SPORT
Il pallone rotondo della pandemia
La precarietà, Facebook, il calcio. Dalle 23 alle 23.59, racconto di come un’ora di quarantena cambia le scale di priorità
Ore ventitré. Ho da poco poggiato la testa sul cuscino, lo smartphone è ancora acceso (sto aspettando una mail dall’amministrazione del giornale online per cui scrivo). Sono stanco, ho un leggero mal di testa, le gambe pesanti e, a cena, ho esagerato un po’ con il dolce, la terza fetta di torta pasticciotto deve aver fatto il suo effetto. Sono nella condizione ideale per svenire del tutto nel letto e dormire quelle sette ore filate. Eppure c’è qualcosa che non va: mi giro e mi rigiro, ho un po’ di freddo e un po’ di caldo. Sarà l’effetto della quarantena?
Ore ventitrè e cinque. No, l’essere rinchiuso in casa da venti giorni non conta, mi ripeto in maniera quasi ossessiva. In fondo, non è quello che ho sempre desiderato? Svegliarmi, fare colazione, aprire il pc, leggere la rassegna stampa, intervistare procuratori sportivi, sapere quali giovani campioni comprerà l’Inter (o il Lecce) a luglio prossimo e poi, dopo pranzo, nel primo pomeriggio, qualche rima del secondo volume della trilogia delle poesie di Charles Bukowski, Il Canto dei Folli. E poi, ancora, finire di vedere le ultime puntate della serie tv Yellowstone con Kevin Costner; infine, dare uno sguardo all’ultimo numero de “La Lettura”, il settimanale culturale del “Corriere”. Tutto liscio? Macché: c’è qualcosa che non va.
Ore ventitré e dieci. «In previsione dell’interruzione (fino a data da destinarsi) del campionato di Serie A, la suddetta amministrazione del network, nell’ottica di garantire la sostenibilità del progetto quando si riprenderà a giocare, ha previsto per i prossimi due mesi (marzo e aprile) la riduzione del compenso del 20 per cento. Rispondi sì a questa mail per accettazione…». Eppure c’è qualcosa che non va.
Ore ventitré e quindici. E che sarà mai un taglio del 20 per cento a fronte di chi, per colpa di questa emergenza sanitaria, il lavoro lo ha perso del tutto e in via definitiva? In fondo, scrivi da casa, sei un freelance, ti occupi di calcio! (Il sogno di tutti…), conosci tanti calciatori. Mi giro e mi rigiro in questo letto, che sembra ormai una cotoletta panata. Eppure c’è qualcosa che non va.
Ore ventitrè e venti. Sì, c’è qualcosa che non va e non è il taglio della collaborazione, non è lo stare in casa, non è la conferenza stampa della protezione civile (il picco sta arrivando? Sì, no, forse nel prossimo fine settimana). E che c’è qualcosa che stona in queste giornate: qualcosa che prima fluiva, acqua su vetro, e oggi sembra carta vetrata. C’è qualcosa che non va.
Ore ventitrè e venticinque. Avrà mica ragione Mark Zuckerberg? Su “Primaonline” ho letto che Facebook «prevede un impatto sul proprio business da parte del Coronavirus. Nonostante abbia registrato un picco nell’utilizzo da parte degli utenti – con aumenti che arrivano fino al 50% nel totale dei messaggi inviati nei Paesi colpiti duramente dal virus –, la società prevede che l’incremento non sarà sufficiente a contrastare l’impatto derivante dal declino della pubblicità digitale in tutto il mondo».
«Abbiamo riscontrato – hanno dichiarato Alex Schultz, vice presidente della divisione analitica di Facebook, e Jay Parikh, vice presidente dell’aerea ingegneria – un indebolimento della nostra attività pubblicitaria nei Paesi che intraprendono azioni aggressive per ridurre la diffusione del Covid-19. Non monetizziamo molti dei servizi per i quali stiamo assistendo a un aumento». La società non ha confermato formalmente la propria guidance sull’utile, ma ha ribadito che il proprio «business sarà colpito negativamente come tanti altri in tutto il mondo». Eppure c’è qualcosa che non va. Devo essermi assopito, ma solo per un po’.
Ore ventitrè e quaranta. Da una parte il taglio della collaborazione, dall’altra Facebook che dice che, nonostante l’incremento di utenti e di audience, avrà un business inferiore. Sarà perché l’ufficio commerciale non sta andando in giro a chiudere contratti pubblicitari? Sarà, ma c’è qualcosa che non va.
Ore ventitrè e cinquanta. E forse avrà ragione quel manager sportivo che oggi al telefono mi ha detto: «Calciomercato? Trasferimenti? Ma no, non ne voglio parlare: oggi la gente ha problemi più grossi, ci sono centinaia di morti al giorno qui al Nord: e lì al Sud come siete messi? Avete focolai? Dai, chiamami tra un mese, sperando sia tutto finito, che ti dico se ci sono novità».
Ore ventitrè e cinquantanove. Aumentano gli utenti di internet, si consuma molta banda, stiamo tutti online. Ma forse, oggi, il destino del calcio (la terza industria del paese) e della Serie A, non interessa ai più, che spostano l’audience dai siti sportivi ai siti di informazione online generalisti, ai quotidiani, ai tg e ai libri, perché interessati ad altri temi, ad altri numeri. E forse quando tutto sarà finito, saremo capaci di ridisegnare la scaletta delle nostre priorità (con lo sport ai margini?). Ecco che cos’è che non andava: quel senso di inadeguatezza rispetto a ciò che si considerava importante (il calcio), a tratti necessario, e non lo era affatto. Benedetta quarantena!
Giuseppe Granieri, è giornalista. Ha scritto e scrive di sport, calcio, cultura, cronaca per quotidiani e riviste online. Contatti: giuseppe.granieri@inwind.it