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Qui rido io, del popolare e del populismo

Il film di Martone, presentato al Festival di Venezia, racconta la vita dell’attore Eduardo Scarpetta, interpretato da Toni Servillo, ma non si limita a una perfetta ricostruzione della Napoli di inizio Novecento, affrontando con intelligenza questioni inerenti il plagio, la parodia e la satira

Nella casa di Marina di Pisa di Gabriele D’Annunzio (interpretato da Paolo Pierobon), giunge in visita Eduardo Scarpetta (Toni Servillo), accompagnato dal fido Gennaro Pantalena (Gianfelice Imparato). L’incontro tra i due scrittori è una delle scene più riuscite e importanti del bel film di Mario Martone, Qui rido io: due mondi antitetici si siedono uno di fronte all’altro, incarnati in figure che hanno in comune un ego smisurato e il profondo bisogno di un pubblico.

Si incontrano e si scontrano, però, anche due sensibilità opposte, quella mortifera e populista di D’Annunzio, quella vitale e popolare di Scarpetta. Fuori dalla casa in cui avviene il colloquio, veniamo immersi, prima e dopo, nella Napoli liberty di inizio Secolo, perfettamente ricostruita da Martone, ricchissima, colorata e brulicante di vita, piena di cibo e di pulsioni, mentre la casa del “vate” è cupa, scura, abitata da donne e uomini che sembrano rispecchiare la vena mortifera e vagamente ipocondriaca del poeta abruzzese.

Il senso più profondo del film di Martone si trova qui, al di là degli elementi biografici e dell’omaggio a Scarpetta, si percepisce tutto l’amore profondo per la cultura popolare, definita in modo molto preciso come ciò che è in grado di arrivare e alla gente e rispecchiarla, contrapposta all’azione dell’eroe populista, che in nome del successo capta i mal di pancia sociali e si limita a rivomitarli per cercare il consenso.

L’incontro tra Scarpetta e D’Annunzio avviene perché il commediografo vorrebbe fare una parodia de La figlia di Iorio, pièce che lo scrittore decadente ha da poco rilasciato e che sta ottenendo grandissimo successo. Poche sequenze prima, Martone ci ha mostrato delle scene del dramma dannunziano, tronfio e pomposo tanto da sembrare già una parodia di se stesso. Alla richiesta del commediografo, D’Annunzio sembra anche divertito all’idea, ma non mette per iscritto il suo consenso.

È il preludio alla prima causa sui diritti d’autore della storia della cultura italiana, che andrà in scena, proprio come una commedia, dopo che la “prima” de Il figlio di Iorio, la parodia di Scarpetta, sarà contestata da sedicenti intellettuali che inneggiano «alla sacra arte italiana». Eduardo Scarpetta è interpretato da Servillo in modo perfetto: il creatore di Felice Sciosciammocca è un personaggio istrionico ed esagerato, collerico ma generoso, egocentrico e altruista, ricco di sfumature e di contraddizioni.

L’elemento che sembra affascinare maggiormente Martone è l’inscindibilità tra vita e teatro che caratterizza l’attore napoletano, che è sempre in scena anche quando, semplicemente, vive ed è sempre vivo quando recita, un binomio che ha uno scotto da pagare ma che lo rende davvero popolare.

Nella sua dimensione votata all’eccesso, Scarpetta ha nove figli da tre nuclei familiari diversi ed è il capostipite di una genìa di attori che proietterà il teatro dialettale nella modernità, una svolta già attuata da Scarpetta con “l’uccisione” di Pulcinella e la creazione di Scisciammocca: gli Scarpetta e De Filippo porteranno segni e genialità dell’ingombrante figura paterna, richiamata, rielaborata e ricostruita in molte delle loro opere.

In controluce, aleggia una domanda: se la vita e la società hanno spesso i contorni della farsa, dove finisce la parodia e dove inizia il plagio? Dove può spingersi il diritto di satira? Questioni che Qui rido io affronta con intelligenza e sobrietà, nel contesto di una ricostruzione storica – come sempre in Martone – assolutamente impeccabile.