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ITALIA
Primo Maggio, intervista alle Clap:“Ma c’è davvero qualcosa da festeggiare?”
Dopo due anni di pandemia le condizioni del lavoro nel nostro paese e, nello specifico, nella capitale sono notevolmente peggiorate. La ricorrenza di oggi ci indica le necessità di estendere le lotte per i diritti a ogni settore
La crisi pandemica non è più all’ordine del giorno eppure, guardando verso la Festa dei Lavoratori del Primo Maggio, è inevitabile rendersi conto che questi lunghissimi anni di crisi non sono stati indifferenti per la situazione del lavoro a Roma e in Italia, in generale. Il precariato dilagante, lo sviluppo incontrollato della gig economy, l’aumento vertiginoso del costo di vita a causa della guerra in Ucraina, sono solo alcuni degli elementi che chiariscono la necessità di fare un bilancio. Diventa indispensabile, quest’anno più che mai, riflettere su quale sia veramente la condizione dell’economia del lavoro nel nostro paese. Sorgerà spontaneamente una domanda, questo Primo Maggio: c’è davvero qualcosa da festeggiare?
Lo scorso 21 aprile, infatti, la Commissione Parlamentare d’inchiesta ha depositato un rapporto ufficiale sulla «condizione del lavoro e dello sfruttamento» attraverso un anno di sopralluoghi nei posti di lavoro su tutto il territorio compreso tra Prato e Latina. Il Senato, in un periodo di polemiche sul reddito di cittadinanza e i giovani scansafatiche, ha dimostrato come lo sfruttamento dilaghi in tutti i settori lavorativi: dall’edilizia, alla pubblica amministrazione. Ciò viene definito dalla Commissione, «caporalato urbano: un incontrollato bracciantato metropolitano per lo più straniero» spesso costretto ad «accettare qualsiasi condizione di lavoro, con retribuzione indegna». Il potere legislativo di questo paese, dunque, ha preso una posizione netta riguardo alla denuncia di condizioni di illegalità nei contesti lavorativi dando una chiara indicazione all’azione del governo e proponendo una novità nel Codice Penale. È stato proposto un nuovo comma per l’articolo 603 bis, che tratta il reato dell’intermediazione illecita: una specifica che preveda la reclusione da uno a sei anni e la multa da 500 a 1.000 euro per ciascun lavoratore reclutato anche per chi «ricorre consapevolmente ai servizi, oggetto dello sfruttamento, prestati da una persona che è vittima» di uno di quei reati.
In questa intervista, le Camere del Lavoro Autonomo e Precario (Clap) raccontano la situazione che stiamo vivendo nella capitale e in Italia, per comprenderla, collettivizzarla e renderlo strumento di lotta sindacale e dei movimenti.
Qual è la situazione lavorativa dopo il periodo di pandemia nella capitale?
La situazione del lavoro a Roma è senz’altro preoccupante. Infatti, anni di crisi sanitaria si stanno unendo all’inflazione creando danni all’economia incontrollabili. A marzo di quest’anno i numeri già ci stavano parlando chiaro: l’inflazione si aggirava intorno al 6%; gli studi, tuttavia, ci dimostrano che non ci sarà un arresto di questo fenomeno per due elementi fondamentali. Da una parte, l’aumento dei prezzi dei carburanti a causa della guerra nell’est del continente, e – dall’altra, il blocco della supply chain. Quest’ultimo elemento, nello specifico, ha dimostrato come la pandemia e le varie crisi geopolitiche abbiano messo in crisi uno dei dogmi del nuovo capitalismo mercantilistico, cioè la catena di distribuzione della ricchezza e delle merci sul scala internazionale. Ne sono esempio fenomeni come il blocco dell’acciaio cinese o l’aumento vertiginoso dei prezzi del grano.
Queste contraddizioni del sistema si complicano ulteriormente se a un aumento del costo di vita senza precedenti i salari non aumentano. Ed è questo il problema anche nella stessa Roma: oltre alla crisi occupazionale per cui il lavoro è più precario che mai, il gap reddituale tra centro e periferia è tra i più alti in Europa. Riguardo alla precarizzazione del lavoro i dati della Caritas ci mostrano come il tasso occupazionale a Roma sia del 62.6%, ben 9.8% in meno rispetto alla media europea. Il seguente rapporto ci dimostra come il lavoro inoltre sia “povero”: il 13,8% dei lavoratori viene assunto con un contratto part-time involontario e il 27,2% dei lavoratori sono occupati sovraistruiti. Questi dati si ripercuotono inevitabilmente su una città che si basa sui servizi, come ristorazione e logistica.
Il precariato diffuso e il lavoro sommerso dilagante si uniscono ai pochissimi interventi di welfare che possano far fronte al dramma occupazionale che viviamo e che vivremo sempre di più. Infatti, sempre stando ai dati Caritas sulla Città di Roma appare in maniera eclatante il gap reddituale, per cui i redditi annui del centro storico risultano essere il doppio rispetto a quelli della periferia, con un minimo intorno ai 20.000 euro annui e un massimo che si avvicina a 70.000 euro.
Ci sono state delle evoluzioni rispetto alla precarietà dilagante?
Certo, delle evoluzioni ci sono ma purtroppo in negativo. Sono state proposte delle soluzioni temporanee, con interventi tampone riguardo alla crisi pandemica: mi vengono in mente i bonus settoriali in alcune categorie di lavoratori, l’utilizzo massiccio della cassa integrazione e il blocco dei licenziamenti. Queste misure hanno avuto delle conseguenze positive, ma deboli e soprattutto non hanno risolto le vere contraddizioni. Infatti, le prime vittime della pandemia e del disposto della guerra, sono i protagonisti del lavoro non contrattualizzato. Ne può essere un esempio la strage delle partite IVA.
Tutto il lavoro sommerso, quello non contrattualizzato o grigio (con contratti non fedeli alla realtà in termini di ore o mansioni) è andato in crisi: si tratta di outsider nel mercato del lavoro senza contratto a tempo indeterminato. Tuttavia, con il Jobs Act, anche chi ha l’indeterminato è divenuto più vulnerabile nei settori come il commercio, il turismo e la ristorazione. È da aggiungere che altri settori molto colpiti, sono i lavoratori della pubblica amministrazione: lo stato è il più grande datore di lavoro che produce precariato. In termini relativi, essa produce più lavoro sommerso che le aziende private stesse, come nel caso delle supplenze nelle scuole pubbliche. A Roma, soprattutto, questo elemento è presente perché ci sono più ministeri, enti di ricerca, uffici ma, nonostante ciò, non c’è certezza di avere un posto fisso.
Quali settori e quali soggetti sono tra i più coinvolti nella difficile messa in regola dei lavoratori?
La ristorazione e il turismo sono particolarmente in crisi. In un periodo in cui la campagna dei ristoratori contro il reddito di cittadinanza sta facendo sempre più parlare, è necessario far emergere che con i salari così bassi, è ovviamente preferibile incontrare persone che si ribellano a salari bassi, a lavori grigi o comunque a tutte le forme non regolarizzate. Quelli sono settori pieni di sfruttamento e precarietà di cui i giovani, spesso studenti universitari, sono gli assoluti protagonisti. La causa di tutto ciò è la storica e cronica mancanza di welfare giovanile. Secondo la Caritas, i NEET in Italia (i giovani non occupati né in un lavoro, né nello studio) sono 2.100.000: nel 2020 si trattava circa del 23% tra i 15 e i 29 anni; a Roma sono il 19,9%. Dietro a questi dati emergono, tuttavia, i numeri possibili di chi invece si sta destreggiando in lavori non regolarizzati e precari, essendo persone senza nessun supporto.
Un altro settore fortemente precarizzato è quello dei rider, che negli ultimi mesi (dalla pandemia a oggi) ha registrato un grosso boom. Si tratta di migliaia di nuovi lavoratori, spesso migranti, che sono esposti quotidianamente a un lavoro non regolarizzato ma molto rischioso. Continua, nel mentre, a essere prepotentemente sfruttato il settore dell’assistenza domiciliare e domestica (colf, pulizie, badanti), che a Roma è enorme e massicciamente composto da donne e donne migranti che spesso non sono messe in regola ma, anche quando sono in regola, vivono condizioni di sfruttamento difficile da denunciare perché i datori di lavoro sono famiglie di privati. Ovviamente, la lista dei settori continua, passando dai servizi sociali alla logistica, ma è importante non focalizzarsi solo sul problema ma piuttosto sulla soluzione.
(da archivio)
Come si possono muovere i lavoratori in situazioni di lavoro precarie e come il lavoro delle Clap può incidere su queste situazioni?
Non è facile perché non avere un contratto di lavoro, averi contratti deboli come il Co.Co.Co, i tempi determinati brevi o lavorare per agenzie del lavoro ti espongono a rischi di gran lunga insostenibili. Meno tutele ci sono e più i lavoratori hanno paura, perché sono più ricattabili. Ovviamente, ci sono forme di sostegno sindacale per chi ha viene assunto o licenziato in nero; attivisti sindacali insieme a movimenti sociali si impegnano a denunciare queste situazioni usando il potere dei media che è un’arma sindacale fondamentale. Come Clap abbiamo dimostrato come un sindacato indipendente possa organizzare forme di denuncia e boicottaggio di posti di lavoro come McDonald’s e grandi catene di abbigliamento. Si tratta di una forma di sindacalismo al passo con i tempi che si accompagnano alle forme di organizzazione sindacale classica, come iscriversi al sindacato e partecipare a sciopero. Ne è un esempio la collaborazione con Birra del Borgo, che ha cercato di opporsi ai licenziamenti di massa conseguenti all’acquisizione dell’azienda da parte di una multinazionale.
Lo sportello, inoltre, è un luogo fondamentale di sostegno, sia fra i lavoratori già organizzati ma anche per gli individui. Proprio a partire dall’organizzazione collettiva che nascono le campagne sindacali: una prima che viene in mente è quella che concerne l’allargamento del reddito di cittadinanza, tesa ad ampliarne la platea e includendo migranti (cambiando la regola che obbliga ad avere la residenza in Italia da 10 anni per poterlo ottenere) o, contestualmente, la campagna per il reddito di quarantena per sostenere le persone che avevano bisogno immediato di reddito durante il periodo della crisi sanitaria.
Rimane molto attuale la necessità in tutto il paese di creare una campagna massiccia sul salario minimo: oggi la vera emergenza è l’aumento dei prezzi e l’inflazione che diventa sempre maggiore; è una questione prioritaria, dunque, arrivare a un salario minimo dignitoso per tuttə, adeguando le retribuzioni all’aumento del costo di vita. Infatti, diversi studi espongono come i salari potrebbero perdere ¼ di potere d’acquisto in pochi mesi. Nonostante la precarietà diffusa, oggi più che mai diventa indispensabile organizzarsi dal basso per lottare in direzione di un rafforzamento del welfare, un finanziamento massiccio del redditto di cittadinanza e la garanzia di un salario minimo dignitoso.
Immagine di copertina di Andrea Tedone