ITALIA
Per noi e per tutt*. Quindici mesi di lotta nel settore dello spettacolo
Lavoratori e lavoratrici dello spettacolo da tutta Italia sono scesi in piazza a Roma per rivendicare un reddito di continuità che possa far fronte alle condizioni di precariato cronico del settore
Dopo oltre un anno di mobilitazioni, la lotta di lavoratori e lavoratrici dello spettacolo di tutto il paese è confluita ieri a Roma, sotto i Ministeri di Lavoro e Sviluppo Economico. Qui, in un pomeriggio per fortuna non troppo caldo, sono arrivate delegazioni da Napoli, dalla Calabria, dal Piemonte e dal Veneto: tutte e tutti assieme per ribadire che le misure istituzionali messe in campo finora non sono sufficienti e che l’affievolirsi della situazione emergenziale non può essere una scusa per riprendere come se nulla fosse.
«Siamo scesi oggi con una delegazione di rappresentanza, perché la proposta Orlando-Franceschini è assolutamente insufficiente sia per una prospettiva a corto raggio, ovvero la “ripartenza”, sia per una più a lungo raggio», racconta Elio, tecnico luci arrivato da Alessandria, in Piemonte: «Di fatto è una riforma debolissima, zoppa, che manca di quasi tutte le parole d’ordine che abbiamo avanzato in quindici mesi di mobilitazione».
Continuità di reddito, emersione del nero, diritti e tutele in caso di infortunio, malattia e genitorialità: queste sono solo alcune delle numerose istanze portate avanti da lavoratori e lavoratrici del settore nelle varie associazioni auto-organizzate sorte in tutto il territorio italiano durante la stagione pandemica.
Elio, infatti, fa parte del coordinamento regionale del settore dello spettacolo della regione Piemonte. «Siamo parte integrante del network nazionale Emergenza Continua sin dalla sua creazione», spiega.
Dall’esperienza di Emergenza Continua, dopo alcune partecipatissime mobilitazioni a maggio dello scorso anno a Roma e in tutta Italia, è nata la prima Rete Intersindacale Professionist* Spettacolo e Cultura (Risp), in cui confluiscono le Camere del Lavoro Autonomo e Precario (Clap), ADL Cobas per l’Emilia Romagna e SI Cobas per la Campania. «Un contraccolpo positivo della pandemia è stato proprio che c’è stata una presa larga di coscienza da parte di una larga fetta di lavoratori e lavoratrici che prima non avevano alcuna posizione rispetto alla loro funzione all’interno del tessuto sociale», conferma Mimì Ercolano della sezione napoletana di SI Cobas.
La sindacalista ha preso parte alla manifestazione in via Molise che, complici le disposizioni restrittive di questura e prefettura di Roma, non ha potuto svolgersi in forma di corteo, ma si è trasformata così in una sorta di assemblea a cielo aperto. Lavoratori e lavoratrici hanno parlato al microfono, confrontandosi e sottolineando la parzialità delle riforme inserite all’interno del decreto Sostegni Bis.
«Le rivendicazioni cardine, tra cui quella di un reddito di continuità all’altezza della precarietà del nostro settore, non sono state inserite nel decreto Sostegni Bis», ribadisce anche Nando, dal Veneto.
«Le misure di sostegno al reddito inserite nel decreto non sono assolutamente all’altezza di quella sfida che è la ripartenza del nostro settore», entra nel dettaglio Nando: «Per esempio, l’indennità di disoccupazione per i lavoratori autonomi non riuscirà a sostenere la stragrande maggioranza di tutti i lavoratori e di tutte le lavoratrici. Inoltre l’annata contributiva bianca promessa dal ministro Franceschini, grazie all’interlocuzione nata con l’occupazione del Globe, non è nemmeno citata».
Tutte queste rimostranze sono state portate fin dentro i Ministeri: una piccola delegazione, infatti, è stata ricevuta dal capo-gabinetto del Ministro del lavoro Andrea Orlando. Purtroppo, confessa David Ghollasi di Risp per gli e le partecipanti al presidio, l’interlocuzione non è stata delle più fruttuose. Il timore è che «quello che abbiamo detto finirà probabilmente dentro a un altro cassetto insieme alle nostre note tecniche». Ma questo non ferma comunque la lotta: «Una cosa che abbiamo imparato in quest’anno, insomma, è di non cedere di un millimetro rispetto quelli che sono i nostri diritti».
Il timore condiviso da tutti e tutte, però, è che la riapertura in corso possa distogliere l’attenzione dai problemi di un settore che, già prima della pandemia, mostrava tutte le sue difficoltà e iniquità.
È un punto su cui concordano David, Mimì, Nando ed Elio. «Il governo ha provato a mettere un punto su quelle che sono le mobilitazioni dei lavoratori e delle lavoratrici dello spettacolo, ma la piazza di oggi ha dimostrato e ha fatto arrivare forte e chiaro il messaggio che per noi non è finita qui e che la lotta continua su ogni rapporto di lavoro, in ogni teatro o luogo di produzione culturale», prosegue ancora David.
“Il timore di Mimì, invece, è che la ripartenza porti con sé un «livello di ricattabilità talmente alto che le persone devono necessariamente accettare di ritornare a lavoro anche a condizioni veramente sfavorevoli».” L’unica soluzione efficace pare dunque essere quella proposta da Elio: «La necessità di interlocuzione coi soggetti che il lavoro lo vivono nella quotidianità e quindi lo conoscono al meglio, nella sua fluidità e nelle sue contraddizioni e nelle sue anomalie, perché ricordiamo essere uno dei settori più precari di questo paese».
Un lavoro che purtroppo è spesso sinonimo di precarietà, come ha ricordato Tiziano Trobia delle Clap: «Il problema è lo sfruttamento, la violenza dietro questa precarietà che è la forma dello sfruttamento».
È il suo intervento a chiudere il vivace pomeriggio di mobilitazione e a salutare i e le partecipanti in maniera tutt’altro che pacificata: «Dobbiamo tornare ognuno nei propri territori e prendere la rincorsa, farci vedere, dare fastidio e soprattutto raccontare che, se la volontà era scrivere qualche pagina di giornale per dire che tutto è andato a posto, non è proprio così e dobbiamo mostrarlo nelle prossime settimane».
Tutte le immagini di Nicolò Arpinati