EUROPA
Polonia: vogliono “chiudere” i diritti, ma il dissenso non si ferma
Nel paese governato dal partito conservatore di Kaczyński ancora tentativi di limitare il diritto di scelta delle donne e attacchi alle tutele dei lavoratori. Ma, nonostante il lockdown, la società si ribella e protesta
La notizia non è che, ancora una volta e nonostante le ormai celebri proteste di piazza del 2016, il governo polacco stia riprovando a mettere in discussione la già ben ristretta libertà di abortire. La notizia è che, ancora una volta e nonostante le misure di lockdown imposte nel paese, le donne non ci stanno e lo dimostrano con le proprie voci e i propri corpi. Il 15 aprile il parlamento polacco ha infatti discusso la proposta di legge per abolire uno dei tre casi in cui è ancora concessa l’interruzione di gravidanza nella repubblica centro-europea, dove le norme sono le più limitanti d’Europa. Si tratta di un’ipotesi di emendamento presentata attraverso un’iniziativa civica, così come a ottobre dello scorso anno era cominciato, tramite una raccolta di firme, l’iter parlamentare anche per la controversa iniziativa “Stop Pedofilia” che andava a criminalizzare l’educazione sessuale. Le correnti più conservatrici del partito di maggioranza Prawo i Sprawiedliwość (PiS), gruppi vicini alle Chiesa Cattolica locale o a lobby transnazionali che si oppongono ai diritti femminili e Lgbtqia+, quali l’associazione di avvocati Ordo Iuris (firmataria appunto della proposta di legge del 2016 per restringere l’accesso all’interruzione di gravidanza) rimangono sempre attivi nel panorama politico del paese e non cessano di esercitare pressione affinché vengano adottate misure che esaltino e rinforzino i cosiddetti “valori tradizionali”.
Colpo su colpo, anche nel momento in cui sono attivate come in tutta Europa norme di distanziamento sociale, il variegato e composito movimento femminista controbatte.
«Tutte eravamo decise a fare qualcosa», raccontano le attiviste del Syrena e dello Przychodnia, centri sociali nel cuore della capitale Varsavia. «Ci sono state alcune discussioni sulle modalità da adottare, ma è stato chiaro fin da subito che avremmo dovuto in qualche modo portare i nostri corpi in strada, pur rispettando la sicurezza di tutti». Il 14 aprile una sfilata di auto – in perfetta ottemperanza alle misure di distanziamento sociale – ha bloccato il centro della città e molte donne hanno deciso di far sentire il proprio dissenso e la propria presenza politica nello spazio pubblico attraverso il rumore dei clacson. Altre sono accorse in bicicletta, portando con sé manifesti, striscioni e slogan che invitavano a combattere il virus anziché la libertà delle donne.
Altre ancora, il giorno successivo, si sono disposte a piedi nei pressi del parlamento, con mascherine e borse “decorate” con il logo-simbolo del movimento femminista per il diritto di scelta come se si trovassero in fila per il supermercato. Così, nello stesso momento, in diverse città polacche le code davanti ai supermercati sono diventate “spazio per manifestare”, in sicurezza ma senza timore di esporre il proprio disaccordo e la propria rabbia. Infine, teatro delle proteste sono stati i balconi e le finestre delle case, a cui sono stati appesi striscioni, e le pagine Facebook e Twitter dove già da settimane girava l’hashtag #pieklokobiet (“l’inferno delle donne”). «A partire dalle proteste del 2016 si è venuto a creare un movimento coeso e reattivo», commentano le attiviste del Syrena e dello Przychodnia.
«Per quello che ci è parso sinora, la nostra forza si è mantenuta nel corso del tempo e ci siamo fatte trovare pronte anche nel caso di quest’ultimo tentativo di restrizione della libertà. Grazie a una rete solida e dei metodi di comunicazione ormai fluidi, ci siamo organizzate in modo rapido».
Sotto alcuni punti di vista, la Polonia rappresenta una “storia di successo” di uscita dall’esperienza comunista e integrazione nell’economia di mercato e nei meccanismi comunitari dell’Ue: dopo due anni di fisiologica recessione, nel 1992 il prodotto interno lordo ha iniziato a crescere con ritmi fra i più alti al mondo arrivando così a essere oggi la settima economia del continente (l’unica, tra l’altro, a non aver invertito il proprio andamento durante la crisi del 2008). In più, questo sviluppo rapido e ascendente pare non aver prodotto disuguaglianze eccessive: anzi, stando alle rilevazioni della Banca Mondiale, le disparità socio-economiche sono in costante diminuzione (l’indice di Gini passa dal 38 del 2005 al 31.8 del 2015) mentre il governo a guida PiS ha messo a punto alcuni programmi di redistribuzione del reddito e di contrasto alla povertà (come il programma “500+”, che offre sostegno alle famiglie più numerose).
Anche la stessa xenofobia, che certo è diventata uno sfondo imprescindibile della propaganda di governo (durante l’incontro con il nostro ex-Ministro dell’Interno Matteo Salvini, Jarosław Kaczyński ha dichiarato che «i migranti portano malattie in Europa»), non viene poi realmente praticata nel momento in cui l’obiettivo è “allargare il mercato del lavoro”: nel 2017 la Polonia è stata infatti la nazione comunitaria che ha emesso il maggior numero di permessi di soggiorno in termini assoluti, in particolare a beneficio di migranti ucraini in cerca di un impiego.
Esistono dunque alcuni fattori che garantiscono al PiS e al suo programma un certo grado di consenso.
Le ultime elezioni hanno infatti in larga parte confermato il ruolo preminente del partito, seppur con qualche crepa: le regionali del 2018 hanno visto Kaczyński e i suoi stravincere nelle cosiddette “periferie” (regioni soprattutto del sud-est a forte presenza operaia e scarso sviluppo economico) mentre nelle città maggiori il risultato è andato spesso a favore dei liberali europeisti riuniti in Koalicja Obywatelska (Ko) appoggiati magari da liste civiche e percorsi politici nati dal basso; similmente, alle parlamentari di ottobre 2019, il dominio del PiS è stato molto meno netto che in passato, segnando l’ulteriore crescita di Ko ma soprattutto l’ingresso in parlamento delle forze di sinistra, riunite in un’unica coalizione che comprendeva fra gli altri i socialdemocratici dell’Sld (componente più centrista e maggioritaria), Razem (realtà di recente formazione, da molti accostata per ideologia e modalità di partecipazione interna a Podemos) e, in appoggio esterno, alcune sigle comuniste che si richiamano direttamente all’esperienza pre-1989.
Il PiS, dal canto suo, si è “istituzionalizzato” e ha sfumato alcune delle sue posizioni più dirompenti, anche se continua a mantenere fitte relazioni con l’inquietante nebulosa neofascista e neonazista che va dai cristiani ultra-ortodossi di Europa Christi e Ordo Iuris al nazionalismo “paganeggiante” e sincretico di Trzecia Pozycja (“terza posizione”) o affini.
Tuttavia, è evidente che l’emergenza Covid-19 e le misure di lockdown stanno rimettendo in discussione questo scenario.
Innanzitutto, lo sviluppo economico e l’apparente stabilità sociale si reggono sullo sfruttamento sotterraneo del lavoro riproduttivo e di cura delle donne nonché sul controllo fattuale e simbolico sul loro corpo da parte dello stato, come messo nuovamente in luce dagli ultimi tentativi di limitare le possibilità di interruzione di gravidanza. Inoltre, come denunciato da movimenti quali il sindacato inquilini di Varsavia (Warszawskie Stowarzyszenie Lokatorów – Wsl) a cui sono tra l’altro legati vari attivisti del Syrena e dello Przychodnia, per tante e tanti la situazione abitativa rimane ancora ben lontana da condizioni dignitose e salubri. Le cosiddette “riprivatizzazioni” – il processo per cui varie realtà abitative che durante il periodo comunista erano di proprietà e a uso collettivo vengono “riassegnate” a privati – stanno creando da diversi anni disparità e ineguaglianze sociali nell’accesso a servizi essenziali come quello del riscaldamento, in particolare nei centri urbani più grandi.
Infine, entrando maggiormente nello specifico dell’emergenza attuale, lo “scudo anti-crisi” adottato dal governo per fronteggiare le conseguenze economiche della pandemia mostra sempre più chiaramente come siano configurati i rapporti di forza nel paese. «Si sta cercando di scaricare ogni responsabilità sulle spalle dei lavoratori», afferma senza mezzi termini la sindacalista e attivista di Inicjatywa Pracownicza Magda Malin. «Le iniziative del governo favoriscono le esigenze delle imprese rispetto ai diritti e alla sicurezza dei salariati.
In pratica, con la scusa della pandemia, si sta imponendo una maggiore flessibilità alla classe operaia: l’orario di lavoro viene ridotto così come lo stipendio di chi si trova “ai piani bassi” delle aziende.
In più, anche il controllo delle misure di sicurezza viene spesso delegato ai singoli lavoratori: molti impiegati di Amazon mi raccontano come questo stia aumentando lo stress e favorendo un clima di diffidenza reciproca fra chi invece si trova nella stessa condizione di sfruttamento».
In qualche modo, dunque, l’identità della Polonia – che il partito di Kaczyński sembrava aver assicurato nel corso degli anni come bianca, cattolica e tradizionalista – pare essere rimessa ora in discussione, più “spezzettata” e rimodulata rispetto alle elezioni di cinque anni fa in cui trionfava il “risentimento unificante” espresso dal PiS. «Le reti che si sono create in questi anni non sono solo relative a chi poi va a protestare», spiegano gli attivisti e le attiviste del Syrena e dello Przychodnia, «ma si sono generate anche vere e proprie “alleanze” sotterranee, canali di solidarietà e mutuo aiuto per chi ha bisogno di abortire oppure deve procurarsi strumenti di contraccezione d’emergenza». Com’è noto, il tentativo del 2016 di restringere ulteriormente l’accesso all’interruzione di gravidanza ha fatto esplodere le cosiddette Czarny Protest o “proteste nere”.
Centinaia di migliaia di persone si sono ritrovate a manifestare e scioperare in quelle che sono state le occasioni di dissenso più partecipate del periodo post-comunista, mentre sull’onda delle rivendicazioni sono nati nuovi gruppi e nuove sigle all’interno dell’ambiente femminista, da Gals4Gals a Lekarze Kobietom all’Aborcyjni Dream Team e altri già esistenti hanno messo in discussione modalità di opposizione consolidate e oramai poco efficaci.
«Un’azione molto importante in questo momento è stare vicini a chi ha bisogno», proseguono gli attivisti e le attiviste del Syrena e dello Przychodnia.
«Una parte del collettivo è impegnata a mantenere aperti on-line degli sportelli di ascolto, supporto legale e mutualismo per lavoratori e donne. Oramai, nella maggior parte delle persone, si è sviluppata quasi una forma di precauzione e allerta su questi temi: non appena si è saputo che ci sarebbe stata un’altra discussione al Parlamento sul restringimento dell’accesso all’interruzione di gravidanza, in molti si sono rivolti a noi per ottenere perlomeno delle informazioni sull’acquisto di pillole abortive in rete, oppure per capire in che modo poter avere la certezza di ottenere ricette per la contraccezione d’emergenza senza incappare nell’obiezione di coscienza, che è diffusissima nel paese (anche nel caso della cosiddetta “pillola del giorno dopo”, ndr)».
Ultimamente, alcune delle organizzazioni nate per difendere il diritto alla libera scelta hanno deciso di unirsi. Attraverso la piattaforma Abortion without borders, infatti, gruppi come Women Help Women, Ciocia Basia, Abortion Support Network e Aborcyjny dream tour si occupano di fornire informazioni e supporto pratico per tutte le persone che hanno bisogno di un aborto in Polonia.
Una rete coraggiosa, che, in molti casi, per stare dalla parte delle donne sfida l’illegalità: il sostegno viene attivato in base alla richiesta della persona interessata e può consistere sia nell’invio tramite posta di pillole abortive, sia nell’accompagnamento in una clinica estera per effettuare un aborto chirurgico.
Nonostante la Covid-19, recarsi nelle cliniche slovacche o dei paesi limitrofi per avere un aborto è ancora possibile», raccontano gli attivisti della rete. «Tuttavia, ciò comporta che al rientro la donna debba sottostare ai 14 giorni di quarantena e che sia tenuta a fornire una serie di spiegazioni dettagliate rispetto al suo spostamento. Dal momento che la pratica dell’aborto all’estero è al limite della legalità, è chiaro dunque che la possibilità di ritorsioni, sia da un punto di vista lavorativo che sociale, diventa più alta». D’altronde, sulla pagina web della rete Abortion Without Borders si legge: «La Covid-19 è semplicemente ancora un altro ostacolo per le persone che vivono in un paese con un inadeguato accesso all’interruzione di gravidanza».
Mutualismo, creazione di reti e alleanze, pratiche solidali che forzino i limiti della legalità: date le condizioni di lockdown e isolamento sociale, potrebbe essere questo l’orizzonte più proficuo in termini di difesa dei diritti. «Si tratta di azioni di militanza concreta, che in questo momento ci sembrano di massima importanza», affermano ancora attiviste e attivisti del Syrena e dello Przychodnia. «Piuttosto che mettere in atto proteste simboliche, ora è forse più importante elaborare strategie che si confrontino con le esigenze quotidiane delle persone, come ad esempio accedere alla contraccezione d’emergenza. Anzi, ci stiamo chiedendo quanto senso abbia investire molte energie nelle manifestazioni di piazza a fronte dei rischi che si corrono».
Se, infatti, le proteste del 14 aprile sono state significative, forti e simboliche, altrettanto forte e significativa è stata la repressione poliziesca.
Una quarantina di attiviste sono state identificate e denunciate e si sono viste aprire nei propri confronti procedure amministrative per multe da oltre 1.000 euro, le quali possono poi tramutarsi anche in azioni penali. Si tratta chiaramente di sviluppi che rischiano di mettere a dura prova la tenuta e la coesione dei movimenti, dato anche che uno stipendio medio in Polonia è di circa 600 euro.
Ragionamenti simili si muovono anche nell’ambito dei diritti dei lavoratori. «In questo momento è difficile organizzare e portare avanti degli scioperi o altre forme tradizionali di protesta nelle fabbriche», spiega sempre la sindacalista di Ozz- Inicjatywa Pracownicza Magda Malin. «Oltretutto è vero che in tanti, in particolare gli impiegati dei magazzini di Amazon, hanno potuto usufruire di periodi di congedo per motivi di salute o di altre indennità. Le nostre energie sono dunque orientate a costruire un “fronte comune” con tutte le forze sindacali per chiedere un annullamento o una rimodulazione dello scudo anti-crisi. Occorre impedire che il lavoro venga reso ulteriormente flessibile e che le aziende abbassino i salari per ottenere i sussidi governativi».
La capacità delle organizzazioni dei lavoratori di rispondere e controbilanciare le azioni intraprese dalle aziende risulta cruciale: presso la sede della Volkswagen a Poznań è in corso praticamente dall’inizio della pandemia un contenzioso fra operai, sindacati e azienda che ha visto susseguirsi da parte di quest’ultima minacce di licenziamento e, a quanto riportato da Ozz, addirittura tentativi di censurare e impedire comunicazioni fra i lavoratori.
Come in tanti paesi, dunque, anche in Polonia con la diffusione del contagio e le misure di lockdown i conflitti sociali non si sono arrestati ma, al contrario, sembrano acuirsi.
Il conservatorismo strisciante del Pis e delle forze che gli gravitano attorno, unito agli interessi dei grandi gruppi aziendali, continuano a perseguire le proprie politiche di esclusione e restaurazione identitaria. Nel panorama odierno, pensando anche alle imminenti elezioni presidenziali tanto volute dall’attuale esecutivo, non sembrano esserci singole personalità o realtà che sappiano incarnare il desiderio di cambiamento di parte della popolazione e unificare l’opposizione alle “destre”. Esistono però dei “corpi in lotta”, moltitudini che da almeno quattro-cinque anni danno forza alle proprie idee e si stanno sollevando per chiedere una Polonia più inclusiva e meno diseguale. Moltitudini che, dopo le “proteste nere” del 2016 o scioperi e iniziative per il diritto alla casa, hanno deciso di sollevarsi anche oggi, ancora una volta e nonostante il lockdown. È una notizia.
La foto di copertina è presa dalla pagina Facebook di Manifa Wrocław
OnTheJanion è un collettivo nato in seguito a un viaggio di indagine sui movimenti femministi in Polonia. Ne fanno parte: Francesco Brusa, Alice Chiarei, Mara Biagiotti e Francesca Bonfada.