pratiche, i corpi e la sessualità delle ragazze continuano a restare sotto costante scrutinio. Forse più di prima viene agito un controllo, nutrito questa volta da atteggiamenti moralistici e paternalistici (“so io cosa è giusto per te”) sui possibili rischi che la rete può offrire.
Le pratiche mediate dalla rete riformulano il quotidiano aprendo uno spazio di visibilità ‘pubblico’ che non ha precedenti. Si tratta di uno spazio ambivalente che può riproporre rigide categorizzazioni di genere oppure offrire nuove occasioni di soggettivazione e resistenza. L’esito di questo processo non è ancora dato, e se al momento non sappiamo ancora “come vivere in questo mondo se queste sono le scelte” (unendoci alle preoccupazioni di Buffy l’ammazza vampiri), abbiamo bisogno di alleanze per costruire insieme nuove strategie.
Note
[1]
Bailey, J., & Steeves, V. (2015), eGirls, eCitizens: Putting Technology, Theory and Policy into Dialogue with Girls’ and Young Women’s Voices, University of Ottawa Press
Scaricabile qui.
Mainardi A. (2015), «Le adolescenti e le perfomance di genere online: oltre il panico morale», in Bartholini I. (a cura di), Violenza di genere e percorsi mediterranei. Voci, saperi e uscite, Milano: Guerini Editori, pp. 209-218
McRobbie A. (2009), The Aftermath of Feminism: Gender, Culture and Social Change, Sage, London.