MONDO
Questioni decisive per comprendere la nuova piega del conflitto armato in Colombia
Una componente delle FARC ha annunciato il ritorno alle armi. Quali saranno le conseguenze di questa decisione per la Colombia? Che ne sarà dei già fragili accordi di pace firmati nel 2016? Quali saranno le mosse della destra di fronte alla nuova situazione nel paese?
Il manifesto letto da Iván Márquez, e diffuso il 29 agosto per video, nel quale annuncia, assieme ad una ventina di guerriglieri, il ritorno all’insorgenza come Forze Armate Rivoluzionarie della Colombia – Esercito del Popolo (FARC-EP), significa un cambio di direzione del conflitto armato in Colombia e una rottura definitiva con il partito Forza Alternativa Rivoluzionaria del Comune (FARC), nato dopo la consegna delle armi ed il successivo compromesso con la politica istituzionale. Articolazione con le cosiddette “dissidenze”, coordinamento con alcuni fronti dell’Esercito di Liberazione Nazionale (ELN) e azioni militari di ordine difensivo, sono alcune delle conseguenze temporali che, a seguito di questa notizia, sicuramente, segneranno l’andamento della politica nazionale nei prossimi anni.
«Annunciamo al mondo che è iniziata la seconda Marquetalia [Comune del Dipartimento di Caldas dove nacquero le FARC negli anni ’60, ndr], secondo il diritto universale che assiste tutti i popoli del mondo ad impugnare le armi contro l’oppressione». In questo modo, inizia la lettura del manifesto dietro un grande striscione che dice «Fin quando c’è volontà di lottare, ci sarà speranza di vincere».
Contesto
Dal novembre 2016, il governo di Juan Manuel Santos (2010-2018) e le FARC-EP hanno firmato un accordo che ha messo fine ad un conflitto armato tra lo Stato e la guerriglia bolivariana durato oltre mezzo secolo. “L’Accoro Finale per la fine del conflitto e la costruzione di una pace stabile e duratura” è composto da sei punti: riforma rurale integrale, partecipazione politica, fine del conflitto, soluzione al problema delle droghe ad uso illecito, risarcimento delle vittime e, infine, procedure per la verifica e l’implementazione dell’accordo.
Questo processo, iniziato pubblicamente nel novembre del 2012 a La Avana, Cuba, così come i dialoghi con l’ELN in Ecuador, successivamente trasferiti a Cuba (e sospesi dal governo di Iván Duque), sono nel loro momento più critico. L’estrema destra ha da poco compiuto un anno di governo e questo è una parte del bilancio in materia di violenza politica di questo periodo: sono stati assassinati 229 difensori dei diritti umani, 66 leaders indigeni, 5 leaders afro, 106 contadini e 33 ex combattenti guerriglieri. Dalla firma degli Accordi di Pace nel 2016, sono stati uccisi circa 500 leaders sociali e 150 ex integranti delle FARC-EP.
La “nuova guerriglia” sorge, secondo la sua propria giustificazione, proprio per via del “tradimento” e del non mantenimento di questo accordo da parte dello Stato, e come risposta all’insicurezza fisica e giuridica alla quale sono esposti gli ex combattenti.
I responsabili
Ci troviamo davanti ad una ondata di violenza che, anche se storica, ha mutato le sue dinamiche come conseguenza del processo di pace e, pertanto, alla riconfigurazione del conflitto. Il bellicismo dell’attuale governo si è fatto carico di distruggere quanto costruito. L’uribismo (partito Centro Democratico, capeggiato dall’ex presidente e senatore Álvaro Uribe) non conosce forma differente di fare politica che a partire dalla generazione di paura e terrore. Sono loro i principali beneficiari del ritorno alle armi di questa fazione della guerriglia, nonostante non siano gli unici responsabili della situazione.
Una importante parte delle antiche FARC-EP, sopratutto i fronti che si sono finanziati con il giro di affari del narcotraffico, sono stati i più restii di fronte al processo di pace, e non hanno seguito la chiamata di rilascio delle armi, contemplata nell’accordo. Da allora, sono conosciute come “dissidenze”. Sono una minoranza, tuttavia, è possibile che finiscano per integrarsi alla nuova organizzazione, che sta iniziando un processo di cooptazione e crescita politico-militare.
Altri responsabili della situazione attuale sono i politici di centro (“i verdi”), cioè quelli che non si considerano né di sinistra né di destra. L’ambivalenza di questo settore, guidato dall’ex candidato alla presidenza Sergio Fajardo (che si è fatto promotore del voto in bianco nel 2018 durante i ballottaggi, voltando le spalle alla pace) e da Claudia López (che è in testa ai sondaggi come prossimo sindaco di Bogotà), vuole mantenere il bacino elettorale raggiunto negli ultimi anni, distanziandosi dai progressisti e dalla sinistra come strategia politica per consolidarsi come “l’alternativa” all’uribismo. Ciò nonostante, ridurre l’insorgenza a meri gruppi criminali e ostentare una attitudine vendicativa con il partito FARC, con il quale si è rifiutato di partecipare ad una coalizione che cercava, giustamente, di abbracciare e rafforzare il processo di pace, sono stati alcuni dei suoi comportamenti.
Un terzo responsabile è la società civile colombiana. Gli sforzi per consolidare una pace stabile e duratura non sono stati sufficienti. La mobilitazione sociale nelle città non è stata permanente, ma congiunturale, e non sempre di massa. Nella stessa maniera, avvenimenti come la sconfitta del plebiscito per la pace nel 2016 ed il trionfo elettorale dell’estrema destra nel 2018, hanno messo fine a qualsiasi possibilità che la fine del conflitto e la costruzione della pace potessero essere una politica di governo.
Occorre aggiungere che il mancato compimento dell’accordo non è iniziato un anno fa con il ritorno dell’uribismo al potere, ma che è iniziato dal momento stesso della sua firma con il governo di Santos.
Il futuro del partito politico FARC
La Corte Costituzionale ha deliberato a favore di Jesús Santrich [ex guerrigliero FARC delegato all’Avana per il processo di pace e per cui il tribunale di New York aveva chiesto l’estradizione, ndr], dato che non ha trovato prove sufficienti per condannarlo o chiedere la sua estradizione. Tuttavia, pochi giorni prima dell’appuntamento, ha abbandonato la scorta e, dopo un mese, è apparso nel video di ieri, nuovamente armato. Lo stesso è avvenuto con Iván Márquez, il quale ha abbandonato un anno fa gli ETCR (Spazi Territoriali di Formazione e Reincorporazione) nei quali si trovava.
Timoleón Jiménez, “Timochenko”, presidente del partito, ha rifiutato con veemenza la nascita di questa guerriglia. Ha chiesto scusa, ha detto di provare vergogna ed ha affermato che il 90 percento di coloro che hanno lasciato le armi sono impegnati nel processo di pace. Tuttavia, il silenzio di Timochenko di fronte alla dura situazione del processo di attuazione è stato scomodo. Sembrerebbe che non voglia generare alcun disaccordo con l’Establishment da quando ha accettato le regole del gioco, cosa che va nella direzione opposta a quanto fatto durante i suoi 40 anni come guerrigliero.
Possiamo dire che è stato perseguito l’intento di realizzare una partecipazione politica, anche se il suo impatto nazionale-elettorale è stato irrisorio: FARC ha vari seggi nel Congresso della Repubblica come risultato dell’accordo e, inoltre, parteciperanno alle prossime elezioni regionali. Tuttavia, il Congresso, la cui maggioranza è di destra, ha negato la possibilità che la Giustizia Speciale per la Pace (JEP) [organo di Giustizia Transitiva, ndr] – che ha salvato Santrich dall’essere estradato negli Stati Uniti in prima istanza- possa essere portata avanti nella dovuta maniera. Lo stesso avviene per quanto riguarda il punto dedicato alle vittime, dato che le circoscrizioni speciali per le vittime del conflitto armato sono state bloccate dal potere legislativo.
Uribe e i sostenitori della guerra hanno chiesto che l’Accordo di Pace fosse eliminato dalla Costituzione, mentre FARC, i partiti di sinistra ed il movimento sociale, continuano a pretendere l’adempimento degli impegni presi e la soluzione definitiva al conflitto armato. Tuttavia, nonostante la decisione di tornare alla guerra abbia senso per gli argomenti esposti da Márquez, essendo l’attuale governo il principale responsabile del mancato compimento degli accordi, resta una decisione le cui conseguenze ricadono, in generale, su tutto il paese e, in particolare sulle basi del partito che stanno affrontando un processo di reinserimento. La guerriglia che inizierà ad operare considera ingenuo, un errore, aver deposto le armi, e quindi cercherà di contagiare altri ex combattenti permeati dal malcontento della mancata implementazione degli accordi di pace e dello sterminio di coloro che ne sono state vittime, affinché si uniscano al nuovo movimento insorgente.
Alcune riflessioni finali
La nuova guerriglia ha vecchi guerriglieri. Iván Márquez, Jesús Santrich, “Romaña” e “El Paisa”, tra gli altri che si vedono nel video. Sanno bene come fare una guerra di resistenza, hanno esperienza nelle foreste e nelle montagne del paese. Ci saranno scontri con le formazioni paramilitari che si sono rafforzate nell’ultimo anno, e sarà permeata dal narcotraffico, che si è moltiplicato.
Difficilmente, si potrà parlare di una pace, con vita degna e giustizia sociale fin tanto che continuano gli assassinii dei leader sociali e degli ex combattenti. Anche l’autoinganno di FARC, che sovradimensiona gli aspetti del post-accordo che stanno funzionando, come alcuni progetti produttivi o l’ingresso di ex combattenti all’educazione formale, pregiudica la costruzione della pace perché smette di opporsi allo Stato per il disastro umanitario presente.
Il governo nazionale, in teoria, dovrebbe proteggere le zone di reinserimento ed evitare che altri ex combattenti tornino alle armi. È probabile che questo non avvenga, considerato che è un governo negazionista: nega l’assassinio sistematico dei leaders sociali, considera il paramilitarismo una questione del passato, non accetta che FARC abbia dato seguito a quanto pattuito in maniera disciplinata. Giocano con la memoria del conflitto e con le vittime, le montature giudiziarie e la persecuzione politica del movimento sociale sono continue: minacce, carcere ed esilio. Questo governo non ha nemmeno ascoltato l’ELN, che continua a manifestare la sua volontà di dialogo nel mezzo degli scontri. Ignora anche le richieste degli organismi internazionali che esigono il rispetto degli accordi, mentre mette da parte il processo di pace per dedicarsi agli attacchi contro il Venezuela, mantenendo la sua tradizione di soggiogamento all’imperialismo nordamericano.
Va poi evidenziato che solo la destra uribista e la sinistra più dogmatica sta festeggiando questo manifesto, e non solo in Colombia. In Argentina, per esempio, alcuni militanti di sinistra, dalla comodità della città, celebrano la lotta armata, non conoscendo le sfumature che questa ha avuto in Colombia e ignorando che, in questo conflitto, sono i poveri a morire. D’altro canto, in Spagna, nelle reti sociali, si vedono le sette staliniste esaltare la lotta armata senza alcun tipo di contesto, non sapendo che, in questo caso, la lotta armata è lontana dal perseguire un orizzonte socialista.
In ogni caso, risulta urgente un confronto sul concetto di pace di cui la Colombia ha bisogno ed i metodi con cui questa va conquistata: tornare nelle piazze, ma questa volta, far si che siano vincenti; riappropriarsi della memoria e denunciare i crimini di Stato a livello internazionale, dato che la disinformazione e l’assedio mediatico sul conflitto sono un problema potente. Inoltre, di fronte al concetto di pace è riprovevole la postura ultra-pacifista, che è nociva tanto quanto l’ultra-bellicosa. Essere a favore della pace è capire che ci sono molteplici cammini e che dobbiamo sceglierne uno che si discosti dalla passività e dall’indignazione selettiva.
Infine, va sottolineato che la violenza in Colombia è una violenza capitalista. Il modello del post-accordo si è riconfigurato senza pensare alla pace, dato che si è dato come strategia per dare priorità ai profitti del grande capitale. Si può anche leggere come una “pace neoliberale”. La pace non può essere intesa come un momento o uno stato spirituale; questa deve permettere una accezione che implica la disputa ed il confronto tra modelli di paese e di società. Per dare una idea, vale la pena far riferimento ad una dichiarazione dell’ex ministro delle Finanze Juan Carlos Echeverry, realizzata nel 2016: «La pace è sempre più importante per l’economia colombiana, perché ci aiuterà a costruire una nuova economia. (…) Finito il boom dei prodotti primari, del petrolio, dei minerali, questa nuova economia si fonderà sull’agricoltura, il turismo, l’industria e settori che dipendono in maniera critica dal raggiungimento della pace».
Pubblicato in spagnolo su La Tinta.
Traduzione italiana di Elisa Gigliarelli per DINAMOpress.
Foto di Sebastian Bolaños Pérez per DINAMOpress.