MONDO
I prigionieri politici della rivolta cilena in tempi di pandemia
Non si fermano le violazioni dei diritti umani e la repressione delle proteste in piena pandemia: intanto, oltre 2.500 ragazzi e ragazze, tra cui anche molti minori, sono stati incarcerati senza una condanna ufficiale, mentre nelle carceri il rischio di contagio è altissimo e le misure di sicurezza sanitaria totalmente assenti.
Roberto è professore di matematica ed è stato arrestato perché ha rotto un tornello della metro di Santiago a ottobre. Tra le prove che l´hanno incriminato c´è una foto che ha pubblicato nel suo profilo Facebook in cui appoggiava le proteste. Roberto oggi rischia fino a 10 anni di prigione.
Ruben l´hanno arrestato, insieme ad altri due amici, con l´accusa di aver incendiato una linea ferroviaria; l´unica prova contro di lui è un accendino che aveva in tasca mentre camminava a 500 metri dall´incendio. Attualmente questi tre ragazzi sono agli arresti domiciliari e rischiano fino a 10 anni di prigione. Agustín invece ha 19 anni, è argentino e stava mangiando nelle prossimità di Plaza Dignidad quando l´hanno arrestato. L´unica prova contro di lui è il racconto degli stessi carabineros che l´hanno fermato. Cosa è successo a questi ragazzi dopo l´arresto?
Dal 18 ottobre scorso, in Cile, più di 2.500 ragazzi – tra cui anche molti minori- sono stati incarcerati senza una condanna ufficiale. Grazie alla carcerazione preventiva, lo Stato li ha privati della loro libertà mentre si svolgono le indagini per capire se sono i veri colpevoli dei reati per cui sono stati arrestati.
All´inizio sono 60 giorni, poi 90 con la possibilità di diventare 2 anni. In molti casi, i tribunali di garanzia hanno dichiarato inammissibile mantenerli prigionieri senza prove decisive. Ma, nonostante ciò, il governo insiste in questa prassi grazie anche alla legge di sicurezza interna dello Stato, che permette alla Corte Suprema di rinchiuderli in prigione e non conceder loro nemmeno gli arresti domiciliari.
La quasi totalità dei detenuti sono giovani che hanno partecipato alle proteste e rischiano fino a 20 anni di reclusione. Questi ragazzi sono denunciati dallo stesso Stato grazie alla legge del controllo delle armi o alla legge antibarricate, quest´ultima decretata ad hoc durante le proteste. Nella maggior parte dei casi non ci sono prove che possano incriminarli direttamente, solo l´intenzione politica di utilizzarli come castigo esemplare per tutti coloro che vogliono continuare a manifestarsi.
A ottobre dell´anno scorso in Cile è iniziato un periodo di profonde proteste sociali. Milioni di persone sono uscite in strada a protestare contro la disuguaglianza di un modello neoliberale moribondo. Ben lontano dall´ascoltare la protesta popolare, il governo ha risposto con la repressione, la persecuzione politica e l´impunità.
La situazione dei diritti umani è peggiorata con il passare del tempo. Secondo il pubblico ministero cileno, solo tra il 18 di ottobre e il 30 novembre del 2019, 5.558 persone hanno denunciato di essere state vittime di violazioni dei diritti umani e di queste 4.170 hanno dichiarato responsabili i Carabineros de Chile. Durante le manifestazioni sono morte 31 persone, 4 delle quali si attribuiscono direttamente e ufficialmente a degli agenti dello Stato. 38 carabineros colpevoli di questi omicidi non sono stati imputati per nessun tipo di delitto.
Le irregolarità dei procedimenti poliziali sono in aumento. Il 20 febbraio, la portavoce della Corte Suprema, Gloria Ana Chevisich, ha comunicato che gli arresti illegali, dall´inizio delle proteste, sono aumentati di un 77,7%, in confronto all´anno scorso nello stesso periodo.
Le accuse che riguardano i montaggi polizieschi per incolpare i giovani per delitti maggiori, si ripetono in diverse parti del paese. Tra questi, un esempio eclatante è quello di Alejandro Carvajal, un ragazzo di 19 anni che è stato arrestato il 12 novembre a Santiago con l´accusa di aver incendiato una sede universitaria. Nonostante fino a oggi non ci siano prove che lo possano incriminare, il suo processo è ancora aperto e Alejandro rischia fino a 20 anni di prigione.
In maniera analoga, nella città di Concepción a Ignacio Matus hanno sfigurato il volto. Alcuni agenti l´hanno attaccato con una brutalità tale che per coprire i fatti l´hanno accusato di essere in possesso di munizioni e dispositivi incendiari. Ignacio ha 19 anni e come tanti altri giovani è uscito a manifestare, è stato arrestato e deve scontare una pena che supera i 6 mesi. La procedura è ancora in atto e attualmente è agli arresti domiciliari.
Attualmente, con la pandemia, la situazione dei detenuti è peggiorata. Le carceri non sono in grado di far fronte all´emergenza sanitaria e il rischio di contaggio è altissimo. I casi di Covid-19 aumentano tutti i giorni e data la sovrappopolazione è impossibile implementare misure di distanziamento sociale che siano effettive.
Oltre alla mancanza di forniture igieniche, come mascherine e alcol in gel, in alcune carceri c´è poca acqua. In queste condizioni non si può garantire nessuna misura di sicurezza nei confronti di questi giovani che sono condannati a convivere con un virus mortale in attesa di sentenza.
Lo scorso 18 maggio ci sono state le prime proteste da quando è iniziata la pandemia. Nel quartiere di El Bosque, a sud di Santiago, gli abitanti sono usciti a manifestare contro la fame che stanno soffrendo.
Sono gli abitanti dei settori più vulnerabili, quelli più colpiti da una crisi economica che già era presente in Cile e che con la pandemia si è acutizzata. Reclamano per ricevere gli alimenti che possano permettergli di chiudersi in quarantena e anche questa volta la risposta è la repressione.
Durante queste proteste sono state fermate 20 persone, delle quali nove trattenute in carcerazione preventiva. La logica è sempre la stessa: arrestati per protestare.
Nella teoria del dominio di Antonio Gramsci, la formula consenso/coercizione è il modo con il quale gli stati moderni cristallizzano la loro egemonia. La differenza tra la modernità e le epoche remote si basa sul un predominio del consenso sulla coercizione. Ma, nonostante tutto, attualmente in Cile i tempi del consenso sembrano essere arrivati alla fine.
Dopo lo scoppio della protesta sociale a ottobre, la legittimità del governo è stata messa in discussione da una profonda crisi politica e ideologica. L´egemonia del governo e delle élites politiche cilene si possono mantenere solo grazie alla coercizione e purtroppp, la criminalizzazione della protesta, la naturalizzazione della repressione e le violazioni sistematiche dei diritti umani da parte degli agenti dello Stato avanzano a passi da gigante, in un Cile in cui le ferite della dittatura sono ben lontane dal cicatrizzarsi, perché sono stare riaperte da una violenza che ricorda le fasi più buie della sua storia.
Tutte le foto sono tratte da “Plaza De La Dignidad” Mostra Fotografica sul Cile di Luca Profenna