MONDO
Cosa accade in Perú? Il Congresso destituisce il presidente, rivolte e nuove dimissioni
Con la destituzione parlamentare del presidente Martin Vizcarra e la nomina di Manuel Merino, si è aperta una settimana di forti tensioni nel paese: proteste, rivolte e manifestazioni, con una durissima repressione che ha causato due morti, 42 desaparecidos e centinaia di feriti. Così hanno dato le dimissioni ieri pomeriggio sia 16 dei 18 ministri del governo de facto, che lo stesso presidente Merino
Il Perù attraversa una crisi politica profonda e le manifestazioni nelle strade reclamano una nuova costituente, mentre esplode la rabbia per la crisi sanitaria ed economica nel paese. In questo articolo, pubblicato lo scorso 10 novembre prima degli eventi degli ultimi giorni di cui ricostruiamo brevemente la cronologia, la sociologa e militante del movimento Nuevo Perù, Anahi Durand, ricostruisce con Yair Cybel la crisi istituzionale cominciata la settimana scorsa e propone una analisi della situazione politica nel paese (ndr)
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Finalmente, dopo il secondo tentativo, il Congresso ha votato lo scorso lunedì a favore della destituzione dell’ormai ex presidente Martín Vizcarra. Con 105 voti a favore, 19 contro e 4 astensioni, il Congresso ha destituito il presidente peruviano con l’accusa di “permanente incapacità morale”, sulla base di alcune denunce legate a presunti fatti di corruzione durante il suo incarico di governo della regione di Moquegua tra il 2011 e il 2014.
I voti a favore della vacancia presidencial, figura giuridica che porta alla sfiducia parlamentare e alla destituzione del presidente da parte del Congresso, sono stati quelli del gruppo parlamentare Alianza para el Progreso e Acción Popular (con 20 e 18 voti rispettivamente) a cui si sono aggiunti, tra gli altri, i 14 dell’evangalico Frepap e i 15 di Fuerza Popular, il partito Fujimorista. Ma la scelta del voto contro il presidente non viene solamente ideologicamente dalla destra, dato che si sono pronunciati a favore della sfiducia anche 12 deputati dell’Unione per il Perù – partito guidato da Antauro Humala, fratello dell’ex presidente – e addirittura sei deputati del Frente Amplio, coalizione di sinistra.
Appena sono stati resi noti i risultati del voto, Vizcarra ha annunciato che avrebbe lasciato l’incarico e che al suo posto avrebbe ricevuto l’incarico di presidente Manuel Merino, imprenditore agricolo arrivato al Congresso nelle liste di Azione Popolare per la circoscrizione di Tumber, con poco più di cinquemila voti, e che fa parte del parlamento solamente da quest’ultimo anno. Merino ha annunciato che nominerà un governo di ampia base, e tutto indica che sarà sostenuto dai principali partiti che hanno votato la sfiducia.
Immediatamente dopo il voto che ha destituito il presidente, Merino ha chiarito che le elezioni previste per l’11 aprile del 2021 non sarebbero state assolutamente posticipate, anche se si vocifera di possibili modifiche alle regole del gioco elettorale in seguito alla destituzione e alle pressioni di alcune delle forze politiche che si trovano in difficoltà rispetto alla corsa presidenziale. Occorre ricordare che mancano solo cinque mesi per le elezioni generali in Perù e diversi candidati sono al momento non abilitati alla presidenza (come Antauro Humala il cui partito, Unione per il Perù, insiste per l’indulto) mentre altre candidatura critiche del sistema, come quella di Veronika Mendoza, cominciano ad avere sempre più peso.
Questa nuova mozione di sfiducia non fa altro che certificare ciò che è già senso comune nella società peruviana: la descomposizione istituzionale che vive il paese è una eredità del regime costituzionale istallato da Alberto Fujimori nel 1992.
Secondo l’ultimo sondaggio di Datum, il 56% dei peruviani sarebbe d’accordo con un cambiamento della Costituzione e solamente un 27% si dichiara in disaccordo con una riforma costituzionale.
La caduta del presidente colpisce la già malridotta istituzionalità peruviana e apre ad uno scenario nuovo definito dall’incertezza. Con Vizcarra fuori dai giochi, la crisi politico-istituzionale si approfondisce e diventa ancora più grave. Lo scenario è ormai viziato, siamo alle porte delle elezioni e si riaffaccia la possibilità che votare la sfiducia al presidente si istituzionalizzi da qui in avanti come meccanismo destituente usato dalle minoranze parlamentari.
A sua volta, con questa decisione, il Parlamento si configura come il luogo che esprime appieno il marciume della classe politica peruviana. Eletti per un periodo speciale di solo un anno, i gruppi parlamentari hanno dimostrato di pensare ai propri interessi politici e ai propri affari più che alle necessità popolari, nel terzo paese al mondo con il maggior numero di morti ogni 100mila abitanti per Covid-19. La sconnessione della classe politica rispetto alle preoccupazioni e alle esigenze della cittadinanza è allarmante, in un paese che sta vivendo una delle sue peggiori crisi degli ultimi decenni.
Da qui in avanti si apre uno scenario complesso, ma senza dubbio la variabile decisiva saranno le piazze e la mobilitazione popolare. Appena resi noti i risultati del voto parlamentare, organizzazioni, partiti e collettivi della società civile si sono mobilitati a Lima in opposizione alla decisione parlamentare. Il voto che ha destituito il presidente ha generato indignazione e malessere in ampi settori della popolazione che preferivano che Vizcarra continuasse in carica, e questa partecipazione ha potenziato la mobilitazione dei settori più politicizzati.
Bisogna vedere se questa mobilitazione diventerà ancora più di massa, se potrà connettersi con la rabbia e l’incertezza prodotta dalla crisi ed anche se riuscirà a trascendere il suo carattere di mobilitazione in difesa della democrazia per diventare una vera e propria sollevazione destituente.
Infine, la mossa parlamentare dello scorso lunedì mostra chiaramente come operano i poteri forti in Perù. La CONFIEP; la principale organizzazione imprenditoriale del paese, si è rapidamente espressa a sostegno del processo golpista, mentre le cupole militari ostentavano una significativa passività di fronte agli eventi. In un momento in cui la crisi economica si aggrava, i poteri forti del Perù hanno dimostrato ancora una volta lo scenario che desiderano per continuare a proteggere i propri interessi.
Il voto che ha destituito il presidente mostra la siderale sconnessione tra la classe politica e le necessità di un paese nel pieno della crisi economica e sanitaria. A sei mesi dalle elezioni, quelli che avranno la capacità di capitalizzare il malcontento sociale e proporre delle vie di uscita di fondo che rispondano alle rivendicazioni concrete della popolazione, saranno sicuramente i protagonisti della scena politica del prossimo futuro, quando nel 2021 il Perù celebrerà i duecento anni dall’indipendenza tra posti vuoti in parlamento e lotte popolari.
Articolo pubblicato su Celag. Pubblicato con il consenso degli autori che ringraziamo per la disponibilità. Traduzione in italiano di Alioscia Castronovo per DINAMOpress.
Foto di Diego Miranda da Lima, Perù.