ITALIA

Processo per le mobilitazioni al Brennero. “Una repressione politica”

Compagne e compagni anarchici verranno giudicati oggi per i fatti del 7 maggio 2016, in cui si verificarono scontri al confine con l’Austria in opposizione al progetto di una barriere anti-migranti. Sono stati chiesti oltre 330 anni di carcere

Mentre l’Europa compie respingimenti illegali di migranti, chi prova a opporsi a questo stato di cose finisce alla sbarre dei tribunali. È il caso delle 63 persone nei confronti delle quali verrà pronunciata oggi la sentenza per i fatti relativi alla manifestazione contro le frontiere del 7 maggio 2016 al Brennero: in quell’occasione militanti “No Border” di ispirazione anarchica protestavano per la decisione dello stato austriaco di intensificare i controlli verso i migranti in uscita dal nostro paese e di mettere in campo una sorta di “muro” al confine, in completa deroga al Trattato di Schengen.

Verso gli imputati e le imputate l’accusa ha richiesto oltre 330 anni di carcere complessivi. La maggior parte sulla base dell’articolo 419 del codice penale: devastazione e saccheggio.

Come segnala l’Osservatorio Repressione si tratta di «un reato indefinito e dai contorni ambigui, utilizzato sempre più spesso nei processi politici […] poiché si presta a paradossali e acrobatiche interpretazioni che possono trasformare un semplice danneggiamento in un’azione che può incredibilmente portare a condanne fino a 15 anni di carcere».

Intanto le politiche anti-migranti italiane ed europee rimangono immutate. Poche settimane fa, oltre 120 persone provenienti dalla Libia sono annegate nel Mediterraneo, mentre continua la criminalizzazione delle Ong che operano in mare. Permane immutato l’accordo per “gestire i flussi” con la Turchia sempre più autoritaria di Erdoğan (definito al premier Mario Draghi e«un dittatore di cui abbiamo bisogno»).

A Lipa, in Bosnia, si è consumata durante l’inverno una delle crisi migratorie più gravi degli ultimi tempi, dove un incendio nel campo profughi di Bihaç aveva lasciato 1.500 persone senza riparo («In questo piccolo pezzo di inferno l’umanità non si è persa: lo è semmai fra gli scranni d’Europa», raccontava efficacemente su il manifesto Serena Tarabini). Inoltre, un report pubblicato l’altro ieri, redatto e pubblicato proprio ieri da sette organizzazioni per i diritti umani, tra cui Asgi e Danish Refugee Council, mette in luce come fra gennaio e aprile 2021 siano avvenuti 2.162 respingimenti illegali sul suolo europeo, dovuti a “collaborazioni informali” fra le autorità dei vari paesi (un numero che lo stesso report definisce «molto probabilmente sottostimato»).

Foto di Fulvio Casiraghi da Flickr

Le persone chiamate a essere giudicate oggi dal Tribunale di Bolzano si erano mobilitate contro una simile situazione. A febbraio del 2016, gli allora ministri austriaci Sebastian Kurz (ora cancelliere, indagato proprio in queste ore per dichiarazioni falsi in merito a un caso di corruzione) e Johanna Mikl-Leitner si erano fatti promotori di un incontro con rappresentanti di altri paesi europei per intensificare misure e controlli restrittivi nei confronti dei e delle migranti. Da lì, nell’aprile successivo, erano iniziati i lavori al Brennero per costruire una barriera che si supponeva avere una lunghezza di 250 metri e interessare l’autostrada e la strada statale dell’area.

Le istituzioni italiane si opposero alla decisione, in particolare nelle persone degli allora ministro dell’Interno Angelino Alfano e sottosegretario all’Interno Domenico Manzione (magistrato eletto come indipendente), non certo per spirito di solidarietà con chi era in transito: il primo prometteva infatti di impedire e dissuadere i migranti ad arrivare al Brennero, mentre il secondo si dichiarava preoccupato rispetto al “muro” per le «implicazioni economiche, tutt’altro che trascurabili». Più esplicito Matteo Salvini, secondo cui faceva «bene l’Austria, che evidentemente ha dei politici che difendono gli interessi dei loro cittadini».

A opporsi per davvero alle intenzioni dello stato austriaco, allora, si mobilitarono in varie modalità e in diverse occasioni i movimenti.

Il 3 aprile ci fu una prima marcia lungo il confine, frutto anche delle esperienze di tanti attivisti e tante attiviste che al tempo portavano solidarietà e supporto sulla Rotta Balcanica, in particolare presso il campo di Idomeni dove migliaia di migranti si trovavano bloccati alla frontiera greco-macedone. Il 24 aprile, centinaia di persone sfilavano dalla stazione dei treni in direzione del confine al grido di “People over the borders”.

Infine, il 7 maggio, altre centinaia di persone in arrivo da tutta Europa si riversarono in corteo per contestare la chiusura del valico, in una situazione fortemente militarizzato: le forze dell’ordine erano infatti presenti a migliaia, mentre vari cartelli stradali venivano rimossi “in via preventiva”. Ci furono scontri e una dura repressione.

«Ogni lotta per affermare un principio di giustizia e libertà ha storicamente comportato un prezzo, spesso pesante per chi non è rimasto indifferente alle sofferenze dei più deboli e al grido soffocato di chi non ha voce per farsi sentire», sostiene il comunicato del collettivo Bolzano Antifascista in solidarietà con gli imputati e le imputate per i fatti del 7 maggio 2016.

«A 5 anni da quella giornata di lotta le ragioni che animarono centinaia di compagni e compagne a scendere in strada al Brennero non sono venute meno, anzi. […] Numerose sono state in tutta Italia le operazioni repressive orchestrate contro compagni solidali con i detenuti o contro attivisti solidali con gli immigrati, venendo per ciò accusati di favoreggiamento dell’immigrazione clandestina. In poche parole si conferma il principio per cui – nelle intenzioni del potere – la repressione e l’intimidazione della minoranza ha la funzione di allineare la maggioranza».

In effetti, il processo di oggi avviene in una sorta di silenzio generale, senza che nessuno provi a riannodare i fili di una “Fortezza” europea in tutta la sua ostilità verso chi reclama e cerca, disperatamente, – dall’uno e dall’altro lato – “libertà di movimento”.

Ai prati del Talvera (Bolzano), alle 18, è previsto un presidio di solidarietà.

Foto di copertina da Umanitanova