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CULT
Profilo di un francofortese irregolare
Krahl, nel periodo che va dal 1967 al 1970, articola la posizione di una terza generazione della Teoria critica, che vuole essere anche politico-pratica. Se per Horkheimer e Adorno, però, l’elaborazione consapevole di Auschwitz è stata fondamentale per la comprensione storica e politica, in questa terza generazione, ha luogo un livellamento dell’esperienza del nazionalsocialismo in un concetto pericolosamente liscio di fascismo. La denominazione agitatoria di «fascistoide» dell’avversario di destra rientra nel contesto di una dilatazione troppo spensierata delle categorie. Tuttavia in Krahl si trova sempre, in ogni fase, un ritorno alla formazione teorica dei concetti, che, secondo la sua concezione, non deve essere mai direttamente asservita alla lotta politica quotidiana.
La morte di Krahl, nel 1970, simboleggiò la morte di questa posizione come orientamento politico della Germania occidentale, cosa che all’epoca si poteva soltanto presagire: gli Sponti [dal tedesco Spontis, spontaneisti; un equivalente dei nostri indiani metropolitani N.d.R.], i partiti di quadri, la RAF condizionarono gli anni Settanta, accanto a forme di svernamento come il Sozialistisches Büro, che volle ricongiungere la Nuova Sinistra con quella tradizionale; per non parlare dello sviluppo del movimento delle donne. Oggi sembra un’utopia astratta quella che, in occasione della morte di Hans-Jürgen Krahl, veniva concepita come concreta: «Un’utopia concreta, che si presenta, nell’organizzazione, come un’unità contraddittoria di disciplina, spontaneità e solidarietà, si distingue fondamentalmente tanto dall’utopismo classico quanto da quello feticizzato, astratto dello spontaneismo, per come si è mostrato nella fase dello sciopero attivo nelle università».
L’opinione pubblica ha completamente rimosso la fase antiautoritaria del movimento tra il 1967 e il 1969, confondendola col movimento degli Sponti e l’organizzazione partitica ML dei primi anni Settanta. Se si parla in modo vago del Sessantotto, è perché per lo più prevalgono prese di posizione positive o negative sulle forme di coscienza degli anni precedenti al 1970 note solo per sentito dire. L’importanza politica della nuova edizione degli scritti di Krahl è da ravvisare nel fatto che, chiunque sproloqui sulla mancanza di teoria e sul dogmatismo di sinistra degli anni Sessanta, può essere rimandato a queste scarse quattrocento pagine. Il movimento stesso ha avuto un decorso molto più contraddittorio di quanto suggeriscono i modelli mitici fatti in casa dei veterani sentimentali o dei rinnegati rancorosi.
Hans-Jürgen Krahl va riconosciuto come il teorico del movimento antiautoritario. Rudi Dutschke pose maggiormente in primo piano l’influenza convincente, agitatoria sulle masse. Krahl proveniva dalla provincia profonda, la sua odissea attraverso le organizzazioni della classe dominante l’ha descritta egli stesso in modo umoristico, anche se un po’ stilizzato, nei Dati personali che rese in tribunale, nel 1969, durante il cosiddetto Processo Senghor. Resta notevole, in questo contributo, l’arte del discorso libero dimostrata in tale occasione. Ancora nel 1967, Hans-Jürgen Krahl non sapeva affatto parlare: dopo il 2 giugno, durante un’assemblea di protesta contro l’assassinio di Benno Ohnesorg, svuotò il campus universitario spiegando l’importanza storica di questo giorno con cascate di termini tecnici hegeliani e adorniani. La metamorfosi di un intellettuale che sembrava bizzarro nel più acuto oratore dell’SDS si può comprendere in modo convincente solo se si è stati testimoni in prima persona delle trasformazioni emancipatrici che, allora, coinvolsero molti individui. Sembrò come se l’incubo collettivo che negli anni Cinquanta aveva reso la Repubblica Federale un territorio glaciale cominciasse ad abbandonare gli uomini.