ITALIA
Perché nelle Marche una manifestazione nazionale per l’aborto?
Il 6 maggio è stata chiamata la manifestazione nazionale per l’aborto libero e sicuro ad Ancona. L’obiezione di coscienza nelle Marche è ben oltre ma media nazionale. Gli ospedali non seguono le direttive sull’IVG farmacologica, mentre soldi pubblici finanziano associazioni antiscelta
Ad aggirare la legge 194/78 che garantisce l’interruzione volontaria di gravidanza, non è solo l’obiezione di coscienza, ma sono anche le manovre finanziarie varate dal governo, la cui ideologia è visibile nei bilanci regionali di regioni come Marche e Piemonte, che regalano alle associazioni antiscelta centinaia di migliaia di euro in finanziamenti pubblici. L’attuale manovra finanziaria ha come carattere principale il criterio familiare, incentrato sugli aiuti alle donne per sostenere la gravidanza e dissuaderle all’aborto. Nel Documento di Economia e Finanza vi è un chiaro riferimento agli organi competenti per incentivare le nascite: i consultori, depotenziati del loro ruolo, saranno centrali per il sostegno alla natalità, già prevista dalla legge e il sostegno delle associazioni dei centri per la vita.
Nelle Marche la legge regionale DGR 1271/2021 finanzia con 950 mila euro i centri per la vita e le collaborazioni esterne con associazioni antiabortiste quali Famiglia Nuova, molto diffusa nelle Marche e vicina al Governo della Regione. Nelle scorse settimane, il 21 e 22 aprile, in occasione della giornata sulla salute della donna, sono stati indetti nelle Marche ben due convegni delle associazioni antiscelta sulla gravidanza, patrocinati dalla Regione Marche e dagli ordini dei medici, farmacisti, infermieri, ostetriche e psicologi con accesso a crediti ECM per il personale medico-sanitario. Ciò accade dopo mesi di mobilitazione sociale per impedire momenti di propaganda come questi, troppo frequenti sul territorio e gli stessi convegni sono stati contestati.
Secondo i rapporti sull’Interruzione Volontaria di Gravidanza del Ministero della Salute l’obiezione di coscienza nella Regione Marche era del 63% nel 2019, con un incremento all’80% nel 2022, ben oltre la media nazionale.
Un aumento vertiginoso di cui l’assessore alla sanità Filippo Saltamartini non ha perso occasione di vantarsi, in connessione ai presunti esiti positivi delle politiche familiari introdotte con il fondo a sostegno della famiglia, utile a dissuadere e rimuovere i dubbi sulla gestazione.
Per quanto riguarda il servizio pubblico, su 11 punti ospedalieri totali dove si effettuavano IVG, solo 4 effettuano l’IVG farmacologico, con il limite fermo a 7 settimane. La Regione Marche, infatti, non ha recepito le linee guida sull’IVG farmacologica del Ministero della Salute del 2020, che estendeva la somministrazione della RU486 alle 9 settimane. L’IVG farmacologica rappresenta il 13% delle IVG, dato molto al di sotto della media nazionale, che espone le persone gestanti a operazioni e ospedalizzazione non necessarie.
Nell’ultimo anno, inoltre, sono venute meno due convenzioni private che garantivano circa un terzo delle IVG svolte nel territorio marchigiano e che sono nate per appaltare al privato la risoluzione del problema dell’obiezione di struttura, fortemente presente negli ospedali pubblici, seppur formalmente non consentita dalla legge.
Sono, infatti, casi rappresentativi gli ospedali di Fermo e Jesi, dove l’aborto non è garantito a causa del 100% di personale obiettore di coscienza.
La prima convenzione era stipulata con L’AIED, risalente al 1982, e la seconda tra la ex-Azienda Sanitaria Unica Regionale e la clinica privata Villa Igea. L’ospedale Salesi di Ancona, infatti, assicura l’IVG solo per minorenni, in caso di procedure a rischio od oltre i 3 mesi, e delegata fino a qualche mese fa tutte le altre casistiche, ossia le principali, a Villa Igea, senza alcuna nuova soluzione dopo la sospensione del servizio privato.
La scelta della Regione, dunque, è stata dapprima di privatizzare l’accesso a un diritto fondamentale e di interesse pubblico come quello all’aborto e, successivamente, di metterlo a repentaglio senza prendere in carico i bisogni del territorio e senza recepire le linee guida nazionali, per scelta politica del governo di estrema destra.
Il risultato è l’impossibilità di accedere all’aborto, con gli stessi centralini marchigiani che suggeriscono di recarsi in Emilia-Romagna.
Non Una Di Meno non intende accettare che le Marche diventino un caso-studio nazionale antiabortista! Vogliamo, anzi, che siano un esempio di società che si mobilita e si ribella. Da Ancona partirà la nostra Interruzione Volontaria di Patriarcato, dirompente in tutte le Regioni, per ottenere nuovi diritti riproduttivi.
Immagine di copertina NUDM