approfondimenti

MONDO
Proteste di massa contro l’arresto del sindaco di Istanbul: cosa accade in Turchia?
Con l’arresto del rivale Imamoglu e la sfida alle piazze che protestano Erdoğan vuole approfittare del momento storico che permette al potere di agire impunito e spera che il tempo giochi a suo favore facendo stemperare l’attuale indignazione
È ormai da oltre una settimana che nelle strade di Istanbul, Ankara, Smirne e altre città turche scendono centinaia di migliaia di manifestanti per esprimere concretamente la loro opposizione al governo antidemocratico guidato da Recep Tayyip Erdoğan, il Sultano della Turchia.
A scatenare questa ondata impressionante di protesta, che mai nella storia del paese ha raggiunto tali livelli, è stato l’arresto di Ekrem Imamoglu, sindaco di Istanbul, avvenuto lo scorso 23 marzo con l’accusa di corruzione. La violenza della polizia, che Erdoğan spera possa spegnere le proteste, non ha per ora fermato le manifestazioni e moltissimi giovani gridano nelle piazze “democrazia!”
Ezgi Basarn, politologa presso la Oxford University, ha potuto accedere alle carte nelle quali vengono formulati i capi di imputazione contro il sindaco e, intervistata dall’emittente Democracy Now!, dice che «le accuse contro Imamoglu sono basate su tre testimonianze anonime, senza prove concrete. Nessun file del pubblico ministero che dimostri i reati finanziari, solo rumors».
Il tentativo di togliere dalla scena politica Imamoglu inizia già nel 2019, quando vince per la prima volta le elezioni amministrative contro il candidato del presidente.
La vittoria è di misura e viene richiesto il conteggio delle schede da parte del partito di Erdoğan, l’Akp. Purtroppo per il Sultano, la nuova conta dà un vantaggio maggiore a Imamoglu. Non avendolo sconfitto nelle urne, ci prova utilizzando il potere giudiziario a lui asservito. Nel 2024 Imamoglu viene nuovamente eletto come sindaco di Istanbul ma questa volta stravince. La sua figura diventa sempre più importante nel paese e per Erdoğan il problema assume dimensioni crescenti. Facendo ricorso alla solita compiacente magistratura, Imamoglu viene accusato di corruzione.
Due giorni prima dell’arresto, al sindaco è stata revocata la laurea il cui possesso, in Turchia, è requisito necessario per candidarsi alle elezioni presidenziali. Imamoglu è il candidato di punta del Chp, il partito di cui è membro e che guida l’opposizione. Il partito aveva da tempo deciso la data del 23 marzo per lo svolgimento delle primarie e queste si sono regolarmente tenute proprio mentre Imamoglu veniva portato in carcere. Gli altri candidati si sono ritirati per permettere che tutti i voti convergessero su Imamoglu e, così facendo, marcare la forza del leader di opposizione da un lato e il dissenso verso Erdoğan dall’altro. Ne è derivato un forte messaggio politico indirizzato al governo perché circa 20 milioni di turchi hanno dato il segnale che il Chp sperava arrivasse.
Erdoğan sta provando a delegittimare il Chp, accusandolo di essersi trasformato in un partito di estrema sinistra. Addita i manifestanti come vandali che distruggono le città mentre manifestano illegalmente per le strade. Le manifestazioni sono state infatti vietate.
Dal 19 marzo, giorno in cui le proteste hanno preso il via in seguito all’annuncio dell’imminente arresto di Imamoglu, oltre 1.800 persone sono state arrestate e tra queste 11 giornalisti. Ezgi Basaran afferma che “non c’è libertà di stampa in Turchia”, evidenziando che i giornalisti faticano a fare il proprio lavoro essendo costantemente minacciati e denigrati. Molti giornalisti si trovano nelle carceri turche con l’accusa di terrorismo e di costituire un pericolo per la sicurezza nazionale. Quando si aprono le porte della cella, per loro significa la revoca del tesserino di giornalista e la perdita del lavoro. Erdoğan spera così di mettere il bavaglio alla stampa.
Nonostante la violenza della polizia e le intimidazioni che i dimostranti ricevono, le piazze continuano a riempirsi perché, come afferma Ezgi Basaran, «il muro della paura si è rotto, come diciamo in Turchia. Studenti e anziani sono scesi tutti in strada per protestare rispetto a quanto è successo. Tutti sanno che questa è una decisione politica e che Erdoğan ha paura di non vincere [le future elezioni politiche del 2028, ndr] contro Ekrem Imamoglu».
Quanto sta accadendo in Turchia, che con l’incarcerazione di Imamoglu fa salire il livello di una repressione politica senza sosta da parte del governo, basti pensare ai tanti co-sindaci curdi rimossi dalle scorse elezioni amministrative del 31 marzo 2023, deve interrogare Abdullah Öcalan, il Pkk e il Dem, la coalizione politica a guida curda e alleata del Chp, rispetto alle trattative in corso per porre fine al conflitto armato tra governo turco e Pkk. L’escalation della repressione coincide con l’inizio delle trattative, così come con la caduta di Bashar al-Assad in Siria per mano delle milizie jihadiste Hts, finanziate da Ankara, e con l’intensificarsi dell’attacco turco, attraverso le milizie Sna, nel Rojava.
La democratizzazione della Turchia richiesta da Öcalan affinché il processo di pace su cui si sta negoziando possa andare a buon fine sembra essere ancora molto lontana.
L’accanimento di Erdoğan non più solo verso i Curdi del Dem ma ora anche verso il Chp potrebbe portare a delle risposte interessanti da parte del popolo turco, purché non si spezzi l’alleanza tra i due partiti d’opposizione. I segnali che provengono dal partito da Devlet Bahceli, leader del partito Mhp, che ha lanciato l’appello rivolto a Öcalan, e alleato di Erdoğan, fanno pensare che un tentativo di sfaldare il fronte delle opposizioni sia in corso. Lo scorso 18 marzo, infatti, in una riunione tra Mhp e Dem per la risoluzione del conflitto tra governo turco e curdi, Bahceli non solo ha ribadito la necessità di sciogliere immediatamente il Pkk ma ha anche criticato il Chp, accusandolo di voler sabotare il processo di pace. Ha poi rivolto il proprio apprezzamento verso gli sforzi che sta facendo il Dem per non farlo naufragare.
Il parlamentare del Dem Mehmet Zeki Irmez ha dichiarato alla Reuters (2) che azioni come quella dell’incarcerazione di Imamoglu «non tracciano la via della democratizzazione e della pace […] riducono il prestigio e la reputazione della Turchia nell’arena internazionale».
Ezgi Basaran sostiene che «quello che ha permesso a Erdoğan di fare ciò che sta facendo è l’ambiente di impunità» e prende ad esempio l’amministrazione statunitense guidata dal presidente Donald Trump, la quale porta avanti una politica muscolare che incenerisce il diritto internazionale, così come sta facendo in modo ancora più drastico Israele con il suo primo ministro Benjamin Netanyahu, che nella più totale impunità sta compiendo il genocidio del popolo palestinese a Gaza.
E che dire dell’Unione europea? L’Ue ha messo nelle mani di Erdoğan la questione dei flussi migratori verso l’Europa e, alla luce delle nuove posizioni della Casa Bianca che battezzano gli europei come accattoni da scaricare, il Sultano acquista punti agli occhi di un’Europa che naviga in alto mare.
Il pragmatico Erdoğan vuole approfittare del momento storico che permette al potere di agire impunito. Sa di avere una crisi economica e un’inflazione nel Paese che lo rendono profondamente impopolare. Se la popolazione vuole manifestare lo faccia ora, in un tempo ancora lontano dalle prossime elezioni. Il Sultano scommette sul tempo che potrebbe giocare a suo favore stemperando l’attuale passione e slancio che stanno vivendo le piazze.
Immagine di copertina da Wikimedia commons
SOSTIENI, DIFENDI, DIFFONDI DINAMOPRESS
Per sostenere Dinamopress abbiamo attivato una nuova raccolta fondi diretta. Vi chiediamo di donare tramite paypal direttamente sul nostro conto bancario, Dinamo Aps Banca Etica IT60Y0501803200000016790388 tutti i fondi verranno utilizzati per sostenere direttamente il progetto: pagare il sito, supportare i e le redattrici, comprare il materiale di cui abbiamo bisogno