ITALIA
Ombre a San Siro. La sconfitta della città pubblica
La vicenda dello stadio “Meazza” mostra che cosa siano oggi a Milano la gestione della città pubblica e il governo del territorio. Ambiti in cui mescolano sempre più speculazione, collusione fra politica e finanzia e processi di gentrification urbana
La privatizzazione della città pubblica è uno dei pilastri del “modello Milano” e da fine anni ‘90 tutte le amministrazioni hanno perseguito questa strada, spacciandola per soluzione e risposta ai bisogni della città e di chi la vive. Expo2015 ha fatto da volano a queste dinamiche e il Sindaco Sala ha dato ulteriore impulso al processo, alimentando una narrazione tossica funzionale ad attrarre capitali, investitori, nuovi “ricchi” abitanti, turisti, il tutto condito alla bisogna di socialwashing e greenwashing. Il marketing territoriale non può però celare le conseguenze e le contraddizioni di una città sempre più cara ed esclusiva, dove i processi gentrificativi si propagano a macchia d’olio a rimorchio di ogni trasformazione urbanistica annunciata o avviata e dove gli eventi, grandi o piccoli, dettano tempi e priorità. Un modello che con la pandemia Covid-19 ha mostrato tutta la sua fragilità e la distanza tra realtà e narrazione.
La vicenda dello stadio “Meazza” di San Siro è simbolica di cosa siano oggi a Milano la gestione della città pubblica e il governo del territorio. Lo sport, l’interesse pubblico, non c’entrano alcunché con le scelte che l’Amministrazione Comunale sta adottando su impulso dei potentati finanziari (il fondo americano Elliot e la holding cinese Suning) proprietari di Milan e Inter. L’attuale impianto di San Siro, per quanto prossimo ai cent’anni di vita, non è affatto vetusto. Ristrutturato nel 2016, a norme Uefa per ospitare la finale di Champions League, è uno dei templi del calcio mondiale, conosciuto e apprezzato come struttura ideale da tifosi e appassionati per assistere a una partita di calcio.
Quello che non va bene, secondo le due società calcistiche, è di non essere adeguato ai dettami del “calcio moderno”, sempre più business globale e sempre meno sport popolare, e di non poterlo sfruttare h24 per 365 giorni all’anno con attività commerciali e ricettive, come accade ad altri stadi.
Stadi di proprietà, con minor capienza ma che ampliano l’offerta di box e palchi esclusivi per turisti ricchi, vip e uomini d’affari, più attratti dall’esclusività dell’evento che da tocchi di palla, parate e gol; dove il merchandising, i diritti TV e gli introiti derivanti dalle attività di contorno sono più importanti dei tifosi, mal sopportati se non diventano clienti e consumatori, allontanati da costi dei biglietti sempre più alti secondo un modello di gentrificazione applicato agli stadi.
Nella primavera 2019 Milan e Inter annunciano di voler costruire a San Siro un nuovo stadio di proprietà in condivisione da utilizzare al posto del “Meazza” (di proprietà comunale e per cui le due squadre pagano un affitto) e presentano la manifestazione di interesse al Comune, lanciando un bando internazionale per la realizzazione del progetto, che parte dalla demolizione dell’attuale impianto di San Siro, ritenuto impossibile da ristrutturare e adeguare alle nuove esigenze commerciali. La demolizione del “Meazza” genera una levata di scudi da più parti, Sindaco Sala compreso (ma come vedremo trattasi solo di dichiarazioni di facciata), non solo per il valore storico e architettonico dell’impianto, ma perché priverebbe il demanio comunale di un importante asset economico. Nessuno studio di fattibilità e relativi costi di ammodernamento dell’attuale stadio viene fornito a supporto. Il bando vede prevalere due proposte, simili nella sostanza, dello studio Populous e del consorzio Manica-Sportium, presentate al Consiglio Comunale e alla Giunta, i quali deliberano l’interesse pubblico al progetto. Questo passaggio è importante perché in questo modo il Comune di Milano consente a Milan e Inter di appellarsi alla “Legge Stadi”, che prevede agevolazioni e possibili volumetrie in eccesso per le opere sportive di interesse pubblico.
I progetti prevedono l’abbattimento del Meazza e la costruzione di un nuovo impianto da 60.000 posti nel piazzale adiacente all’attuale stadio (area pubblica prevalentemente a verde e parcheggi).
Ma il nuovo stadio è solo una parte, minoritaria peraltro, di un intervento che prevede 1,2 mld di euro di investimento, con edifici e torri da destinare a funzioni commerciali, terziarie e ricettive per un totale di quasi 300.000 mq di Slp e un indice edificatorio di 0.7 mq/mq, doppio rispetto alle norme del Piano di Governo del Territorio (che già di suo prevede milioni di mq di aree pubbliche da trasformare ed edificare come gli ex Scali Ferroviari). Nei mesi che seguono si apre il gioco delle parti tra le società calcistiche e l’Amministrazione Comunale, con quest’ultima che spinge, a parole, per una riduzione delle volumetrie e per il mantenimento dell’attuale stadio di San Siro, paventando l’ipotesi di due stadi adiacenti per usi differenti. Un’ipotesi altrettanto negativa, perché raddoppierebbe il consumo di suolo e gli oneri di gestione per il Comune, sbandierata per salvare la faccia all’Istituzione e calmare il malumore crescente nell’opinione pubblica milanese per l’abbattimento del “Meazza”.
Nella primavera di quest’anno viene presentata la proposta definitiva al Comune che, nella sostanza, non sposta di una virgola quanto contenuto nell’ipotesi progettuale precedente. Lo stadio attuale viene demolito, salvo una porzione minima che verrà rifunzionalizzata per attività sportive e del tempo libero e il mantenimento simbolico di una parte del 1° anello per prevenire eventuali osservazioni della Sovraintendenza ai Beni Architettonici. Su questo punto Milan e Inter non hanno problemi a soddisfare le richieste di Sala (che infatti appoggia entusiasta la nuova proposta), avendo come unico scopo quello di ottenere le maggiori volumetrie possibili da realizzare attorno al nuovo stadio (vero oggetto delle trattative tuttora in corso).
Infatti solo una colossale valorizzazione commerciale dell’intervento può rendere profittevole il miliardo e più di investimento complessivo.
Al Comune tornerebbero 112 mln di patrimonio, ma solo tra 90 anni (allo scadere della concessione dell’area destinata al nuovo stadio) a fronte dei 96 mln di valorizzazione attuale dello stadio di San Siro: un’operazione smaccatamente sbilanciata a favore degli interessi privati e in linea con altri piani di trasformazione che vedono la città pubblica soccombere agli interessi speculativi di fondi e immobiliari.
Ma lo stadio, dicevamo, è solo l’innesco per una trasformazione urbana che va ben al di là di quanto nelle intenzioni di Milan e Inter. La zona di San Siro, tra le più verdi della città per la presenza nelle adiacenze di tre importanti parchi urbani (Trenno, Boscoincittà e Parco delle Cave), delle aree verdi degli impianti ippici e ben collegata al centro dalla linea 5 della metropolitana, è da anni nelle mire degli speculatori di turno e la realizzazione del progetto legato al nuovo stadio non farebbe altro che alimentare e rendere concrete le minacce per l’intero comparto. Non è un caso che nel masterplan presentato dalle due società si prenda Isola-Porta Nuova (la più grande trasformazione e gentrificazione della città degli ultimi decenni) come esempio positivo cui tendere. E proprio Hines, il fondo immobiliare che ha avviato l’operazione di trasformazione del quartiere Isola-Garibaldi, ha acquistato nei mesi scorsi da Snaitech, proprietaria degli impianti ippici milanesi, l’area dell’ex Trotto adiacente allo stadio attuale e relative scuderie, presentando un progetto di sviluppo immobiliare per un investimento di quasi 500 mln di euro.
Nelle scorse settimane è stata presentata dallo studio Progetto Cmr la proposta di demolizione dello storico quartiere popolare Aler di San Siro per sostituirlo con nuovi grattacieli e trasferimento degli abitanti delle attuali case popolari, così da rinnovare tutta la zona in linea con quanto accadrà sul Piazzale dello Sport.
Se aggiungiamo il progetto Reinventig Cities perorato da Sala sulle ex scuderie De Montel (sorgerà una Spa esclusiva), gli appetiti sulla non lontana Piazza d’Armi (dove sono stati demoliti gli ex magazzini militari e il Pgt prevede volumetrie importanti) e il possibile abbattimento dell’Ospedale San Carlo, sempre nelle vicinanze, appare evidente come questa parte della periferia ovest di Milano sia il prossimo obiettivo per le mire affaristiche e conseguenti dinamiche di gentrificazione e sostituzione di abitanti e funzioni.
Se a guidare le scelte e la pianificazione urbanistica fosse realmente l’interesse pubblico, la proposta di Milan e Inter sarebbe irricevibile, non solo per la demolizione del Meazza, ma per il pesante impatto che avrà sul territorio, anche con volumetrie inferiori a quelle ipotizzate. Gli spazi commerciali sono ridondanti nel territorio limitrofo, in un raggio di 3 km ci sono almeno otto importanti superfici occupate da centri commerciali. Nel frattempo le reazioni degli abitanti e le prime iniziative pubbliche hanno fatto emergere il dato che ristrutturare San Siro non sia poi così folle, oneroso e impossibile anche compatibilmente alle esigenze di Inter e Milan.
Lo stadio attuale potrebbe essere sistemato, anche in corso di utilizzo, riconvertendo il 3° anello a galleria commerciale, con costi nettamente inferiori a quelli preventivati per costruire il nuovo impianto.
Respingere il progetto di nuovo stadio, ristrutturare San Siro dandolo in gestione alle due società e recuperare a uso pubblico e a verde tutto il comparto dell’ex Trotto. Crediamo sia questa l’unica opzione accettabile e sensata, che non salverebbe San Siro dalle degenerazioni pro-business del calcio moderno, ma eviterebbe insostenibili operazioni speculative. Non solo. A fronte dell’evidente fallimento decretato dalla pandemia di Covid-19 di un modello di città basato su eventi continui, accelerazionismo, flussi, turisti, riproporre scelte urbanistiche che stanno nel solco di questa logica appare deleterio e anacronistico. Milano, chi quotidianamente la vive, di tutto necessita salvo che nuove torri in vetro e acciaio e l’ennesimo non-luogo dove attrarre turisti spendaccioni dentro boutique griffate o stereotipate catene del finto cibo tipico. Avranno i milanesi la voglia e la rabbia di giocarsi questa partita fino in fondo?
Foto di copertina da commons.wikimedia