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Con rabbia e amore. Raccontare i mali del Sud

A sette mesi di distanza dalla sua scomparsa, la lezione postuma di Alessandro Leogrande nella raccolta di scritti “Dalle macerie. Cronache sul fronte meridionale”: lo spirito ossessivo e visionario di chi sta dentro le ferite del proprio tempo e guarda oltre l’apparenza della cronaca

Sono trascorsi sette mesi dalla morte di Alessandro Leogrande, giornalista e scrittore di rara qualità, scomparso il 27 novembre scorso nella sua casa di Roma ad appena 40 anni. E in ogni parte d’ Italia, ora, di lui si moltiplicano i ricordi: dagli studenti ristretti della Casa di reclusione “Rodolfo Morandi” di Saluzzo che l’autore aveva incontrato qualche mese prima della morte agli alunni e i docenti del liceo classico Archita di Taranto, la scuola dove aveva studiato, che ad Alessandro hanno dedicato un numero monografico della rivista «Galaesus», sulla quale Leogrande aveva mosso i primi passi nel mondo della scrittura, sin da quando era appunto un giovane liceale.

E ancora: il Salone del Libro di Torino (di cui Alessandro Leogrande era diventato uno dei maggiori animatori) gli ha dedicato un intero incontro nell’edizione di quest’anno e, più di recente, anche la Cgil, in un convegno organizzato a Palazzo Massimo, a Roma, ne ha sottolineato l’impegno di scrittore e reporter che «ha legato la sua avventura intellettuale alla narrazione della realtà, con particolare riguardo alla condizione umana nel mondo delle migrazioni, nei nuovi scenari geopolitici, delle tante frontiere invisibili, nel mondo del lavoro, in quello della cultura»così lo hanno ricordato dal sindacato degli scrittori a cui era iscritto. E poi il 20 giugno scorso nell’ambito delle celebrazioni della giornata mondiale del rifugiato, la giornalista Elena Stancanelli ha letto un passo del libro La frontiera nel corso del festival BePop che si sta svolgendo tuttora a Parco Nemorense. La stessa giornalista ha annunciato dal palco: «Tirana, la capitale dell’Albania, presto avrà una via dedicata ad Alessandro Leogrande», aggiungendo «chissà se un giorno anche Roma». Ci domandiamo poi se nella sua città natale, Taranto, più che essergli dedicata una via o piazza (che pure sarebbe doveroso) ne verrà ricordata e introiettata fino in fondo la sua ultima lezione: «tornare alla politica. Ripoliticizzare le parole, tornare a raccontare la complessità e la ricchezza delle storie personali», come aveva detto un paio di mesi prima della sua morte conversando con la giornalista Annalisa Camilli.

 

Lo specchio d’Italia

Già, Taranto, la “sua” città, il posto dove continuava a mantenere la residenza, “lo specchio d’Italia” che ora diviene la protagonista di una raccolta di scritti postuma, curata dal giovane storico Salvatore Romeo, il quale “fraternamente” si è messo sulle tracce dei racconti di Leogrande «dimostrativi di un modo di lavorare salveminiano: guardando in faccia i problemi, scrutandone le radici nel passato e nelle probabilità dell’avvenire, indicando responsabilità, proponendo soluzioni nei limiti in cui è possibile pensarle».

Dalle Macerie. Cronache sul fronte meridionale, edito da Feltrinelli, è stato presentato qualche settimana fa al salone del libro di Torino. Il senso di questa operazione editoriale, che, volutamente, si è concentrata solo su un aspetto della carriera di Alessandro (ovvero gli scritti su Taranto) ce lo spiega, nell’introduzione al testo, Goffredo Fofi, direttore della rivista “Lo Straniero”, che di Leogrande è stato per lunghi anni in qualche modo, il mentore intellettuale. Così scrive Fofi: «Mi commuove che, pur spostandosi agilmente su un piano nazionale e non solo, i passi di Alessandro partissero e tornassero costantemente alla sua città di origine, forte di storia e di tragedie, meridionale e industriale, esemplari di quei problemi che affliggono il presente e che sono decisivi per il futuro». E ancora, prosegue l’intellettuale: «la sua città è diventata, ne fosse essa cosciente o no, un esempio delle contraddizioni della nostra epoca, e se Taranto è l’Italia», conclude Fofi, «è anche vero che studiando le sue contraddizioni, si potrebbe ancora intervenire e cercare la strada di un futuro decente. E se sappiamo tutto questo, è anche grazie al lavoro di Alessandro, il migliore tra gli italiani della sua generazione».

Militando a sud, con rabbia e amore

 Avevo conosciuto Alessandro Leogrande a Taranto dieci anni prima. Era stato durante un’assemblea cittadina convocata nella sede dei Cobas per chiedere la liberazione di un ragazzo curdo arrestato dalla Digos locale, perché risultava che avrebbe dovuto scontare un residuo di pena (dunque rischiava l’estradizione e la detenzione in un carcere turco) in virtù della sua militanza passata all’interno del Pkk, il partito dei lavoratori curdi che è considerato per lo stato turco, ancora oggi, un’organizzazione terroristica. Quella vicenda si chiuse poi con l’archiviazione. Alì Orgen, difeso dall’avvocato Arturo Salerni, tornò presto in libertà, uscendo dal carcere di Benevento dove era stato recluso ingiustamente. Contemporaneamente, quella vertenza – per molti attivisti tarantini della mia generazione – aveva aperto un canale politico e umano di confronto privilegiato con Alessandro Leogrande. Così vennero i dibattiti e le presentazioni all’interno dei nostri spazi sociali, il festival del giornalismo ambientale nel 2014 e quello dell’economia sostenibile, Equosolidaria, nel 2016. Alessandro amava il protagonismo sociale e culturale espresso da quella generazione di attivisti post-Genova e desiderava, appena poteva, confrontarsi sui grandi temi con ciò che rimaneva della sinistra locale. Con lui non mancarono mai le occasioni (anche dure) di confronto, sul tema “principe”, la vicenda Ilva. Negli ultimi anni si era avvicinato molto al circolo Peppino Impastato di Rifondazione Comunista. Ma Alessandro era soprattutto uno di noi, l’eterno fuorisede, di quelli che da Taranto sono andati via dopo la scuola ma che hanno scelto di continuare a raccontarla, lottando per migliorare le cose, vivendola anche da fuori, senza mai cedere alle sirene e alle retoriche del provincialismo. Lo dimostrano i suoi lavori, il libro Fumo sulla città su tutti, una sorta di diario-zibaldone, un viaggio nel presente stratificato e scomposto di Taranto, che nel frattempo con la sua morte ha perso un pezzo importante di identità e cultura, così come del resto l’intero Paese.

Lo scrittore Angelo Ferracuti di recente ha colto meglio di tutti l’essenza del lavoro di Alessandro, il suo essere un osservatore militante della realtà, «con lo spirito ossessivo e visionario di chi voleva stare dentro le ferite del proprio tempo, guardando oltre l’apparenza ingannatrice della cronaca», collocandolo a pieno titolo accanto ai grandi pensatori del’900 a cui Leogrande si rifaceva: Gramsci, Rossi-Doria, Tommaso Fiore, come loro convinto che «non ci può essere trasformazione d’Italia senza la trasformazione del Sud.». E come i grandi autori del Novecento, Alessandro Leogrande ne ha saputo raccontare i mali, con rabbia e con amore.