approfondimenti
MONDO
Paura in aula ad Hong Kong
Come la Legge per la Sicurezza Nazionale di Hong Kong sopprime le libertà accademiche e intellettuali. Un contributo da “Made in China Journal”
La repressione del movimento di Hong Kong del 2019 e la gestione della pandemia hanno concretizzato quei cambiamenti drammatici pianificati da lungo tempo da Pechino, ben rappresentati dall’entrata in vigore il 1 luglio della Legge di protezione dello Stato. Nell’articolo che segue si prendono in considerazione le trasformazioni nel campo dell’istruzione. Solo negli ultimi giorni, al Rettore dell’Università cinese di Hong Kong è stata recapitata una lettera aperta scritta da quattro sindacati della polizia. In questa lettera si critica il comportamento del rettore tenuto lo scorso anno durante l’assedio dell’università operato dalla polizia. In sostanza, chi in quel tempo aveva “aperto” un dialogo con gli studenti e aveva chiesto di non usare la forza, si trova ora a dover rispondere delle proprie azioni di fronte alla polizia e al governo. Quando un rettore è messo sotto pressione per azioni che tutto sommato sono di mediazione, possiamo immaginare che effetto può avere su docenti, ricercatori e studenti? Un altro esempio riguarda la nota e brava sociologa Ching Kwan Lee, accusata di essere “indipendentista” e quindi di infrangere la Legge per la sicurezza dello Stato: la frase «Hong Kong non appartiene alla Cina ma al mondo» diventa motivo per applicare una legge che, per la sua vaghezza e portata, può colpire ogni forma di espressione. Anche per questo, il sistema legale di delazione messo in piedi ultimamente, rende Hong Kong sempre più simile alla Cina continentale (intro del traduttore).
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Il governo di Hong Kong ha annunciato il 30 giugno 2020 che la “Legge per la Sicurezza Nazionale di Hong Kong” sarebbe entrata in vigore, quando ancora la cittadinanza non aveva neanche potuto scorrerne il contenuto. È una legge ampia, e secondo alcuni, intenzionalmente vaga, che accorda ai governi di Hong Kong e di Cina la facoltà stragiudizionale di criminalizzare il dissenso con il pretesto della sicurezza nazionale e della lotta alla sovversione (Wei 2020).
Da allora, la polizia di Hong Kong ha usato la legge per scoraggiare le proteste di piazza e criminalizzare l’attivismo, sostenendo che gli slogan della protesta popolare, per esempio “Affrancare Hong Kong” o “Sciogliere la Polizia” violano la legge perché sono sediziosi (Amnesty International 2020; Wong 2020a). In parallelo con la repressione delle proteste e della libertà di parola, la legge ha un effetto intimidatorio sull’istruzione. Mentre s’intensifica il giro di vite governativo sulle proteste e il dissenso, il corpo insegnante è stato il più duramente esposto alla collera di Pechino e della governatrice di Hong Kong, Carrie Lam. Appena qualche giorno prima dell’applicazione della legge, i legislatori favorevoli al governo hanno cominciato a richiedere l’istallazione di videocamere nelle aule per tenere sotto controllo gli insegnanti quando parlano (RTHK 2020a).
Nello stesso tempo, la minaccia che la legge rappresenta per l’istruzione e la libertà intellettuale straborda oltre Hong Kong. La legge è stata usata per colpire l’attivismo all’estero, incluso un cittadino statunitense, Samuel Chu, che ha cercato d’influenzare i legislatori statunitensi nella sua veste di fondatore e direttore del Consiglio di Hong Kong per la Democrazia (Yang 2020).
Durante la pandemia, a Hong Kong e in molti altri paesi le lezioni si sono tenute a distanza. Il ricorso alle piattaforme di videoconferenza e registrazione aggrava la minaccia transnazionale di sorveglianza e criminalizzazione di studenti e insegnanti, che a sua volta fomenta l’autocensura. L’interazione della legge e dell’insegnamento a distanza durante la pandemia induce gli educatori a riconsiderare e a riadattare drasticamente la pratica didattica, onde proteggere la sicurezza e la privatezza di discenti e docenti. Nello stesso tempo, pone domande difficili sulla valutazione del rischio, i valori educativi, la pedagogia locale e transnazionale: possono i docenti, compresi quelli dell’istruzione superiore, mettere se stessi e i propri studenti al riparo dalla persecuzione statale, mentre alimentano gli spazi intellettuali per la discussione critica su politica e democrazia? È etico per i docenti autocensurarsi e censurare i loro studenti per proteggersi? Come possono barcamenarsi gli educatori, fra persecuzione politica e ambizioni di libertà intellettuale?
Ho scritto quest’articolo, in quanto educatrice di Hong Kong nella diaspora, per mostrare il pesante impatto della legge sugli spazi e le pratiche didattiche, sia a Hong Kong sia altrove.
L’insegnamento è diventato un’attività politica ad alto rischio ed è il momento per gli educatori, di là dai confini nazionali, d’inventare e applicare collettivamente una prassi che assicuri spazi educativi nei quali gli studenti possano avere discussioni aperte e imparare come leggere l’informazione e i media; che dia voce alle esperienze dei docenti di Hong Kong senza comprometterne la sicurezza; che istituisca e apra alla consultazione banche dati, bibliografie, programmi e piani di studi che integrino i materiali didattici sottoposti a censura.
Come la legge ha cambiato l’attivismo studentesco
Nel 2019, gli studenti di Hong Kong hanno svolto un ruolo centrale nel movimento filodemocratico. Durante le proteste, gli studenti delle medie hanno organizzato assemblee di massa, formato catene umane fuori le scuole, boicottato le lezioni e cantato in varie occasioni pubbliche “Senti che canta il popolo” al posto dell’inno nazionale cinese (Young Post Staff 2019). Per la Legge per la Sicurezza Nazionale, sono attività sediziose e dunque proibite. Gli artt. 9 e 10 sanciscono che il governo di Hong Kong promuove l’educazione civica sulla sicurezza nazionale e prende «tutte le misure necessarie» a sovrintendere e regolare tutto quel che concerne la sicurezza nazionale nelle scuole e nelle università. Le aule, in altre parole, sono oggi poste sotto la sorveglianza e il controllo dello Stato.
Una settimana dopo l’approvazione della legge, l’assessore all’istruzione di Hong Kong ha annunciato che le «scuole erano obbligate» a impedire agli studenti di cantare l’inno di protesta “Gloria a Hong Kong” e di partecipare a qualsivoglia attività di protesta (Mullany 2020).
Da allora, l’Assessorato all’Istruzione ha ripetutamente inviato lettere agli amministratori scolastici per ricordare loro l’importanza dell’educazione degli studenti e come attenersi alla legge (Stand News 2020c). L’assessore all’istruzione ha anche raccomandato alle scuole di chiamare la polizia nel caso di studenti recalcitranti. Ricorrendo alla polizia per reprimere l’attivismo studentesco e la libertà di parola, il governo ha reso le aule luoghi pericolosi per gli attivisti studenteschi. Durante il movimento di protesta del 2019, molti studenti sono stati seriamente sconvolti e feriti dalle violenze poliziesche. Dei 9.727 arrestati durante il movimento, il 40% sono stati studenti, 1.695 dei quali minori di 18 anni (Stand News 2020c).
Dacché le lezioni sono diventate a distanza a causa della pandemia, la pressione censoria sulle scuole ha assunto forme nuove. Nel settembre del 2020, uno studente medio della scuola media Heung To è stato sospeso per aver mostrato una fotografia dello slogan di protesta “Affrancare Hong Kong è la rivoluzione dei nostri tempi’ (guangfu Xiang Gang, shidai geming光復香港, 時代革命) nel suo profilo su Microsoft Teams. La fotografia l’aveva fatta lui, mentre seguiva l’ultimo anno delle proteste come giornalista indipendente (Stand News 2020a). Nella prima settimana del semestre, il tutore dello studente gli ha chiesto di sostituire la fotografia. Pur avendolo fatto, allo studente è stata ugualmente notificata una settimana di sospensione. La scuola l’ha anche informato che se, dopo la sospensione, fosse tornato a scuola, la sua infrazione sarebbe stata notificata direttamente all’Assessorato all’Istruzione del governo. La scuola ha citato la legge per giustificare un’azione disciplinare tanto severa, adducendo il fatto che gli slogan di protesta sono una forma di discorso sedizioso.
L’esempio chiarisce come la legge abbia un effetto intimidatorio, in particolare negli spazi digitali d’apprendimento. Gli studenti non sanno se e come i loro discorsi e atti saranno registrati come prova che hanno violato la legge.
Le lezioni a distanza sono particolarmente vulnerabili, dato che gli studenti non sempre sanno chi stia ascoltando le loro conversazioni, per esempio i genitori dei loro compagni, che possono denunciarli alla polizia. C’è il serio e sfortunatamente motivato sospetto che il movimento del 2019 abbia messo in luce un divario generazionale fra i giovani attivisti filodemocratici e molta gente più anziana che condanna le proteste, e molti dei primi, addirittura tredicenni, hanno dovuto scappare di casa a causa dell’ostilità della famiglia. ***
L’impatto sui docenti e l’ (auto-)censura
Gli effetti intimidatori della legge non risparmiano neanche i docenti. Nel giugno del 2020, alla vigilia dell’approvazione della legge, la stessa scuola che ha sospeso lo studente per la foto sul sito ha deciso di non rinnovare il contratto a un’insegnante di musica che aveva permesso agli studenti di suonare l’inno della protesta all’esame (Chan 2020b). Dall’inizio del movimento, nel giugno del 2019, l’Assessorato all’Istruzione ha ricevuto oltre duecento lamentele sulla cattiva condotta di insegnanti relativa alle proteste (Chan 2020a). L’assessore all’istruzione ha detto chiaramente che gli insegnanti che violano la legge vanno incontro a spiacevoli conseguenze.
Con la legge, il confine fra vita professionale e privata dei docenti si è confusa. Alcuni insegnanti sono stati denunciati alle autorità per aver partecipato al movimento a titolo personale. Molti altri sono stati obbligati ad autocensurarsi o sono stati sanzionati dal governo per i messaggi che avevano diffuso sui loro siti personali (Stand News 2020b; RTHK 2020).
Nell’ottobre del 2020, l’ex governatore C.Y. Leung ha diffuso su Facebook nomi e dati personali di 18 insegnanti sotto inchiesta per reati connessi alla protesta, affermando che le loro famiglie avevano il diritto di conoscere la loro «deprecabile condotta» (Chan and Wong 2020).
Sono messaggi tesi a scoraggiare gli insegnanti dal partecipare a qualsiasi forma di attivismo antigovernativo. Un’insegnante ha notato che, da quando è entrata in vigore la legge e dall’ondata di critiche contro gli insegnanti che hanno sostenuto il movimento filodemocratico, lei e le sue colleghe ricorrono a quattro diversi siti personali su Facebook: uno privato, uno per gli studenti, uno per ricevere e diffondere informazioni sul movimento filodemocratico e infine uno per «fingere di essere progovernative e pro Partito Comunista Cinese, onde prevenire le accuse» (We Are HKers 2020).
Da quando le lezioni sono diventate a distanza, i docenti si sono fatti sempre più ansiosi: hanno paura di poter essere denunciati al governo dai genitori e dalle organizzazioni filopechinesi che origliano durante le lezioni. Temono anche che i software che usano per insegnare possano essere infetti da malware di sorveglianza. Un insegnante, che preferisce l’anonimato, si lamenta così: «Questa cultura della spiata sul modello della Rivoluzione Culturale è micidiale e previene noi insegnanti dal parlare con sincerità ai nostri studenti […] non facciamo che defilarci e nasconderci in cambio di una piccola percentuale in più di possibilità di sopravvivenza» (We Are HKers 2020).
Gli insegnanti delle materie umanistiche si sentono estremamente appesantiti, psicologicamente e professionalmente, quando devono decidere se e come autocensurarsi per evitare di essere perseguitati mentre svolgono i loro compiti pedagogici e guidano gli studenti attraverso gli argomenti politicamente delicati.
Anche prima dell’entrata in vigoree della Legge sulla Sicurezza Nazionale, Lam e le organizzazioni e i media pro-pechino hanno a più riprese individuato nelle materie umanistiche il terreno di coltura della violenza antigovernativa (Davidson 2020). Più di recente, l’Assessorato all’Istruzione ha ordinato ai docenti di rispondere “non lo so” o “non capisco” ogniqualvolta uo studente ponga un quesito politico (Stand News 2020b). Questa smaccata violazione della libertà intellettuale mette i docenti in grave imbarazzo. Da una parte, essi vogliono seguire la loro etica professionale e incoraggiare la discussione critica dei temi sociopolitici, dall’altra, temono che ogni discussione anche solo indirettamente collegata con la politica corrente possa tradursi in sanzioni e conseguenze legali.
Il 6 ottobre 2020, un insegnante di scuola elementare è stato il primo a perdere l’impiego per avere, a quanto sembra, diffuso l’idea di una Hong Kong indipendente (Wong 2020b). Il governo ha portato a prova a carico un foglietto d’appunti e un programma di lezioni. Il foglietto invitava gli studenti a consultare la bibliografia per rispondere a domande quali: «Secondo te, che cos’è la libertà di parola? Secondo l’episodio di censura politica noto come Hong Kong Connection, per quali ragioni alcuni invocano l’indipendenza per Hong Kong? come sarebbe Hong Kong senza libertà di parola?». Domande che l’Assessorato all’Istruzione ha considerato fuori luogo perché l’indipendenza di Hong Kong, secondo Kevin Yeung, assessore all’istruzione, non dovrebbe neanche essere nominata.
In una conferenza stampa, Yeung ha chiarito che, anche se l’episodio non è stato denunciato all’Ufficio per la Sicurezza Nazionale, l’Assessorato all’Istruzione, discuterà con l’Ufficio sul comportamento da tenere nei casi analoghi (Su 2020). Considerando le pesanti pene previste dalla legge, la dichiarazione di Yeung sembra annunciare un’intensificazione degli effetti intimidatori della legge sui docenti in aula.
La burocrazia che stringe al collo la libertà di parola e intellettuale dei docenti in aula è coadiuvata dalla censura dei libri di testo e dal resto del materiale didattico. Gli editori dei libri di testo hanno rivelato che l’Assessorato all’Istruzione li ha spronati a rivedere i testi, cancellando gli accenni a Tienanmen, alla disobbedienza civile, alla separazione dei poteri, e le fotografie del Movimento degli Ombrelli del 2014 (Ho 2020). Gli slogan di protesta del tipo “Hong Kong Indipendente” e “Affrancare Hong Kong è la Rivoluzione dei Nostri Tempi” sono severamente proibiti dall’Assessorato all’Istruzione in quanto violazioni della Legge sulla Sicurezza Nazionale. Un insegnante intervistato dal giornale “Stand News” si è lamentato del fatto che, mentre loro continuano a insegnare queste cose a voce, non possono più contare sul fatto che gli esempi che usano saranno appropriati, senza correre il rischio di violare la legge (Stand News 2020b).
Alternative Possibili e Limiti
La cancellazione di avvenimenti politici cruciali dai libri di testo non reprime solo la libertà d’insegnamento dei docenti e degli studenti, ma induce anche una generale amnesia presso le future generazioni a proposito dei casi di violenza e repressione statale. Ciò nondimeno, è improbabile che la repressione sarà mai in grado di estirpare il dissenso e la controcultura dal corpo studentesco. Durante le proteste dell’anno scorso, gli studenti delle scuole secondarie di Hong Kong dimostrarono più volte la loro abilità organizzativa partecipando ad azioni di base tramite i social e altre piattaforme in rete di comunicazione. Come nota lo studioso di media Zeynep Tufekci (2020), gli hongkonghesi, giovani attivisti compresi, non solo sono stati pronti a usare le tecnologie digitali per aggirare il bavaglio governativo all’informazione, ma hanno anche sviluppato un’iniziazione mediatica alla critica lungo il corso delle proteste filodemocratiche del 2019, imparando a come verificare costantemente la validità delle informazioni che ricevevano.
Oltre all’iniziazione mediatica e all’informazione, il movimento ha partorito anche un attivismo che si avvale delle riviste giovanili, sia in rete sia non in rete.
Mentre gli editori di libri di testo e i docenti possono non essere più liberi di discutere di politica con gli studenti, i disegnatori e i distributori di riviste giovanili, come p. es. ZINE COOP, continuano indisturbati a produrre e a far circolare riviste indipendenti che promuovono i valori democratici, l’attivismo e l’autodifesa dal basso (Raicovich 2019; ZINE COOP Shop 2020). Di conseguenza, il governo di Hong Kong può anche riuscire a usare la Legge sulla Sicurezza Nazionale per reprimere la libertà intellettuale nelle aule, ma l’attivismo di base ha creato una possibilità alternativa per gli studenti che vogliano confrontarsi con le ideologie politiche, le idee, le informazioni che il governo ritiene destabilizzanti.
Tuttavia, dato che ora il governo proibisce ai docenti di discutere ogni ideologia o caso politico che può dispiacere a Pechino, le conoscenze e l’informazione fra gli studenti a proposito del discorso politico ne saranno inevitabilmente limitate.
Impossibilitati a impegnarsi in progetti politici costruttivi sotto la guida degli educatori e in attività in aula che siano un’iniziazione all’informazione critica, gli studenti di Hong Kong in cerca di informazioni censurate possono essere facile preda delle campagne di disinformazione su internet, che può dunque ritorcersi contro la repressione governativa della libertà intellettuale e dalla libertà di parola in aula.
Reazioni e adattamenti internazionali
Dato che la legge può essere usata per perseguire anche fuori Hong Kong, i suoi effetti intimidatori vanno ben oltre i confini della Zona Ammministrativa Speciale. Per esempio, ci sono studiosi di altre nazioni che hanno già dichiarato che non si sentono più sicuri a fare ricerca e insegnare a Hong Kong (Chan et al. 2020).
Gli effetti intimidatori colpiscno anche studiosi e educatori che non si trovino fisicamente a Hong Kong o in Cina. Dato che, a causa della pandemia, le lezioni universitarie negli Stati Uniti e nel Regno Unito si sono per lo più trasferite in rete, i professori hanno preso varie precauzioni per salvaguardare la sicurezza dei loro studenti, specialmente quelli da Hong Kong e dalla Cina continentale.
Alcuni professori delle università di Harvard e di Princeton, per esempio, scelgono di non assumersi la responsabilità dei loro corsi in Cina con questa dichiarazione: «Il corso può riguardare argomenti considerati politicamente delicati in Cina» (Craymer 2020). Informative sui rischi del genere consentono agli studenti di prendere consapevolmente le loro decisioni in base al livello di rischio che sono disposti ad affrontare. Oltre alle informative, numerosi professori e università di studi cinesi, compresa l’Universtà di Oxford, hanno avviato una politica di valutazione anonima, cui gli studenti inviano testi scritti in codice, invece che con le loro generalità (Al-Arshani 2020; Wintour 2020).
Per gestire l’istruzione a distanza transnazionale durante la pandemia, l’Università di Oxford ammonisce gli studenti a non registrare i contenuti dei corsi né a condividerli con nessuno fuori dell’aula. Qualcuno vede in queste politiche un cedimento a Pechino e alla Legge per la Sicurezza Nazionale, ma esse non vogliono che alleviare i rischi politici per gli studenti cinesi e di Hong Kong e renderli più liberi d’impegnarsi in giudizi critici su contenuti politici. Secondo Rory Truex, professore di politica cinese all’Università di Princeton, stante la repressione della libertà intellettuale attuata da Pechino, «non possiamo autocensurarci, se lo facessimo, come comunità docente sulla Cina e per paura non insegnassimo più niente su Tienanmen, sul Xinjiang o su qualsiasi altro argomento delicato di cui il governo cinese non vuole che si parli, saremmo perduti» (cit. in Al-Arshani 2020).
Allo stesso tempo, non possiamo ignorare i rischi che gli studiosi e gli educatori corrono quando fanno ricerca e insegnamento su temi da cui Pechino si sente minaccia.
Truex è uno dei coautori di How to Teach China This Fall, un articolo che delinea le strategie che docenti e università possono prendere per salvaguardare la libertà intellettuale tenendo conto della sicurezza di docenti e discenti (Gueorguiev et al. 2020). Nell’articolo, gli autori sottolineano che anche i docenti assunti dalle università statunitensi abbisognano di protezione, visto che è in vigore una legge del genere. Le facoltà possono essere ostacolate, messe in difficoltà, possono vedersi i visti negati quando vanno in visita a Hong Kong e in Cina. Il rischio aumenta per i docenti che hanno amici e familiari a Hong Kong e in Cina. Di conseguenza, gli autori raccomandano che le amministrazioni universitarie diano valutazioni dei rischi chiare e comunichino il tipo di sostegno legale che i docenti riceverebbero in caso di ripercussioni politiche per i loro insegnamenti.
Verso una prassi collettiva per la libertà intellettuale
L’approvazione della Legge per la Sicurezza Nazionale di Hong Kong ha reso la libertà intellettuale e la libertà di parola un problema transnazionale. Gli educatori esperti e non immediatamente bersaglio della repressione di Stato possono prendere qualche misura per coltivare una nuova prassi di libertà intellettuale. Gli studiosi e gli educatori che pensano sia sicuro farlo possono iniziare attività didattiche alternative su internet. Per esempio, vi si potrebbero svolgere conferenze o seminari su argomenti censurati e metterli a disposizione degli studenti di Hong Kong.
Per aiutare gli studenti di Hong Kong a coltivare l’informazione critica e la familiarità con le fonti, ora che è impossibile farlo nell’ambito delle lezioni regolari, gli educatori possono inventare bibliografie annotate liberamente accessibili, piani di studio autonomi e altra documentazione per l’autodidattica, di cui gli studenti possano servirsi privatamente.
Alla fine, dato che i docenti di Hong Kong sono sempre più sottoposti a pressioni perché si autocensurino, noi dobbiamo amplificare le loro voci tramite piattaforme dove essi possano condividere in sicurezza le loro esperienze e conclusioni con l’estero. La Legge per la Sicurezza Nazionale colpisce più di tutto la didattica a Hong Kong: questa è una lotta che riguarda tutti gli studiosi e gli educatori attivisti che abbiano a cuore le libertà intellettuali e accademiche.
Pubblicato su Made in China Journal. Traduzione in italiano a cura di GioGo per DINAMOpress
Shui-yin Sharon Yam è Associate Professor in Writing, Rhetoric, and Digital Studies and Faculty Affiliate in Gender and Women’s Studies dell’Università del Kentucky. E’ una “diasporic Hongkonger”, autrice di “Inconvenient Strangers: Transnational Subjects and the Politics of Citizenship” (Ohio State University Press 2019). Le sue ricerche riguardano le retoriche transnazionali, politiche delle emozioni, genere e razza.
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