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Ötzi, per un pugno di ambra
Il Western preistorico di Mikel Begoña e Iñaket che ripercorre la vicenda della Mummia del Similaun: il racconto di una delle più grandi scoperte archeologiche degli ultimi anni
Ötzi è «l’Uomo venuto dal ghiaccio», come stabilito ufficialmente dalla giunta provinciale dell’Alto Adige a seguito del suo ritrovamento.
Il 19 settembre 1991, alle ore 13.30, due turisti tedeschi durante un’escursione sulle Ötztaler Alpen trovarono, in un bacino del ghiacciaio parzialmente sciolto del giogo di Tisa, un corpo.
Possiamo far risalire a quel preciso momento l’inizio di una delle vicende più appassionati dell’archeologia degli ultimi anni, ossia la scoperta di una mummia ben preservata risalente a più di 5000 anni fa, e il ritrovamento del suo ricco equipaggiamento.
La «Mummia del Similaun» era un uomo di circa 45 anni vissuto tra il 3350 e il 3100 a.C. durante il calcolitico (Età del Rame) e morto a seguito di un’emorragia fatale causata da una freccia penetrata nella scapola sinistra.
Grazie a più di vent’anni di studi e ad analisi sempre più raffinate, sembrano ormai chiariti molti degli aspetti legati alla vita di Ötzi: come si vestiva e cosa mangiava, gli utensili e le armi che adoperava, i tatuaggi che aveva (connessi forse con la tecnica dell’agopuntura) così come i parassiti che infestavano il suo intestino, per non parlare delle questioni inerenti al suo gruppo sanguigno o più in generale al genoma umano che ha aiutato a comprendere.
Meno chiari sono, tuttavia gli aspetti connessi con la morte di Ötzi.
Nonostante tutti gli indizi sembrano indicare che la mummia sia il mortale epilogo di un’antichissima lotta avvenuta a 3200 metri di altitudine, non mancano i contributi in disaccordo con questa visione “canonica”, anche se alcuni di questi – va detto – appaiono solamente futili provocazioni metodologiche.
Fortunatamente, però, come specificano Mikel Begoña e Iñaket: «con la pubblicazione di quest’opera che combina i metodi di Sherlock Holmes con i più recenti progressi nel campo della biologia molecolare, cari lettori, forse le vere e reali cause della morte di Ötzy sono state finalmente chiarite. Oppure no».
Con Per un pugno di ambra ci addentriamo nel cuore della vicenda, scalando le vette alpine in compagnia di Ötzi e Sölden, ossia i migliori arcieri del Villaggio a sud delle Alpi, protagonisti, loro malgrado, di un momento fondamentale della storia. In questo western preistorico, primo volume di una trilogia che ricalca quella cinematografica del dollaro, gli abitanti di alcuni villaggi vengono, infatti, attaccati da misteriosi cavalieri provenienti dalle steppe dell’Est.
A seguito della doma dei cavalli (che in realtà in Europa arriverà molti secoli dopo e che gli autori anticipano di un po’) le tribù diventano più mobili e grazie anche all’uso di nuovi metalli anche più guerriere, aggressive e saccheggiatrici… soprattutto quando si tratta di cacciare i mercanti della Sacra Ambra.
In quest’epoca di grandi mutamenti sociali, linguistici e religiosi ex oriente questa storia pone alcuni interrogativi: Riusciranno, come predetto dagli oracoli, l’arciere di maggiore età ed esperienza e quello più giovane ed impetuoso a compiere la loro missione, la sorveglianza dei passi di montagna? La pregiata ambra giungerà fino ai porti del Sud, dove sarà scambiata con altri prodotti pregiati, oppure sarà rubata dai leggendari “uomini sopra i cavalli”?
Non resta che scoprirlo tornando indietro di 5000 anni nella storia avventurosa scritta da Mikel Begoña e disegnata nelle 68 tavole a colori di Iñaket in cui, grazie anche al sapiente utilizzo delle pitture rupestri di Altamura e Lascaux (in parte riprodotte e in parte usate come schema per le inquadrature del racconto) e ad un’attenzione maniacale ai dettagli, entriamo perfettamente nella Preistoria… ossia il momento da cui tutto è cominciato.