ITALIA
Quali standard e quale community? Bloccato il profilo Instagram di Cheap
Il profilo instagram di CHEAP, progetto di arte pubblica bolognese, è stato momentaneamente disabilitato dalla piattaforma, che sembra essere molto disinvolta nella censura di chi fa attivismo transfemminista
«Il tuo account è stato disabilitato perché non rispetta le nostre condizioni». Migliaia di attivistə che utilizzano il loro profilo instagram per fare divulgazione e documentare il proprio lavoro vivono con la paura che un giorno possano aprire l’applicazione e leggere questo messaggio. Lo scorso mercoledì è successo allə attivistə di CHEAP, progetto di arte pubblica attivo a Bologna dal 2013. «Come transfemministe lavoriamo molto sui corpi – spiega Sara Manfredi, co-founder del progetto – e questo significa che nei nostri interventi in strada spesso ci sono dei nudi: fotografie, illustrazioni o graphic design che rappresentano corpi fortemente politici, non eteronormati, non erotizzati».
Instagram aveva già eliminato alcuni post dal loro profilo per lo scandalo che rappresentavano questi corpi, in particolare i capezzoli femminili, rispetto agli standard della community. Per evitare un’ulteriore censura lə attivistə di CHEAP avevano iniziato a modificare le foto dei loro interventi pubblici con delle pixellature mirate.
Lo stesso avevano fatto con le foto del progetto di Rebecca Momoli, Her name is revolution, che è nelle strade di Bologna dallo scorso ottobre. Le foto erano state pubblicate senza particolari segnalazioni, fino a martedì scorso, quando uno dei post ha iniziato a circolare molto nelle storie dellə follower del profilo perché la descrizione aveva un testo di riflessione sul diritto all’aborto. «C’era anche un riferimento a un noto conduttore televisivo che dal programma di una rete nazionale aveva fatto delle esternazioni sul fatto che “noi”, non si capisce quale noi, “siamo contrari all’aborto”», racconta Sara spiegando che nel testo si ribadiva il fatto che in Italia le donne non hanno più bisogno del permesso di nessuno per ricorrere a un’interruzione volontaria di gravidanza perché è un diritto riconosciuto dalla legge.
Le persone che avevano condiviso il post si sono ritrovate con le storie cancellate dalla piattaforma perché «non rispettano gli standard della nostra community», poco dopo anche il post in questione è stato rimosso e l’account di CHEAP – 42 mila follower e quasi dieci anni di documentazione del loro lavoro – eliminato. È possibile che il post sia stato preso di mira da un’ondata di segnalazioni da parte dell’universo di soggetti di estrema destra e incel che con i loro profili tormentavano costantemente l’attività della pagina di CHEAP, cosa che d’altronde «sta succedendo a molte attiviste e voci critiche, soprattutto nel panorama del femminismo», osserva Sara.
Fatto sta che per adesso non è arrivata nessuna spiegazione dalla piattaforma su questa azione, è stata avviata la procedura standard che segue la disabilitazione di un account e anche l’avvocata del progetto sta seguendo la cosa.
Lo spazio principale di azione per CHEAP non è online, come spiega Sara: «Noi siamo in strada, è il nostro primo luogo di intervento. Le strade delle città riproducono perfettamente gli schemi di esclusione e privilegio delle nostre società e lo fanno sulla base della classe, della razza e del genere». Portare nel tessuto urbano immagini di corpi che ribaltano la logica ciseteropatriarcale vuol dire inserirsi in un conflitto che si concretizza anche sui muri delle città e di questo lə attivistə di CHEAP sono molto consapevoli perché, come spiega Sara, «Quello che promuoviamo con la nostra pratica è un gesto di cura nei confronti della città e delle comunità che ci vivono». Proprio perché si tratta di un conflitto, nelle strade come in rete possono arrivare le aggressioni: «A volte i nostri poster vengono censurati o strappati, ed è una cosa rispetto alla quale non vogliamo fare un passo indietro».
Il profilo instagram era dunque un’estensione di questo lavoro che permetteva al progetto di arrivare a moltissime persone al di fuori della città di Bologna, ma anche fuori dall’Italia e dall’Europa. Questa vicenda, l’ennesimo atto di censura da parte di instagram nei confronti di chi fa attivismo transfemminista, pone delle domande. Come osserva Sara, quando si prova a segnalare una pagina o un gruppo neofascista, nella maggior parte dei casi la risposta della piattaforma è che il profilo segnalato «non viola gli standard della nostra community».
È quindi il caso di chiedersi «quali sono gli standard di questa community quando invece la difesa del diritto di autodeterminazione delle donne sui propri corpi ti porta a essere silenziata».
Inoltre, a volte sembra passare i secondo piano il fatto che instagram è una piattaforma privata, come sottolinea Sara: «I social che utilizziamo sono di proprietà di un’azienda e non è uno spazio pubblico, siamo noi a sbagliare nel considerarlo come tale». Un paradosso difficile da risolvere per chi ha bisogno di far arrivare il proprio messaggio politico a molte persone, ma che «dovrebbe servire a porsi delle domande e a trovare collettivamente delle risposte insieme a degli strumenti per uscirne in qualche modo», conclude Sara.
In ogni caso gli interventi urbani di CHEAP sono sempre visibili nella città di Bologna e mentre la procedura per chiedere la riattivazione dell’account è ancora in corso è stato creato un account di riserva. Per chi volesse aiutare lə attivistə di CHEAP a fare pressione alla piattaforma basta seguire queste indicazioni.
Tutte le immagini di Margherita Caprilli