approfondimenti

ROMA
Predatori sessuali affittano. Intervista a Valeria Fonte
Roma è una città difficile. La crisi abitativa è fuori controllo, le persone che già si trovano ai margini vengono spinte sempre più al di fuori con il pretesto del decoro. «Cercare una stanza, se sei donna e sola, significa valutare l’idea che sia uno stupratore ad aprirti la porta di casa. Sono stanca»
Roma è una città difficile. La crisi abitativa è fuori controllo, le persone che già si trovano ai margini vengono spinte sempre più al di fuori con il pretesto del decoro. Le “zone rosse” volute dalle istituzioni contribuiscono ad alimentare la creazione fittizia di persone pericolose andando a colpire manifestantǝ pacifichǝ o persone senza fissa dimora, dietro la retorica dell’accoglienza di pellegrini per la proclamazione dell’anno giubilare.
Cercare un appartamento, una stanza in affitto, è diventata un’impresa pressoché impossibile, visto l’aumento dei canoni di locazione e le speculazioni dovute agli affitti brevi e alla turistificazione della capitale.
Come se ciò non fosse abbastanza, i predatori sessuali hanno imparato a trarre enormi vantaggi da questa situazione. Accade così che Valeria Fonte, attivista e scrittrice femminista, nella ricerca di una stanza a Roma, si trovi a vivere un’esperienza agghiacciante e che vorremmo definire unica o sfortunata. Salvo poi scoprire, attraverso la testimonianza di altre donne, che ci sono nuovi abuser in circolazione.
«Cercare una stanza, se sei donna e sola, significa valutare l’idea che sia uno stupratore ad aprirti la porta di casa. Sono stanca».
Pochi giorni fa, scrivevi questo in una delle tue stories, su Instagram. Ti va di raccontarci cosa è successo?
Qualche volta, può capitare che vediamo delle cose e che ne ignoriamo totalmente l’esistenza di altre. Quando si scoprono queste ultime, ci si dovrebbe sorprendere, in qualche modo, data la novità fattuale. Eppure, quando c’è di mezzo l’oppressione di genere, ogni nuova modalità e ogni nuova risorsa, seppur diverse dalle precedenti, non sorprendono, ma confermano. Cosa confermano? Uno schema radicato e radicale, che si adatta e che si evolve, anziché regredire. Succede che cerco una stanza a Roma, come molte giovani donne precarie, in una situazione abitativa tragicomica in cui il meglio che ti possa accadere sia trovare una stanza senza le pareti in putrefazione che non costi tre quarti di stipendio medio. Succede anche che rispondo all’annuncio per una casa in zona piazza Bologna. Tutto molto interessante, finché la persona con cui stavo parlando (con nome e foto del profilo di donna) inizia a pormi una quantità di domande così ambigue che fanno il giro e diventano, invece, da manuale. Già sentite. Già smascherate. Già familiari. «Vieni da sola? Preferirei venissi di sera. La tua famiglia abita in zona? Che mezzo prendi per arrivare?». A queste, si aggiungono domande di stampo parecchio macabro: «Fai la pipì con la porta aperta? E la doccia?». Avendo beccato quella sbagliata, decido di chiedere in modo secco, come un pugno sotto al mento mentre ti trovi in fase REM: «Quante ne hai già stuprate?».
L’uomo con il quale hai interagito ha subito iniziato a insultarti e aggredirti, quando si è sentito smascherato. Come interpreteresti questa sua reazione?
Quando a una persona che vuole commettere un abuso viene sbarrata la strada prima che questo possa accadere, le si toglie la parte divertente del gioco: decidere per te, su di te, a prescindere da te. Al potenziale abusatore non interessa arrivare al tuo corpo, quello è un dato marginale e irrilevante. Gli importa di poter vincere a braccio di ferro, perché se ti batte si sente più forte, abbastanza macho, abbastanza degno. Fanno sempre questo prevedibile errore di pensare che la sopraffazione sia indissolubilmente legata alla forza. Non sanno che se conosci bene i trucchi, puoi vincere a braccio di ferro anche senza un bicipite grande quanto una palla da baseball. Aggredire me, non è stato davvero aggredire me. Aggredire me, era aggredire se stesso per non avercela fatta. E se non ce la fai, allora sei stato battuto: qual è il rapporto, quindi, a questo punto, che l’abuser ha col fallimento? Questa è l’unica domanda rilevante.
A seguito della tua esperienza, hai ricevuto racconti di altre donne che hanno vissuto esperienze simili? Ci sono testimonianze che vorresti condividere?
Le testimonianze di donne che hanno vissuto esperienze simili sono sempre più numerose. Evidentemente, anche cercare una stanza diventerà, con l’emergenza abitativa che deve ancora arrivare ai suoi picchi storici, un problema concreto, che esporrà le compagne di tutte le età. Non potendo trovarci nella condizione economica di comprare una casa, siamo la generazione che pagherà l’equivalente di un mutuo, senza possedere, alla fine, proprio niente. La casa è un diritto. E lo è soprattutto l’indipendenza. Nel mio mondo ideale non dovrei visionare decine di appartamenti, di sottoscala, di mansarde, col rischio di imbattermi in un proprietario che mi fa le foto alle tette. Nel mondo che vorrei, le case sono un bene di e per tuttə, non un lusso, non un gioco di potere.
Nella narrazione mainstream, la responsabilità di violenze e abusi è spesso a carico delle sopravvissute, ma non si parla mai dello spazio di impunità che Internet rappresenta per gli abuser. Sai dirci qualcosa di questo fenomeno?
Il digitale, o come lo chiamo io “l’Internet”, è un ecosistema. Uno dei difetti di questo ecosistema è che non è regolamentato, è pieno di zone grigie e chi si occupa di bloccare eventuali trasgressioni legislative arriva sempre troppo tardi. A Internet, dei tempi burocratici frega molto poco. Se è vero che niente si crea e niente si distrugge, ma tutto si trasforma, anche su Internet le tracce di chi commette un abuso dovrebbero essere, in qualche modo, scovabili. Ed effettivamente stanno lì, ci sono sempre, da qualche parte. Il problema è che si possono non trovare. Penso a Telegram e a quanto sia semplice eliminare in meno di un secondo intere chat, con annessi prove e contatti. Questa istantaneità si scontra con la questura media di città che ti dice che non si può fare niente, se non di fronte a prove schiaccianti. Così si genera impunità e senso di invincibilità. E non hanno manco torto. Se nessuno ti redarguisce mentre commetti un abuso e se nessuno, dopo, ti educa, come possiamo pensare di affidarci al caso e al buon senso personale?
Nelle tue stories, scrivi: «Il più grande rischio che un uomo potrà correre mentre visita una stanza che vuole affittare è che la camera gli faccia schifo. Indovina qual è il più grande rischio per una donna?». In che modo la crisi abitativa colpisce le donne e le persone femminilizzate con maggiore violenza?
Hai mai conosciuto gruppi di donne che creano gruppi su Telegram per condividere senza consenso le foto intime dei loro ex? Hai mai sentito parlare di chat fra colleghe che stipulano la lista dei migliori culi o dei migliori piselli dell’ufficio? Hai mai sentito parlare di “branco” al femminile, ergo, gruppi di donne che abusano in gruppo di un uomo? La risposta è tutta qui. Non esistono pari opportunità né pari rischi. Esistono solo sistemi non biologici, solo culturali, che agevolano una delle parti dell’ecosistema. Come in tutti i casi precedenti a essere più colpite sono le compagne, così anche in questo. Bisogna chiedersi, a un certo punto, quanti altri modi di esercitare violenza di genere ci toccherà, ancora, scoprire.
Immagine di copertina di Marta D’Avanzo
SOSTIENI, DIFENDI, DIFFONDI DINAMOPRESS
Per sostenere Dinamopress abbiamo attivato una nuova raccolta fondi diretta. Vi chiediamo di donare tramite paypal direttamente sul nostro conto bancario, Dinamo Aps Banca Etica IT60Y0501803200000016790388 tutti i fondi verranno utilizzati per sostenere direttamente il progetto: pagare il sito, supportare i e le redattrici, comprare il materiale di cui abbiamo bisogno