ROMA
Panel #2, Tra decoro e degrado: Roma e la questione urbana
Venerdì 17 maggio, ore 20-22.30, Esc Atelier
Intervengono:
Giuliano Santoro (giornalista Jacobin e il manifesto)
Ylenia Sina (giornalista Roma Today)
Mauro Favale (giornalista La Repubblica)
Coordina:
Rossella Marchini (dinamopress)
1 – Declino, fallimento, mafia, abbandono, degrado sono le parole sulle quali si fonda la percezione contemporanea della Capitale e soprattutto della sua fascia perimetrale. Non importa se sia davvero così, perché la percezione, ci dicono, conta più dei fatti.
Degrado sono i muri imbrattati come lo è un mendicante. Degrado è chi mangia un panino seduto su un gradino come chi dorme per strada, chi immerge i piedi in una fontana come chi pulisce il vetro delle auto al semaforo, chi beve una birra o vende souvenir.
Sembra che questa città sia precipitata in un baratro, perdendo progressivamente tutte le sue qualità, per i comportamenti dei suoi abitanti sempre più maleducati.
Perfino il problema della raccolta dei rifiuti, con la questione aperta del bilancio di AMA, gli incendi che hanno distrutto gli impianti di trattamento, la raccolta differenziata al palo, appare esclusiva responsabilità di cittadini ineducati che abbandonano tutto in strada.
Quando si è persa la capacità di raccontare la città e le sue trasformazioni, individuando le cause che hanno svuotato Roma di qualsiasi vocazione produttiva e di immaginario, senza più espressioni culturali, piegata dalle politiche di austerità?
Il concetto di degrado è veramente neutro, senza alcuna connotazione di classe?
2 – Bisogna mettere ordine, si dice, perché il disordine è sinonimo di insicurezza, si crea così un legame fittizio fra i due termini per generare paura. Il concetto di decoro viene usato come antidoto all’insicurezza. Il passo successivo è privatizzare lo spazio pubblico e normare i comportamenti dei cittadini. Chi non si adegua resta fuori. Lo si fa per assicurare la qualità della vita, ma la vita di chi?
A Roma si parla ossessivamente del degrado delle periferie, intendendo per queste tutti i quartieri sparsi nel territorio al di fuori delle mura Aureliane. Il centro è ridotto a nudo meccanismo di rendita, vetrina e consumo di lusso, svuotato dei suoi abitanti, preda di un turismo sempre più vorace. Roma è altrove, in quei quartieri nati senza infrastrutture e servizi, per i quali è privo di senso parlare di degrado, inteso come passaggio da una condizione migliore a una peggiore. Roma si è costruita così nel tempo come un multiplo di case isolate, frammenti continui di città che non diventano mai discorso urbano, sono ammassi di case alle quali mancano sempre i servizi.
Cosa si nasconde dietro il concetto di decoro urbano e la volontà di normare la vita dei cittadini? Chi decide quali sono i comportamenti decorosi? Il valore urbano diventa l’eleganza e la decenza che ha come immediata conseguenza l’allontanamento della rappresentazione della povertà. I poveri sono indecenti. Il decoro ufficiale e socialmente prescritto si contrappone al comportamento indecoroso di poveri, marginali, prostitute, migranti e rom. Questi vanno allontanati, mentre i cittadini armati di spugnette e ramazza puliscono il giardino sotto casa. Cosa si nasconde dietro queste parole d’ordine?
Libere e indecorose urlano le donne di Non Una Di Meno, avendo capito che questo decoro imposto corrisponde alla perdita di libertà.
3 – Roma nella sua vasta area abitata ha costruito un lungo processo di relazioni e valorizzazione sociale che non appare mai nella narrazione pubblica. Questo si come reale antidoto alla paura. Le tracce di questo percorso sono visibili sul territorio. Parlare sempre di periferie degradate come luoghi dell’abbandono, dello scarto, dell’esclusione non serve a nascondere l’immensa galassia di pratiche e di strategie di vita che fanno da argine alla strutturale scarzità di risorse e dei servizi inesistenti?
Si guarda solo alle aree dismesse, ai quartieri popolari, agli edifici obsoleti per trasformarli in merci. Restano ruderi urbani, sacche di povertà, “preda del degrado” fino a quando non interviene la finanza, che non ha sede, non ha territorio, ma diventa dominante proprio nelle trasformazioni del territorio che non abita. La città che si mette in vendita deve essere decorosa, ripulita, ordinata, svuotata di tutti quegli abitanti che ne offuscano l’immagine.
Serve a questo l’aver costruito l’immagine di Roma come città in preda al declino totale? I fondi immobiliari sono pronti a partire all’attacco per cacciare gli abitanti e sostituirli con altri più “decorosi” e soprattutto disponibili a sostenere gli altri valori immobiliari.
In questo non pensiamo che ci siano delle responsabilità anche da parte di chi non ha mai messo in evidenza tutti quei processi di valorizzazione sociale e urbanistica messi in atto da chi in quei territori abita e ha occupato spazi abbandonati, ruderi urbani, scarti della città restituendoli a nuova vita?
Luoghi che rappresentano la bellezza all’interno dello spazio metropolitano, perché sono in grado di tenere insieme le molteplicità che li costituiscono e restituirne la complessità. Sono tentativi ed esempi progettuali che fanno del riuso l’invenzione di autogoverno del territorio, inventando nuove strutture sociali della vita quotidiana e una nuova geografia della città.
Riconosciamo che è in atto un conflitto sul modo di raccontare la città? Un conflitto durissimo e che da questo dipenderà la qualità della vita di molti dei suoi abitanti e la possibilità di incidere nelle trasformazioni urbane.