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MONDO

Prime osservazioni sul disastro brasiliano

Con l’elezione di Bolsonaro, si porta a compimento quel lungo “colpo di stato costituzionale” che ha caratterizzato gli ultimi anni della vita politica brasiliana. Ora “la forza dell’autoritarismo è chiamata a sostegno della crisi del liberismo”

La via democratica al fascismo

È diventata una scontata osservazione che ogni potere sia “potere d’eccezione”. Peccato che quest’affermazione non spieghi la differenza tra un regime fascista ed un regime costituzionale. Non c’è nessuna differenza, replica colui che afferma la normalità dell’“eccezione”. Che vada dunque a spiegarlo ai cittadini brasiliani che attendono l’insediamento di Bolsonaro e si sentirà rispondere: “Tu sei matto!”.

Nella tradizione del marxismo rivoluzionario si rifiuta l’analogia tra il regime democratico ed il regime fascista. Quando negli anni ’20 la Terza Internazionale impose questa somiglianza (che presto diventò un’identità) sappiamo come andò a finire. Con eguale attenzione e discriminazione mi sembra si debba guardare al concetto di “potere costituente”: esso non può essere confuso e neppure meticciato con l’“eccezione politica”, con il suo esercizio, come invece sostengono i cultori dell’“autonomia del politico” sulle orme di Carl Schmitt – per i quali il potere costituente non sarebbe che una figura dell’“eccezione”.

Rispetto a quanto avvenuto in Brasile, per tornare a noi, va notato in primo luogo il fatto che il fascismo sia arrivato non attraverso un “colpo di Stato” classico (dall’esterno delle istituzioni democratiche), attraverso l’“eccezione” (come più o meno avvenne per i fascismi americano-latini fino a Pinochet e ai militari argentini), ma dall’interno del processo costituzionale; non attraverso una rottura di legalità costituzionale, ma attraverso la costruzione costituzionale di nuova legittimità. Mi sto, in secondo luogo, convincendo che probabilmente il governo fascistizzante brasiliano non eserciterà il potere attraverso una mutazione esterna e violenta del regime costituzionale ma piuttosto attraverso un’attenuazione morbida (salvo contro le popolazioni nere) delle libertà civili e una governance della Costituzione esistente. Ovvero attraverso la messa in movimento di una sorta di “potere costituente”, all’interno della governance – funzionale, come assorbito in essa e capace di determinare profonde modificazioni del tessuto costituzionale. Questo cammino perverso della democrazia, ora affermatosi in Brasile, ma già sperimentato in parte o in toto in altre situazioni e in altri paesi (Turchia, Egitto, ad esempio, senza parlare dei paesi ex-socialisti) va sottoposto a critica – chiedendosi che cosa significhi più oggi “democrazia rappresentativa”, ma anche “democrazia” in genere, e quindi come, in che forme e su quali obiettivi ci si debba muovere da parte di chi si proponga di costruire e di difendere una Costituzione che rispetti la libertà, costruisca eguaglianza e ne preveda (proponga) le condizioni – e infine se sia ancora possibile porsi queste questioni o non si debba riqualificare il tessuto stesso del questionamento.

 

Colpo di Stato istituzionale

“Colpo di Stato costituzionale” e/o “colpo di Stato democratico”: così si può chiamare quanto avvenuto in Brasile, e ormai inserirlo in una nuova accademica casella del diritto costituzionale. Il rovesciamento del potere legittimamente esistente e la sua sostituzione con un potere non legittimato dal suffragio universale ma da un organo dello Stato, il Congresso, si è realizzato dietro una maschera costituzionale. Si è cominciato con l’impeachment della Presidente e si è continuato con la sua sostituzione, semplicemente da parte del Congresso, escludendo una nuova elezione generale, dopo che da poco tempo era stato rinnovato elettoralmente il mandato presidenziale. Il “colpo di Stato” è poi proseguito (cosa non irrilevante) con l’immediata approvazione da parte del Congresso di alcune leggi caratterizzanti un regime neoliberale (fra le quali emerge la fissazione per un lungo periodo del divieto di aumentare la spesa pubblica) che hanno, immediatamente e proditoriamente, rovesciato i paradigmi “materiali” della Costituzione esistente. Il legame fra l’impeachment di Dilma per motivi politico-morali (corruzione) e la liquidazione dell’indirizzo politico del suo governo attraverso l’affermazione costituzionale di un principio neoliberale, rivela che la defenestrazione ha avuto una qualificazione politica di parte, cioè carattere di “colpo di Stato” – essendo ad essa seguita una modificazione radicale dell’indirizzo politico del governo o, come altrimenti si può dire, della “costituzione materiale”. Si è così liberata la strada per la costruzione di contrafforti che, anche nel caso di nuove elezioni, evitassero che una diversa maggioranza presidenziale (che i sondaggi attribuivano a Lula) potesse ristabilire (perché ora costituzionalmente vietato) proposte non-liberali di redistribuzione del reddito o comunque dispositivi alternativi alla legittimità economica nuovamente determinata. A sostegno della continuazione di una politica liberale, e quindi sulla linea di un rinnovamento delle politiche statuali fuori (e comunque prima) di una legittimazione popolare, si è poi mossa la magistratura attraverso la condanna e la carcerazione di Lula e, successivamente, attraverso la sua esclusione dal “voto passivo” (cioè dalla possibilità di essere votato). Non a caso, questa magistratura è stata immediatamente cooptata nel governo Bolsonaro. Infine, le elezioni si sono svolte sotto la minaccia – anche questa volta non “esterna” al processo istituzionale – di un intervento dell’esercito nazionale, qualora la sinistra avesse trionfato nelle elezioni. Si è a questo punto eletto il nuovo Presidente, un “fascista del XXI secolo”, restaurando in questo modo a posteriori la legittimazione democratica del potere. Una restaurazione assai dubbia, in ogni caso effettiva. Nel governo che entrerà in carica alla fine dell’anno, oltre al procuratore Lava Jato (operazione che, come è stato espressamente dichiarato dal giudice Greco, non ha nulla a che fare con Mani Pulite), siederà alle Finanze e all’Economia un Chicago Boy, agli Esteri un uomo legato all’alt-right ed alle politiche di Trump, mentre all’esercito saranno attribuite le funzioni del Ministro dell’Interno, di un Ministero dell’ordine.

 

 

Questo perverso cammino, dalla democrazia al fascismo, lineare, organizzato non da movimenti esterni ma dalle stesse istituzioni del potere costituzionale, attraverso il conformarsi degli organi di controllo (della magistratura in particolare) alle linee politiche dell’estrema destra, il disvelarsi di un disegno coerente che corre attraverso le istituzioni, distruggendo ogni legame ed incidendo su nuove conformazioni delle figure formalidella Costituzione e della materialità del suo indirizzo politico, garantita dal processo di legittimazione elettorale, e quindi dissipando ogni carattere etico del principio democratico: tutto ciò impone, quando e qualora l’indignazione si sia placata, una riflessione sul tema stesso della democrazia.

Ma non basta. Il fascio-populismo di Trump-Bolsonaro commette un ulteriore stupro della democrazia. La “democrazia diretta” viene infatti qui assunta, in maniera massificata e mistificata, da queste leadership fasciste e rovesciata da “modo di governo” in “figura di legittimazione” del governo. I tweet di Trump interpretano questo rovesciamento. Social media e media istituzionali si chinano ormai volentieri a questa funzione di legittimazione. Si può anche aggiungere (e la letteratura su questo argomento è spropositata) che la producano – o comunque la rendano possibile. Quando l’indignazione si sia placata dovremo ancora porci il problema di una “libera espressione” infeudata al potere. È il primo dei problemi che un movimento di resistenza, all’insegna di “libri, non armi” (come oggi si comincia a dire in Brasile), si dovrà porre, perché esso dovrà innanzitutto liberare la “libera espressione”. Certo, la contraddizione fra libera espressione (costituzionalmente protetta) e denaro (= proprietà, = corruzione, = uso criminale del falso da parte dei grandi media…) sembra insolubile. Ma lo è solo per quelli che continuano a considerarla come un nodo gordiano e non confidano che una spada possa tagliarlo. Una forza politica che voglia uscire dalla melma che democrazia e fascismo, embedded, rappresentano, deve porre questo problema come primo da risolvere.

 

Un problema generale

Negli USA è in corso un processo analogo a quello brasiliano. La solidità democratica e il pregio della Costituzione di quel paese impediscono per ora che il processo di trasformazione abbia gli aspetti perversi e talora grotteschi di quanto sta avvenendo in Brasile. Negli States, la presenza di forze di opposizione può ancora bloccare (e comunque rendere incerto) il realizzarsi di una tendenza quale quella brasiliana. Ciò non toglie, tuttavia, che un processo di consolidamento reazionario del potere sia in corso. Lo rilevano il pesante spostamento del Partito repubblicano verso lo “zoccolo duro” trumpiano (e, dietro questo, a quello suprematista, alt-right), la destinazione ventennale della Corte suprema su posizioni ultra-conservatrici, la realizzazione di colossali operazioni finanziarie di controllo mediatico del voto, ecc.

In maniera ben più fragile, ma con accelerazioni talora feroci, processi analoghi stanno avvenendo anche in Italia. Comunque l’orizzonte politico populista si allarga in Europa e in America latina. Questa estensione approfondisce drammaticamente il problema sopra posto: come avviene che il fascismo si affermi dentro/attraverso le istituzioni democratiche? E, in secondo luogo, che cosa è questa insorgenza fascistizzante?

Cercheremo, se non di dare risposta, di introdurre più largamente questa domanda, nel prosieguo. Per ora contentiamoci di definire questo strano fascismo che qui si presenta in coniugazione profonda con il neoliberalismo. Meglio, cerchiamo di definire le difficoltà di realizzazione che, a noi sembra, un nuovo esperimento radicale delle teorie di Chicago debba trovare nel suo sviluppo. Le attuali conversioni fascistizzanti della classe dirigente capitalista (non tutta, per il momento) sembrano infatti determinate dalla necessità di appoggiare con più forza, con tutti i mezzi dello Stato, costrittivamente, uno sviluppo more neoliberale in profonda crisi. È importante sottolineare questa consueta difformità: la forza dell’autoritarismo è chiamata a sostegno della crisi del liberismo. Ora, in questa prospettiva, il fascismo sembra presentarsi (anche se non solo) come faccia dura del neoliberalismo, come pesante recupero del sovranismo, come inversione dello slogan “prima il mercato poi lo Stato”, in varie figure, sui punti di massima difficoltà dello sviluppo, o di rottura dei suoi dispositivi, oppure, meglio, a fronte di forti resistenze che eventualmente emergano.

È un riflesso reazionario quello che caratterizza questo fascismo. Questo lo distingue dai fascismi degli anni ’20-’30 che reazionari erano certamente sul terreno politico mentre sul terreno economico potevano essere relativamente progressisti, pseudo-keynesiani. Probabilmente questa reazione è dunque sintomo di debolezza, è effetto di risposta più che di attacco. Ne è prova il fatto che queste istanze fasciste, piuttosto che tecniche totalitarie, sembra intendano utilizzare meccanismi flessibili per la trasformazione autoritaria dello Stato, calibrando la governance come una sorta di nuovo perverso “potere costituente”… Ma queste sono previsioni che solo l’intensità della lotta di classe a venire potrà confermare o negare.

Resta comunque da chiedersi: che cos’è questo fascismo del XXI secolo? Quello del XX voleva distruggere i soviet, in Russia e ovunque nel mondo si trovassero. Oggi dove sono i “bolscevichi”? Sono evidentemente fantasticati. Ma la fatica del neoliberalismo a consolidarsi, le crisi politiche che si aggiungono a quelle economiche, resuscitano la paura dei “bolscevichi”. Questa insistenza sbalordisce.

Per cercare di razionalizzarla avanziamo un’ipotesi che ci permetta di qualificare queste tendenze fasciste in un’epoca nella quale lo sviluppo del modo di produzione ha posto la moltitudine al centro della lotta di classe. Ora, la moltitudine è un insieme di singolarità, connesse dalla cooperazione sociale. L’elemento della cooperazione è per la moltitudine (in specie per quella metropolitana) il punto centrale della sua esistenza di classe. In termini produttivi, questa potenza cooperativa spinge la moltitudine verso il comune. Quando però intervengono forti tensioni che agiscono sulle singolarità (che compongono la moltitudine), in termini ad esempio di insicurezza economica o ambientale e di paura del futuro, allora la cooperazione moltitudinaria può implodere in termini di difesa identitaria. Il fascismo del XXI secolo sembra sostenersi su questi incidenti della natura cooperativa della moltitudine.

 

 

 

Fascismo e neoliberalismo

Se, ai tempi di Platone, le costituzioni democratiche risultavano inadeguate a bloccare la crisi della democrazia, nell’attuale situazione esse favoriscono l’ascesa del fascismo, generando corruzione.

Le costituzioni democratiche moderne erano organizzate su un confronto dinamico degli interessi, eventualmente coalizzati a destra e a sinistra, attorno ad un modello di inimicizia e di pacifica, normata soluzione di questa, nell’ipotesi di una composizione equilibrata degli interessi contrastanti. Oggi, la globalizzazione ha spinto verso la omogeneizzazione delle governance a livello globale (si potrebbe dire verso la loro omologazione), sicché governare nella globalizzazione esige oggi di comporre il rapporto fra costituzione formale e quella materiale attraverso l’inserzione nella prima di regole sviluppate dai rapporti monetari multinazionali delle imprese sul mercato globale – e quindi di elidere sostanzialmente il confronto/conflitto, interno alla costituzione stessa. L’“estremismo di centro”, le “GroKo” sono stati, in questo senso, momenti fondamentali nel ricomporre, attraverso la governance, profili costituzionali ormai ampliatisi a livello globale. Ma questa fase è terminata e l’accentuarsi dei conflitti nella globalizzazione sospinge le formule tradizionali di governance democratico-liberali ad una crisi profonda. Si susseguono quindi esperimenti di rottura: America first, Brexit e ora Brazil first, Italy first

È qui che le governance (ossia quell’insieme di dispositivi che ha unitariamente configurato l’orizzonte di governo nazionale e quello globale) si trovano a subire sempre più frequenti incidenti costituzionali che hanno soprattutto l’effetto di obliterare quegli aspetti di “democrazia progressiva” che le Costituzioni avevano ereditato dal secondo dopoguerra e dalla fine della Guerra fredda. In tal modo si trasformano le facce degli Stati in barba alla democrazia. La lunga crisi del 2007 ha peggiorato le cose. Governare la crisi ha sempre significato che la crisi imponesse le sue esigenze alla democrazia. Oggi, misuriamo in maniera piena le conseguenze di questi incidenti. Sempre di più le dinamiche dialettiche costituzionali sono disattese, le opposizioni integrate alla governance, il keynesismo distrutto col consenso dei keynesiani. Le eventuali operazioni di “eccezione” si dànno direttamente all’interno della governance democratica, quasi come nascoste articolazioni di “potere costituente”, piuttosto che attraverso opzioni e meccanismi controllabili. Voglio dire che la trasformazione che questi movimenti accennano è ormai comandata da un potere distruttivo della democrazia.

Con la crisi e l’indebolirsi della potenza americana che aveva finora determinato un certo equilibrio globale, pur nel colore del suo dominio, questi processi si sono accelerati, portando caos ovunque. Il nuovo fascismo si installa dentro questo caos. Armandosi del neoliberalismo come progetto per dominarlo, troverà condizioni durature di sviluppo? È assai difficile. In queste condizioni, il neoliberalismo si trova come in una situazione disperata, se vuol ricostruire equilibrio. Avendo dislocato o respinto il vecchio equilibrio costituzionale democratico, è ora come esposto sul vuoto. Ha bisogno di qualcosa di nuovo, che risponda alle nuove difficoltà, e non lo trova che in forme di autoritarismo, di rinnovato fascismo… Per sopravvivere a questo passaggio nel vuoto, deve ricorrere a strumenti mediatici, ideologici e deve infamare e distruggere le forze che lo hanno contrastato (spesso timidamente o addirittura anticipandone le direzioni distruttive – questa crisi è lunga e profonda e le responsabilità sono ancora tutte da definire). Erano forze social-democratiche, keynesiane. Ora, i neoliberali che costruiscono le nuove formule di governo fascistizzanti in Brasile, li chiamano “comunisti” e “bolivariani”, sostenitori del caos… Negli USA li riconoscono come bobo metropolitani e sovvertitori dell’identità nazionale… Questo fascismo fondato sul vuoto ideologico si qualifica dunque come falsificatore della memoria e restauratore reazionario di identità passate. Che sia un passato schiavista, come in USA, importa; che sia un presente schiavista, come in Brasile, questo preoccupa ancor di più.

 

 

Non aver paura

I miei amici brasiliani si chiedono come la vittoria di Bolsonaro sia stata possibile, perché i loro concittadini lo abbiano votato in maniera così massiccia. La risposta è semplice: non hanno votato il fascismo, hanno votato piuttosto per la fine della corruzione e dell’insicurezza, in quella congiuntura critica per la loro vita che, appunto, una parte della popolazione imputava al PT. Non è poi difficile pensare che il movente razzista e la difesa della famiglia (si veda la spropositata polemica sul genere) abbiano costruito il coagulo fascista di quel disagio. È facile profezia pensare che, come già abbiamo detto, Bolsonaro non ce la farà a istituire il suo governo come regime. Per lui si aggiungono, a quelli che abbiamo sopra ricordato come ostacoli al matrimonio fascismo/liberismo, specifiche difficoltà interne: bisognerà infatti (a fronte degli impedimenti tattici che lo sparpagliamento del voto crea nel Congresso) continuare a comperare le maggioranze parlamentari dagli evangelici o da altri mercenari; il prezzo da pagare agli agrari per l’appoggio elettorale, per il sostegno al governo e nella contrattazione dei limiti ecologici all’espansione dei loro interessi, sarà ancora più salato; le estreme proposte di privatizzazione del patrimonio pubblico troveranno l’ostilità dell’esercito a nome della nazione, ecc. ecc. Non sarà per lui facile avanzare. Ed anche il consolidamento di questa vittoria sarà difficile, molto difficile e si scontrerà contraddittoriamente con le stesse costanti dell’economia brasiliana (aperte ai mercati internazionali dell’alimentare e dell’energia, chiuse sui limiti ecologici di enorme importanza, sollecitate ad una forte dinamica produttiva dall’ampiezza del mercato del lavoro…). Siamo – ci sembra – su un margine sul quale le promesse della vittoria di Bolsonaro si scontrano con le intenzioni dei suoi sostenitori neoliberali. Come potranno equilibrarsi? Non siamo negli anni ’30, quando il fascismo si organizzava su una pianificazione in favore della grande industria (di guerra) e del grande capitale bancario – con ridondanze tuttavia di immediati vantaggi sociali per il proletariato.

Quello che fa tremare, dopo la vittoria di Bolsonaro, è prevedere i disastri che comunque questo governo produrrà, incapace di sviluppare un disegno politico che si scosti da un terreno di razzia contro i poveri, i neri ed in generale da una proposta antisociale – come mostra il suo programma ultraliberale. Militarista, omofobo, machista, premuto dall’odio per una popolazione ormai maggioritariamente colorata, nera (siamo ben lontani dal 54 % ancora bianco del censimento del 2000), Bolsonaro sarà esposto alla spinta demografica non biancache aumenta incessantemente. Il disastro che lo attende è enorme ma le conseguenze saranno lunghe negli anni a venire.

Che fare, ora? È necessario smettere di piangere, occorre mettersi a lavoro, confortati dalla consapevolezza che il quadro fascista è ancora debole. In che senso, con quale spirito mettersi a lavoro? Già si misurano le provocazioni e nel futuro si moltiplicheranno. Nelle università appaiono squadracce che provocano, gruppi di destra sono a lavoro per costruire elenchi di “comunisti”, i programmi scolastici cominciano ad essere riempiti di richiami ad un passato schiavista, ecc. ecc. È necessario non aver paura. Non aver paura diviene l’elemento centrale per la costruzione di una resistenza.

Il fascismo si sostiene sulla paura. Qui esso suscita e coltiva la paura del negro e quella del comunista. Ma questa coppia è simbolo della vita e la sua lotta è segno di liberazione. I partiti della sinistra, a partire dall’irrecuperabile PT, sono in crisi. È sul rapporto e la ricomposizione politica di neri e di comunisti che una sinistra radicalmente antifascista può essere costruita. Questo passaggio è fondamentale. Non c’è antifascismo in Brasile senza una ricomposizione politica dei comunisti bianchi e della popolazione di colore. Inutile aggiungere che di questa ricomposizione i movimenti femminili sono già da oggi la scintilla. Questi sono movimenti maggioritari e la maggioranza non ha paura.

 

Articolo apparso sul sito Euronomade