MONDO
“Se qualcosa cambierà in Messico, sarà frutto della mobilitazione popolare”
Intervista ad Antonio Cerezo Contreras, attivista e difensore di diritti umani, commenta la fase che sta attraversando il paese a poche settimane dall’insediamento al potere di Andrés Manuel López Obrador.
Quali sono le principali sfide che vi attendono, come difensori di diritti umani nella nuova tappa che vive il Messico dopo le elezioni presidenziali?
Ieri abbiamo realizzato un forum proprio su questo tema. In primo luogo le cifre ci dicono chiaramente che c’è un notevole numero di vittime di violazioni di diritti umani nel nostro paese, le cifre per quanto riguarda desapariciones, esecuzioni extragiudiziarie e detenzioni arbitrarie sono inquietanti. Affrontare questo tema sarà cruciale. Non possiamo non ricordare che il diritto umano alla Verità, alla Giustizia e alla Riparazione integrale sono inseparabili. C’è stata una certa tendenza nel discorso pubblico ad anteporre alla giustizia e alla verità il perdono e la riconciliazione. Una vittima una volta ha detto «Beh, se qualcosa o qualcuno dobbiamo perdonare, almeno ci dicano chi e di che cosa dobbiamo perdonarli».
Se non c’è verità, di che cosa perdoni qualcuno? Non si può perdonare chiunque in qualunque modo, il primo passo da fare è l’accesso alla verità. Che è successo? Chi lo ha fatto? Perché? E se da questo ne viene fuori un processo che porta alla giustizia, beh, allora meglio ancora, perché la giustizia non è vendetta. Chi ha commesso i reati deve essere condannato in modo proporzionale ai delitti che ha commesso. Pertanto è fondamentale non separare mai la verità dalla giustizia, e dalla riparazione integrale del danno. Quest’ultima spesso non può accadere (non ti possono restituire un familiare ucciso) ma deve essere garantita per assicurare la non ripetizione del crimine. È necessario smantellare le strutture (legali o illegali che fossero) che hanno permesso la violazione a diritti umani.
Spesso viene indicata la fase che si attraversa quando si esce fuori da un conflitto quale quello vissuto dal Messico come fase di “Giustizia Transizionale”. Cosa ne pensi in merito?
Siamo contrari al concetto di giustizia transizionale perché non garantisce la riparazione integrale del danno. La giustizia transizionale nasce nella tradizione spagnola, in quel processo che ha portato dalla dittatura di Franco alla “democrazia”. Questo modello non è solo quello tipico della fine di un conflitto, ma è un modello che ha come obiettivo la riconciliazione. Un modello classico attuale è quello colombiano. «Nel 2020”, si dice, «il paramilitare che partecipi alla ricostruzione della verità può tornare alla vita normale». Ma proprio questi militari che hanno fatto questo processo sono quelli che ora stanno ricominciando ad ammazzare la gente. In questo modo non completi uno schema che garantisca la non ripetizione del crimine e, al tempo stesso, legittimi un regime.
Il modello della “giustizia transizionale” è un modello perverso che non mette in discussione un sistema ingiusto che provoca le violazioni a diritti umani ma al contrario le legittima, così come legittima un modello economico politico e sociale. Non lo mette mai in discussione.
Vogliono modellare il discorso delle vittime per adattarlo a questa visione, non possiamo accettarlo. Certo vogliamo pace e riconciliazione, ma non ci saranno mai se prima non c’è verità e giustizia. Non c’è stato un conflitto dichiarato, in Messico, ma si ci sono state migliaia di vittime di desaparición forzata, di esecuzioni extragiudiziarie e molto altro ancora. Non c’è un conflitto ma ci sono risultati che sono paragonabili a un vero e proprio conflitto. Le cifre conservative parlano di 35.000 desaparecidos in 10 anni.
Qual è la posizione di AMLO rispetto a questa “fuoriuscita” dal conflitto?
Finora è stato molto ambiguo. In un forum di vittime promosso da Morena (il partito del nuovo presidente, ndr), il 17 agosto ha detto che bisogna perdonare, che rispetta chi non lo chiede, ma che lui, per loro, chiede perdono. Il perdono però è una questione privata, morale, non c’entra con la garanzia della giustizia. Ma i suoi futuri funzionari, anche in reazione alle conseguenze di questo suo discorso, hanno cercato di sfumare la posizione e aprire a un discorso che includa la giustizia. In particolar modo hanno chiesto una commissione della Verità per Ayotzinapa. Anche AMLO lo ha promesso. È il caso più rilevante ma non è l’unico: prima di Ayotzinapa c’è stato il massacro di San Fernando di 72 migranti prima fatti scomparire e poi uccisi in modo extragiudiziario, nel 2008. Se una commissione deve essere aperta, deve coprire tutti i casi dal 2006 a oggi, non solo Ayotzinapa.
Ci sono state altre ambiguità nelle posizioni di AMLO. Ha appena detto che «per il momento» l’esercito rimarrà nelle strade. Allora quale è l’alternativa, se dici lo stesso che disse Peña Nieto? Chi ci garantisce che l’esercito tornerà nelle caserme? Ci sono dubbi che questo cambiamento accada e ci sono dubbi su cosa intenda per cambiamento.
Come si comporterà il nuovo governo davanti al potere delle imprese estrattiviste?
Le riforme strutturali cominciano con Calderón con la riforma del lavoro nel 2012. La prima riforma strutturale è datata 1992, la riforma dell’articolo 27, ma con i governi Calderón e Peña Nieto diventano sistematiche. Sono state fatte 11 riforme strutturali che favoriscono l’economia estrattivista.
La prima riforma che AMLO ha promesso di abrogare è quella educativa. Per quanto riguarda la riforma energetica, all’inizio aveva detto che l’avrebbe stracciata ma poi invece ha detto che ci saranno consultazioni in merito. Questo cambio nel suo discorso dipende dalle forze con cui AMLO si confronta. Peña Nieto nell’ultimo anno ha detto: «faremo tutto quello che si può per rafforzare queste riforme strutturali», cioè ha fatto tutto il possibile nei suoi ultimi sei mesi di governo per rendere gli accordi con queste imprese multinazionali così vincolanti da non permettere che siano rotti in nessun modo. Questo è stato fatto per causare un conflitto economico e politico nazionale e internazionale al nuovo presidente, quando sarebbe giunto in carica. Come ritornare indietro da questo? Al momento ora non può dire «abroghiamo la riforma energetica e con essa tutti i contratti con le imprese (tra cui anche italiane come Eni, ndr) vincolate a quella riforma».
AMLO di sicuro abrogherà la riforma educativa e probabilmente farà delle consultazioni popolari in merito a quella energetica e poi il resto dipenderà anche da quanto il popolo organizzato saprà fare pressione, riuscendo così a determinare la sua agenda politica.
La costruzione del nuovo aeroporto di Città del Messico è un’altra questione calda. Le stime economiche che sono state fatte ci dicono che è semplicemente impossibile, i milioni che servirebbero per mantenerlo non sono sostenibili. Ma per cancellare il progetto AMLO ha bisogno di avere l’appoggio del popolo (anche attraverso le consultazioni pubbliche) per riuscire a imporsi alle multinazionali già pronte a lavorare al progetto. Non vuole aprire un conflitto di sicuro, ma avrà molti altri fronti aperti. Quanti sarà in grado di gestirne?
Lo sta definendo e dovremo adattarci. AMLO ha detto che vuole mettere fine al neoliberalismo. Finirla con il neoliberalismo significa modificare il quadro legale che negli ultimi 35 anni ci hanno imposto per permettere al neoliberalismo di dominare l’economia e la società. Bisogna modificare la relazioni economiche nei fatti, non solo nelle leggi.
Si aprono possibilità per una legge di amnistia?
Hanno parlato di legge di amnistia per piccoli coltivatori di droga. Noi abbiamo ripreso la questione della amnistia per ragioni politiche. Ci sono 300 prigionieri politici, 3000 persone sotto processo giudiziario, un primo atto di giustizia sarebbe smettere di perseguire queste persone. Le loro detenzioni sono per lo più dovute all’opera di resistenza contro l’economia neoliberista. Sono professori, indigeni, difensori della terra, dell’acqua, della foresta. Un primo atto sarebbe proprio questo, concedere l’amnistia per riconoscere che hanno lottato contro il neoliberismo.
Visto che AMLO nella sua retorica riconosce come vicine a lui le lotte di Lucio Cabanas e Genaro Vásquez, allora deve far sì che le persone in carcere per aver lottato contro il neoliberismo siano amnistiate. Purtroppo alcune organizzazioni iniziano già a presentare le proprie liste di prigionieri da liberare. È un peccato che non ci siamo sufficientemente coordinati.
Come immagini che sarà la relazione con gli Stati Uniti?
Se AMLO fa quello che dice i nostri fratelli migranti centroamericani non saranno perseguitati in Messico. Il governo messicano in questi anni è stato uno strumento nelle mani del governo degli Stati Uniti per fermare le migrazioni attraverso la violenza e il terrore, proprio per questo c’è stato il massacro di San Fernando. Questa fu una politica già di Obama, dovuta per lo più alla crisi economica e all’eccesso di manodopera negli Stati Uniti
Per quanto riguarda invece la relazione economica, il rapporto con gli USA sarà più complesso. AMLO e Trump si assomigliano nel rafforzamento dell’economia interna. Trump dice alle imprese: se venite ad aprire qui, togliamo le tasse. Non vuole migranti perché vuole reindustrializzare la nazione con gli statunitensi. Lo stesso vuole farlo AMLO. I grandi imprenditori hanno interessi economici in entrambi i paesi. Bimbo ha interessi negli USA, Carlos Slim (proprietario di Telmex, ndr) pure. Quindi i gruppi economici dovranno scegliere tra i due paesi creando conflitti economici. Gli USA vorranno sempre subordinare il Messico. La volontà di AMLO di favorire un mercato economico interno favorevole è pure la volontà di Trump e andranno in conflitto. Noi che siamo consapevoli che bisogna mettere fine per davvero al neoliberismo dobbiamo riuscire a dare una risposta comune organica e determinata, solo così potremo influenzare in qualche modo le scelte politiche di questo governo. Se non facciamo questo, chi influenzerà AMLO saranno gli imprenditori e la destra e, dopo 6 anni di un suo governo influenzato dalla destra economica, cadrà e avremo anni e anni di estrema destra, come è successo a molti governi socialdemocratici in Europa.