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Quale memoria per il 25 aprile?
Non c’è niente di statico in come e cosa ricordiamo del nostro passato. Una rilettura di Filippo Focardi per analizzare le evoluzioni del cantiere memoriale italiano
Che rapporto esiste tra i modi in cui ricordiamo del passato e i risultati della ricerca storica?
Esistono dei limiti all’uso pubblico della storia e soprattutto al suo uso politico o partitico?
Il 25 aprile 1945 e la Resistenza italiana e i dibattiti e le polemiche legati al loro significato e alla loro celebrazione, rappresentano un perfetto caso di studio per individuare una strada che da quelle domande conduca a delle risposte.
Nell’ultimo anno Filippo Focardi, uno degli storici che con costanza ed egregi risultati indaga la questione della relazione tra storia e memoria pubblica, ha affrontato il tema ricostruendo i percorsi della memoria pubblica della Resistenza, del fascismo, della Shoah e delle foibe.
La ricostruzione che emerge è quella di una vera e propria storia della cultura del ricordo in Italia, che individua la genealogia di alcuni dei topoi storici nei quali la società italiana si specchierà e riconoscerà per quasi tutto il secondo Novecento. Focardi ha riassunto in un volume, Il cantiere della memoria. Fascismo, Resistenza, Shoah, Foibe (Viella 2020), quasi vent’anni di ricerca storica concentrati sull’investigazione dei processi di costruzione della memoria pubblica nell’Italia repubblicana e nel contesto europeo.
Un primo elemento di estremo interesse è l’inserimento delle dinamiche di costruzione della memoria della Resistenza in relazione ai percorsi di altre memorie, quelle appunto del fascismo, della Shoah e delle foibe.
Questo processo d’analisi permette a Focardi di evidenziare contrapposizioni e sovrapposizioni tra queste memorie. Su questa linea è importante notare come una certa costruzione della memoria del fascismo, quella di un regime senza popolo, sia funzionale all’affermazione della Resistenza come movimento di popolo, per nulla coinvolto con il ventennio e tutt’al più relegato al ruolo di vittima succube di un dittatore.
Focardi ci costringe a sconvolgere la cronologia resistenziale per poter leggere in maniera comprensibile alcune dinamiche della memoria che si attiveranno nel secondo dopoguerra. Innanzitutto riconosce al principio di tale costruzione l’identificazione del tedesco come il “cattivo” e la rappresentazione dell’italiano come il “buono”. In quella che era una alleanza politica e militare tra Italia fascista e Germania nazionalsocialista e che storicamente vide tanto i tedeschi quanto gli italiani compiere eccidi e svariati crimini di guerra, la rappresentazione dell’italiano buono viene costruita in contrapposizione alla figura del soldato tedesco, carnefice privo di umanità.
La rappresentazione dell’italiano buono in antitesi al tedesco cattivo ha avuto e continua ad avere un ruolo importante nello scostamento avvertibile tra i risultati della ricerca storica e i contenuti della memoria pubblica.
Laddove infatti la ricerca storica mette in evidenza le responsabilità italiane nella persecuzione degli ebrei il dibattito pubblico continua a essere caratterizzato da un immaginario nel quale nonostante le leggi di regime l’italiano opera da salvatore degli ebrei al contrario del tedesco carnefice.
Come aveva già sottolineato nel suo Il cattivo tedesco e il bravo italiano (Laterza 2013) Focardi fa riflettere su quanto questa rappresentazione sia stata storicamente funzionale per scaricare le responsabilità del conflitto e la condotta criminale di esso sulle spalle della Germania e allo stesso tempo dar vita a una «dimensione epica e nazionale della Resistenza», garantendo un attestato di innocenza al popolo italiano.
Una dinamica comune a molti contesti europei ma che in Italia assumeva tratti molto particolari perché il paese non era stato occupato dalla Germania ma era entrato in guerra al fianco del regime nazionalsocialista, il che rendeva tortuoso il processo di autoassoluzione del popolo italiano dalle proprie responsabilità nel conflitto e nel modo in cui era stato condotto.
Una costruzione che non si ferma al primo periodo repubblicano ma che ritorna nel dibattito pubblico come dimostrano i termini all’interno dei quali si è sviluppato il dibattito pubblico durante il processo Priebke, negli anni Novanta e Duemila.
Una dinamica, quella del cattivo tedesco e del bravo italiano, con molti punti in comune e in parte sincrona a quella che riguarda le responsabilità del colonialismo italiano, in particolare di quello in epoca fascista. La completa deresponsabilizzazione degli italiani in colonia seguirà il percorso della costruzione nell’immaginario di un italiano colonizzatore buono, devoto alla costruzione di strade e all’«innalzamento civile e morale» delle popolazioni colonizzate che verrà contrapposto al colonizzatore britannico e a quello francese, votati questi all’arricchimento personale e allo sfruttamento delle popolazioni assoggettate.
Cronologicamente quindi Focardi ci suggerisce di guardare prima del 25 aprile 1945 per poter cogliere tutte le caratteristiche e le dinamiche della formazione della memoria pubblica del conflitto che si affermeranno nel secondo dopoguerra ma soprattutto ci suggerisce che per capire come è nata e si è sviluppata una memoria pubblica della Resistenza italiana non possiamo al contempo non prendere in considerazione e analizzare il come nasce e si sviluppa una memoria del fascismo.
La prospettiva adottata da Focardi permette di individuare come la costruzione della memoria non sia statica ma soggetta a mutamenti, e che questi ultimi non siano necessariamente collegati a eventi nazionali.
È il caso dei mutamenti della memoria pubblica collegati alla fine della guerra fredda e al declino dell’ideologia comunista. Il periodo che viene definito «guerra della memoria» si apre proprio a ridosso di questi eventi di portata mondiale ma anche in concomitanza con la crisi del sistema politico italiano nei primi anni Novanta e l’arrivo al potere dei governi di centrodestra guidati da Silvio Berlusconi.
È in questo periodo secondo Focardi che possiamo individuare la crisi della memoria della Resistenza e dell’anti-fascismo e il tentativo invece di introdurre nel paese un paradigma memoriale tutto centrato sull’anti-totalitarismo. Allo stesso tempo si assiste in questa fase a una assunzione di centralità della memoria della Shoah e all’istituzionalizzazione della memoria delle foibe.
A partire dal 2015 e dal settantesimo anniversario della Liberazione Focardi intravede i segnali di una possibile controtendenza rispetto al periodo dei governi di Silvio Berlusconi caratterizzati da un’opera di revisionismo anti-antifascista che ha avuto per oggetto la Resistenza.
Durante le celebrazioni del settantesimo anniversario del 25 aprile, in Parlamento Bella ciao aveva preso il posto dell’Inno di Mameli.
I continui e attuali tentativi di contestazione del 25 aprile e dell’antifascismo come paradigma della Repubblica e della società italiana defascistizzata testimoniano però che il cammino per una memoria condivisa è ancora lungo e se mai questo percorso dovesse avere un punto d’arrivo non sembra di scorgerlo all’orizzonte.
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