OPINIONI

Quando il fiume esonderà: il movimento per la giustizia climatica è al giro di boa?

Tra la Cop26 di Glasgow, il G20 di Roma e la PreCop26 di Milano, il movimento per la giustizia climatica è definitivamente uscito dal letargo in cui l’aveva costretto la pandemia. L’analisi della redazione di Milano In Movimento

Dopo la prima fase espansiva, compresa tra la primavera e l’autunno del 2019, il movimento per la giustizia climatica ha subito un duro arresto causato dalla pandemia e dalle limitazioni delle libertà di movimento che essa ha causato. L’autunno del 2021 arriva quindi dopo più di un anno di scioperi digitali e iniziative che hanno avuto il pregio di non disgregare il movimento e tenerlo attivo ma sicuramente senza il tenore e la partecipazione dell’ondata precedente.

Così tra settembre e novembre arrivano in Europa tre importanti vertici internazionali: la PreCop26 di Milano, il G20 di Roma e la Cop 26 di Glasgow, in Scozia. In corrispondenza di questi vertici, che dovevano svolgersi l’anno precedente ma che erano stati rimandati per la pandemia, il movimento ha costruito importanti mobilitazioni dimostrando di essere uscito definitivamente dal letargo.

Le mobilitazioni durante la PreCop di Milano hanno ottenuto due risultati di rilievo. Per prima cosa le delegazioni internazionali di Fridays For Future hanno portato finalmente in Italia e nelle piazze italiane le voci delle popolazioni indigene e dei MAPA (Most Affected Peoples and Areas) aiutando così il movimento italiano a superare parte del suo eurocentrismo. Ma soprattutto hanno avuto il pregio di aver generato le più grandi manifestazioni per il clima in Italia dall’inizio della pandemia arrivando a portare in piazza più di 50mila persone, sancendo il ritorno del movimento per la giustizia climatica nel dibattito pubblico italiano e internazionale.

Poche settimane dopo, al G20 di Roma, abbiamo visto delle piazze che, pur non raggiungendo la partecipazione di Milano, sono riuscite a mobilitare decine di migliaia di persone.

L’esperienza della rete ecosistemica romana e del Roma Climate Camp, che ha visto convergere tutte le realtà ecologiste romane (da Fridays For Future a Extinction Rebellion, da Greenpeace ai centri sociali romani) dimostra che quando le organizzazioni hanno come priorità la cura dei processi, e non ottenere visibilità il movimento si manifesta unitario e radicale. Ma il contributo più significativo delle giornate di Roma è stato quello di riuscire a portare in strada la necessità di superare il ricatto ambiente lavoro, uno dei nodi fondamentali da affrontare per disegnare “l’altro mondo necessario” evocato dai movimenti. Le immagini dei ragazzi di Fridays For Future in piazza con gli operai della GKN e di altre fabbriche in lotta contro le delocalizzazioni danno finalmente concretezza allo slogan ‘giustizia climatica è giustizia sociale’.

Foto di Renato Ferrantini

Ciò che è accaduto in Scozia in occasione della Cop26 di Glasgow, la ventiseiesima edizione della conferenza delle parti sul cambiamento climatico assume tuttavia un’importanza molto maggiore e avrà ricadute a livello globale. Abbiamo già raccontato alcuni aspetti positivi di queste giornate da cui il movimento per la giustizia climatica esce sicuramente rafforzato: è un movimento intersezionale, decoloniale, femminista, antirazzista e anticapitalista che è riuscito a raccogliere più di 250mila attivisti nelle strade della capitale scozzese. Tuttavia cerchiamo di mettere a critica alcuni ragionamenti che ci possono aiutare a tracciare l’orizzonte futuro del movimento per la giustizia climatica.

Un primo dato è che le parole e i gesti di Greta Thunberg (non solo le sue) alla Cop26 chiudono una fase del movimento e ne aprono una nuova. Due anni fa non avrebbe mai annunciato il fallimento dei negoziati andandosene dal vertice a una settimana dalla fine sbattendo la porta. E’ chiaro che non c’è più nessuna aspettativa nei confronti della classe politica internazionale.

La Cop viene quindi definita la fiera dei bianchi colonialisti e greenwashers ed è chiaro che una porta si sta definitivamente chiudendo.

A dare dimostrazione di questo sono stati gli esiti di questa fase di negoziati, partiti d’estate ai G20 di Venezia, Napoli e Firenze, transitati per la PreCop di Milano e conclusi tra il G20 di Roma e la Cop scozzese. L’immagine delle lacrime del presidente della Cop Alok Sharma spazzano via la narrativa dominante di un accordo sì al ribasso ma comunque un passo avanti rispetto a prima. La prospettiva di un miglioramento esiste solo dal punto di vista di politici e giornalisti, di certo non da parte di chi la crisi climatica la vive e la vivrà sempre di più, persone illuse da una Cop raccontata come il momento di svolta che ha però avuto l’esito di rimandare una volta di più, alla Cop di Sharm el Sheikh del 2022, il momento in cui “prenderemo decisioni concrete”. Il coming out più palese e violento della distanza mostruosa tra i negoziati sul clima, ormai terreno primario di scontro geopolitico tra potenze economiche, e chi la crisi climatica la vive maggiormente, avviene nell’ultimo giorno di negoziato, in cui Cina e India ottengono la rimozione del vincolo sull’eliminazione totale sul carbone.

Un’ingerenza brutale compiuta a negoziato praticamente chiuso col beneplacito delle potenze occidentali, mentre questa possibilità è stata negata sistematicamente all’alleanza degli stati insulari, destinati a sparire del tutto con l’innalzamento dei mari, che hanno provato fino all’ultimo a ottenere un accordo migliore.

Foto da Flickr

Mettendo insieme le parole e le posizioni di attiviste e attivisti con la violenza mostrata da queste negoziazioni asimmetriche ed elitarie, ci chiediamo se i tempi non siano maturi per l’apertura di una nuova fase del movimento e quale potrebbe essere questa fase. In questi due anni ci siamo abituati a sentire dai Fridays For Future e dagli altri giovani attivisti per la giustizia climatica discorsi il cui fulcro era il fare pressione sulla politica e sui grandi decisori, sulla richiesta di ascolto e assunzione del problema. Il movimento sta passando alla messa in discussione del ruolo stesso dei decisori, affermando che la speranza è nelle strade, nelle piazze, nel movimento stesso e non nei negoziati istituzionali.

La costante sussunzione dei discorsi degli attivisti da parte della politica, che fa sembrare gli speech di Boris Johnson quelli di un attivista, da un lato palesa che il movimento ha avuto la forza di imporre delle parole d’ordine, dall’altro costituisce la prova che essere un movimento d’opinione, per quanto estremamente forte, non impedisce ai rappresentanti dei paesi più responsabili della crisi climatica di giocare a risiko sulle vite di milioni di persone.

L’assunzione di questo stato di cose però implica un cambio di passo. E’ necessario diventare noi stessi la risposta alla crisi climatica.

Sperimentare esperienze di autonomia dal sistema capitalista, di autogoverno, che sappiano radicarsi nei territori e rappresentare un’alternativa per l’esistenza dei singoli individui sul territorio (esempi virtuosi in Italia sono state per esempio le Brigate e il movimento NoTav, la Zad in Francia). La capacità o incapacità di cogliere o meno questo cambio di passo determinerà se il prossimo ciclo di lotte per il clima che si va ad aprire sarà un ciclo espansivo o meno.

Il mondo va verso una fase di cambiamenti impressionanti, anche maggiori di quelli che abbiamo visto con la pandemia, e lo stesso ruolo politico egemone delle democrazie occidentali viene sempre più messo in discussione dai colossi della tecnologia digitale e della logistica, che determinano sempre più come ci relazioniamo, cosa consumiamo e come comunichiamo. La costruzione e la realizzazione di ambiti politici che sottraggano tempo, merce, lavoro e relazioni alle leggi del consumo e della crescita infinita su un pianeta finito, diventa un’alternativa di sopravvivenza alla crisi climatica e alle feroci diseguaglianze che si acuiranno. L’adattamento al cambiamento climatico e all’esaurimento delle risorse è una necessità, la creazione di spazi alternativi che diano respiro alle lotte e alla costruzione di comunità che lottino dentro e fuori se stesse contro ogni tipo di diseguaglianze è la scommessa da azzeccare nel prossimo futuro.

Il testo è stato originariamente pubblicato sul sito di Milano In Movimento

Foto di copertina di Alberto Manconi