approfondimenti

OPINIONI

Più diaspora, meno radici

Brevi considerazioni introduttive a un importante testo non firmato sulla valorizzazione della diaspora rispetto a ogni patria immaginaria o feroce, a favore della dispersione contro l’identitarismo obbligatorio dello stato-nazione

Non abbiamo sufficienti elementi per determinare la rappresentatività di questo testo non firmato, apparso sul sito on line Medium e disponibile presso Jewish Voice of Solidarity in forma cartacea (jgrimfeinberg@gmail.com). Il medesimo Joseph Grim Feinberg, ricercatore ceko, l’ha ampiamente commentato sul podcast The jewish Diasporist, evidenziando il suo carattere di “parodia” della Dichiarazione israeliana di Indipendenza.

Non sappiamo quindi se sia un movimento di massa attivo nella solidarietà alla lotta palestinese, come analoghe strutture Usa, o un minuscolo gruppo di intellettuali utopisti o l’indirizzo mail di un nuovo Golem praghese erettosi a protettore delle comunità della Diaspora. Tuttavia ci importa non di quanti siano (ci auguriamo molti) ma solo di cosa dicono, perché lo sottoscriviamo parola per parola.

La Diaspora è di tutti – Palestinesi espulsi, Africani e Siriani, Armeni e Bangla, migranti latinos rifugiati Rohingya – e in qualche modo è anche, fuori di ogni etichetta etnica, di quanto resta della Sinistra nel mondo, di noi, insoumis della sinistra diasporica, non disposti ad arruolarci nel campismo verniciato di decolonial e nell’atlantismo coloniale, sballottati fra gli apologeti del genocidio e i tifosi di Hamas, fra i progressisti abbarbicati ai valori occidentali e gli allucinati fan di Sahra Wagenknecht.

E tuttavia, se c’è una primogenitura diasporica, è quella teologica del Dio dello Zohar (versione lurianica), che nella creazione si ritrae per fare spazio al mondo e poi si manifesta nelle dieci emanazioni – Sefirot andando in qualche modo in esilio, come il suo popolo schiavo in Egitto e poi fra il primo e il secondo Tempio (cattività babilonese) e definitivamente dopo la distruzione del secondo Tempio. La diaspora e i connessi processi di redenzione e di ricomposizione dell’infranto sono il percorso infinito della dispersione di Dio nel mondo dopo il peccato adamitico e la cacciata dell’Eden (il primo esilio). L’interruzione prematura (pre-messianica) della diaspora (la riterritorializzazione, per es. di tipo sionista) ha i colori dell’eresia in questa dimensione profetica.

Le ricadute secolari (o i presupposti materiali) di questo esilio mistico sono evidenti e vengono sviluppate nel testo che segue – e che naturalmente valgono come critica di ogni nazionalismo, anzi dello stesso Stato-nazione e in particolare delle contraddizioni che si aprono con la decolonizzazione e i fenomeni migratori innestati dalla globalizzazione e dai conflitti in un sistema multipolare.

Feinberg, che sembra uno degli autori della Dichiarazione, l’ha commentata nel link sopracitato criticando esplicitamente la pretesa israeliana di far coincidere un centro simbolico post-Olocausto con la casa geografica di tutti gli Ebrei, screditando le comunità della Diaspora e pretendendo il monopolio della sicurezza grazie alla riterritorializzazione in un luogo “originario” – pretesa che si è rivelata paradossalmente sempre più irrealistica, anzi l’epicentro di una guerra senza fine con gli abitanti arabi, altrettanto “originari”, scacciati o mantenuti in condizioni di apartheid che svergognano la tradizione umanistica ebraica. Il “ritorno a casa” va concepito come un desiderio non come una pratica esaustiva nazionale e significa che tutti devono poter tornare a casa, redimendo così il mondo (ricongiungendo le scintille disperse della presenza divina, della Shekhinà). Ovvero che tutti (Ebrei, Arabi, Armeni, ecc.) possano stare bene a casa loro, liberi dalla schiavitù e dall’oppressione, ovunque nelle terre di partenza e in quelle d’arrivo.

Si ripropone così il grande elogio della Diaspora, dell’Esodo, della commistione e del marranesimo che va da Spinoza a Heine, da Marx a Hannah Arendt, per cui gli Ebrei della Diaspora (ma tutti i membri di qualsiasi diaspora) devono cercare di sfuggire al dilemma fra integrazione e persecuzione e considerarsi i pariah, i portatori oggettivi della rivolta e della liberazione, dell’eguaglianza deterritorializzata e promiscua. L’esperimento nazionale sionista, per quanto giustificato da particolari circostanze storiche (che cioè l’Occidente non ha voluto farsi carico delle responsabilità rispetto alla propria tradizione antisemita e alla persecuzione nazista), si è rivelato parziale e comunque ha costruito un’identità israeliana e non ebraica, che resta piuttosto affidata alla Diaspora.

Quale può essere il futuro dello stato di Israele, così come si è costituito? Per J. Grim Feinberg, «un tale stato potrebbe offrire uno spazio in cui ebrei e non ebrei, riferendosi ai loro vari passati e alle loro varie visioni, potrebbero discutere del loro futuro comune, senza fondersi in un tutto monolitico. Una tale lotta tra memorie, tendenze e speranze in competizione sarebbe una dialettica negativa, senza un Messia e senza una risoluzione finale.

Non so se questo stato avrà confini attorno a tutta la Palestina e sarà costretto a portare dentro la storia e l’esperienza palestinese, l’idea palestinese della diaspora, come parte integrante della sua autocomprensione, o se esisterà accanto a una Palestina indipendente, che troverà la sua strada da seguire. Non so nemmeno se si chiamerà “Israele” o “Palestina” o “Palestina-Israele” o qualcosa di completamente diverso. So solo che senza un progetto politico di questo tipo, c’è poca speranza che questo stato, che è rimasto incastrato in una trappola di autonegazione attraverso la negazione di presunti stranieri, possa mai andare avanti».

La tradizione ebraica «riconosce la casa non solo per gli ebrei. Ciò che accade ad altri che perdono la propria casa accade anche a noi. I desideri di ritorno di altre persone sono anche i nostri desideri. Questa visione del mondo venera le case, non i confini, perché onora i luoghi che sono aperti al ritorno». Gli espulsi da Sefarad e le vittime della Nakba hanno del pari conservato le chiavi di casa.

Ed ecco il testo.

(a.i.)

disegno Antonello Sotgia

Dichiarazione di indipendenza della diaspora 

Il nostro vero luogo di nascita è stato in Esilio. Non quando un uomo ha tracciato una mappa della terra e l’ha chiamata sua, non quando un altro ha costruito un palazzo e alcuni anziani lo hanno dichiarato re, non quando suo figlio ha costruito un Tempio e ne ha fatto il centro della sua Terra, ma quando siamo stati cacciati dall’Eden: è stato allora che siamo nati. 

È stato vagando nel deserto, non quando lo abbiamo diviso con le recinzioni, che abbiamo imparato a lasciar sbocciare i suoi fiori. 

Non è stata la nostra appartenenza a uno Stato a crearci, ma la schiavitù in Egitto, la prigionia a Babilonia e la dispersione come semi lungo le coste della Roma imperiale. 

Abbiamo visto le madri delle nostre madri rapite in Assiria e Persia e poi bandite di nuovo. Abbiamo visto zii e nipoti nelle biblioteche di Alessandria, nei giardini di Granada, nelle scuole di Vilnius e sulle bancarelle del mercato di Salonicco, finché non hanno dovuto andarsene anche da lì.  

Abbiamo anche visto amici arrancare oltre l’Himalaya, i Balcani e i Carpazi per suonare nei cabaret e nelle corti delle Nazioni, per riparare le pentole delle Nazioni e affilare i loro coltelli. Abbiamo visto sorelle e fratelli cacciati dall’Africa, per lavorare affinché le Nazioni potessero avere diritti e stati. Ne abbiamo visti altri persi nelle foreste delle terre di confine e gettati dalle onde di ogni mare, galleggianti sul retro di zattere capovolte, respinti dalla riva di ogni Nazione. 

Abbiamo visto i nostri cugini cacciati sotto la minaccia delle armi dalle loro case e dai loro campi, mandati via dalle loro terre ancestrali in nome della fine dell’esilio. In nome del fatto di renderci una Nazione come le altre. Ne abbiamo abbastanza di quel tipo di Nazione. 

Non vogliamo imparare da loro l’arte della progettazione della casa. Abbiamo imparato l’arte della nostalgia di casa, così da poter vedere la nostalgia degli altri. Abbiamo imparato a girovagare, soggiornare, vagare, bighellonare, bighellonare e gironzolare, anche a calciare, sgattaiolare, vagabondare, violare, gironzolare, flâner, andare alla deriva e talvolta passeggiare. Ma quando i Governanti e gli Oppressori non guardavano, abbiamo anche imparato l’arte della lotta. Abbiamo visto la sofferenza, ma siamo anche saliti sulle cime delle montagne e abbiamo visto che il mondo è grande. È stato quando ci siamo fermati lì, sapendo che non avevamo ancora trovato il centro del mondo e che potremmo non raggiungere mai le sue estremità: è stato allora che la nostra nazione è diventata maggiorenne e ha capito di non aver bisogno di patria o madrepatria o terra promessa. 

Pertanto, in nome degli Ebrei, dei mezzi-ebrei, dei cripto-ebrei, degli impostori ebrei, degli ebrei curiosi e appena ebrei, così come dei gentili e di tutti coloro che si trovano oltre o in mezzo, DICHIARIAMO CON LA PRESENTE L’INDIPENDENZA DELLA DIASPORA da tutti gli Stati, incluso, ma non limitato a, lo Stato di Israele. 

Facciamo un appello speciale agli abitanti israeliani della diaspora affinché partecipino alla sua costruzione sulla base di una rappresentanza piena e paritaria in tutte le sue istituzioni provvisorie e permanenti. 

IL DIRITTO DI RITORNO alla diaspora sarà aperto a tutte 

– le persone nate da madri ebree, con prova dell’ebraismo delle loro madri, comprovata dalle firme di almeno due rabbini; 

– le persone con almeno un nonno ebreo, senza prova; 

– le persone ebree residenti nello Stato di Israele che si chiedono se appartengano a quel Paese; 

– le persone che vivono al di fuori dello Stato di Israele e che potrebbero volerlo visitare in futuro, ma non adesso; 

– le persone vagamente interessate, affascinate o confuse dalla tradizione ebraica; 

– le persone che non si preoccupano minimamente della tradizione ebraica; 

– ai migranti e rifugiati non Ebrei nello Stato di Israele; 

– ai Palestinesi gettati nella diaspora dallo Stato di Israele; 

– a tutte le persone, ovunque, che non hanno una casa; 

– a tutte le altre persone, ovunque. 

DIASPORA non offre alcuna garanzia, ma invita tutti coloro che vi vivono, indipendentemente da religione, razza o sesso, a lottare per i propri diritti e per quelli dei loro compagni di viaggio. 

TENDE la mano a tutte le Nazioni che si preparano a rinunciare ai propri Stati e a tutti gli Stati che sono disposti a dimenticare le proprie Nazioni. 

I CONFINI della diaspora sono ovunque e in nessun luogo e possono essere attraversati in qualsiasi momento. 

L’INNO NAZIONALE della Diaspora è dichiarato essere un medley di Di Shvue, The March of the Unemployed, Wayfaring Stranger, Follow the Drinking Gourd e Djelem, Djelem, con diverse misure aperte all’improvvisazione. 

LE LINGUE DIASPORICHE UFFICIALI includeranno yiddish, ladino, giudeo-arabo, arabo shami, arabo shawi, circasso, giudeo-marathi, amarico, giudeo-tat, polacco, ceco, ge’ez, aramaico, ebraico moderno, yoruba, lingue kuki-chin, armeno, romanì, ucraino, ruteno, polinesiano, tedesco, russo, italiano, tamil, esperanto, inglese slavo privo di articoli, dialetti, pidgin e patois di tutti i tipi, ebraico mal pronunciato con inflessioni di labbra screpolate e la cadenza scivolosa del fango shtetl. Questo elenco di lingue ufficiali sarà continuamente modificato e ampliato indefinitamente. 

LA DIASPORA NON HA BANDIERA, ma può decorare liberamente i muri delle Nazioni con adesivi e graffiti, in particolare ma non solo, allo scopo di coprire slogan fascisti. Le navi della Diaspora salperanno sotto una flottiglia di ANTI-BANDIERE. 

LA COSTITUZIONE della Diaspora sarà redatta quando il popolo della diaspora sarà pronto a codificare i propri valori condivisi. O mai più. La diaspora è paziente e contiene moltitudini. 

L’ESERCITO DELLA DIASPORA sarà composto da divisioni di 1) vagabondi, disciplinati dall’alba e dalla vita in viaggio, 2) lavoratori dalle braccia forti, 3) studiosi con penne affilate e 4) artisti addestrati in tattiche di accerchiamento, imboscata e teatro di guerriglia. 

LE CARICHE DI PRESIDENTE E PRIMO MINISTRO rimarranno vacanti fino allo scoppio della Rivoluzione, consentendo a tutti, ovunque, di rimanere a casa. 

POSTA LA NOSTRA SFIDUCIA NEI CONTRATTI E NEI PATTI, DISPERDIAMO QUESTA DICHIARAZIONE, NON FIRMATA, NELLE TERRE DELLA DIASPORA. 

ENTRA IN VIGORE IMMEDIATAMENTE DAL MOMENTO IN CUI VIENE LETTA. 

Le immagini sono disegni di Antonello Sotgia

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