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MONDO

Oltre l’estrattivismo. L’Ecuador fra elezioni e “levantamiento popular”

Il 23 febbraio i popoli indigeni giungeranno a Quito al termine di una marcia che rientra nel più ampio quadro delle numerose mobilitazioni che hanno fatto seguito alla prima tornata elettorale, in vista del ballottaggio per la presidenza che si terrà ad aprile tra Arauz e uno tra il banchiere Lasso e il leader indigeno Perez, che contesta i risultati elettorali

“A pié de la letra de la Constitución”. Invocando il diritto alla resistenza riconosciuto dalla Costituzione di Montecristi le organizzazioni dei popoli indigeni dell’Ecuador hanno chiamato ad una mobilitazione nazionale e una marcia che attraverserà le Ande per arrivare alla capitale Quito il prossimo 23 febbraio.

 

Questo l’epilogo di settimane concitate e piene di colpi di scena, all’indomani della prima tornata elettorale per eleggere nuovo presidente e nuovo congresso lo scorso 7 febbraio.

 

Appuntamento che ha visto affermarsi il candidato dell’ex presidente Rafael Correa, Arauz, che però, non avendo raggiunto il 40% dei voti, dovrà andare al ballottaggio con uno dei due contendenti al secondo posto, il candidato del partito di destra CREO Guillermo Lasso e Yaku Pérez Guartambel di Pachakutik (espressione politica della CONAIE, la Confederazione delle Organizzazioni Indigene dell’Ecuador), con il primo in vantaggio per qualche decina di migliaia di voti.

Dopo un primo scrutinio delle schede elettorali, che davano un margine di vantaggio a Yaku Pérez su Guillermo Lasso, il riconteggio di migliaia di schede contestate per irregolarità aveva portato in vantaggio Lasso. La CONAIE e la CONFENIAE (Federazione dei popoli indigeni dell’Amazzonia) avevano immediatamente chiamato alla mobilitazione in tutto il paese per vigilare contro ogni tentativo di frode.

 

Foto da Flickr

 

Dopo aver concluso un accordo con Yaku Pérez per un riconteggio del 100% delle schede nella provincia di Guayas e in una decina di province dell’altopiano e dell’Oriente (dove certamente Pérez avrebbe guadagnato voti), Lasso in una lettera è tornato sui suoi passi proponendo che il riconteggio valesse per il 100% delle schede della provincia da dove lui proviene, ma non per tutte le altre concordate.

Rompendo quindi un accordo, ritenuto perfino illegale. Il Consiglio Nazionale Elettorale, chiamato a decidere le modalità del riconteggio, non è poi riuscito a votare e pertanto con molta probabilità si limiterà a proclamare ufficialmente i risultati della prima tornata, con la possibilità di fare ricorso.

 

Secondo molti osservatori, un eventuale duello finale (il ballottaggio si svolgerà il prossimo 11 aprile) tra Arauz e Lasso agevolerebbe senz’altro il primo, ormai ancorato a uno zoccolo duro di voti che difficilmente crescerà alla “segunda vuelta”.

 

E che quindi trarrebbe vantaggio da una campagna improntata sulla polarizzazione contro Lasso, situazione che di fatto farebbe sparire dal contesto una possibilità terza tra correismo ed anticorreismo, quale quella rappresentata da Pérez e anche dall’outsider e vero fenomeno inatteso di questa campagna elettorale, Xavier Hervas che con la sua Izquierda Democratica ha registrato un eccellente risultato diventando la quarta forza politica del paese, raccogliendo consenso con una campagna agile sui social media rivolta principalmente a un elettorato giovane e stanco di un linguaggio politico antiquato.

Al netto di queste considerazioni resta il fatto che il 70% del paese ha scelto, seppur con diverse sfumature, un’opzione che archivierebbe una volta per tutte ogni velleità delle destre e l’esperienza fallimentare della presidenza di Lenín Moreno.

 

Contemporaneamente si è tenuta a Cuenca una storica consultazione popolare contro l’espansione delle miniere su larga scala e la tutela di alcuni delicati bacini idrografici.

 

Il risultato è stato schiacciante e storico tanto quanto la contemporanea affermazione della lista di Pachakutik e di Yaku Pérez. I due risultati vanno letti in parallelo, per comprenderne portata e significato politico e simbolico. A Cuenca capitale della provincia dell’Azuay (fino a poco tempo fa governata proprio da Yaku Pérez, che lanciò la proposta di una consulta popolare) oltre l’80% degli aventi diritto al voto ha scelto di proteggere l’acqua e respingere progetti di espansione mineraria.

Il referendum era stato approvato nel settembre scorso dalla Corte Costituzionale e il risultato è vincolante “al pié de la letra” della Costituzione. Il quesito riguardava la protezione del bacino idrografico di Cuenca composto di ben 4200 corsi d’acqua e cinque fiumi che assicurano l’approvvigionamento idrico alla città. Promossa da una alleanza di 14 organizzazioni – il Cabildo del Agua – la proposta di “consulta popular” riuscì ad ottenere il sostegno del sindaco di Cuenca.

Il risultato blocca definitivamente i progetti che multinazionali canadesi, australiane, peruviane e cilene avevano su un territorio nel quale almeno 43 delle 73 concessioni minerarie riguardavano l’estrazione di metalli.

Prima ancora di diventare prefetto della provincia di Azuay, Yaku aveva fatto della difesa dell’acqua e della lotta alle attività minerarie su larga scala il suo tema centrale di impegno politico, organizzando marce in tutto il paese, soffrendo direttamente le conseguenze della repressione dell’allora presidente Correa. Come detto, la sua affermazione e quella storica del movimento Pachakutik sono uno dei veri risultati di rilievo di questa tornata elettorale nonostante gli sviluppi successivi.

 

Foto dall’archivio DINAMOpress

 

Un risultato che incarna lo spirito del levantamiento di ottobre del 2019, quando per giorni a Quito ed in tutto il paese movimenti indigeni e sociali scesero in piazza per protestare contro il pacchetto di riforme economiche annunciato dall’allora presidente Lenín Moreno. Con queste premesse, ogni possibile manipolazione o frode elettorale, sarebbe vista come un affronto a quelle migliaia di persone scese in piazza, e vittime di una repressione violentissima.

 

Neanche sotto Correa (che non aveva esitato ad adottare politiche repressive nei confronti di movimenti indigeni e organizzazioni ambientaliste) si è assistito a giorni di brutale violenza da parte dello stato.

 

Una ferita profonda che attende ancora verità e giustizia. Inoltre, in quei giorni di sangue e rivolta i movimenti convocarono il “Parlamento de los Pueblos” che adottò “la minka por la vida” un programma per l’Ecuador, sottoscritto dai rappresentanti di oltre 180 organizzazioni e movimenti sociali, poi diventato il programma elettorale con il quale Yaku e Pachakutik si sono presentati alle elezioni.

Appuntamento al quale i movimenti indigeni si sono presentati dopo un processo in parte travagliato e caratterizzato anche dalle posizioni di nuovi leader quali Jaime Vargas (Shuar amazzonico) Presidente della CONAIE, e Leonidas Iza (a capo del MICC, Movimiento Indigena Campesino del Cotopaxi) che erano a capo della rivolta di ottobre e che non gradivano la candidatura di Pérez.

 

Foto da Flickr

 

È altrettanto vero però che oggi con sfumature diverse tutti si ricompattano a difesa di un risultato elettorale senza precedenti, che finalmente segna un rafforzamento delle alleanze tra indigeni, movimenti contadini, dei lavoratori, ambientalisti e femministi del “campo” e delle aree urbane. Risultato questo sì delle mosse di Lasso, ma anche di una campagna di denigrazione contro Yaku Pérez da parte di settori “correisti” che ha raggiunto punte di vero e proprio razzismo.

In ogni modo, è impensabile che Pachakutik e la sua base di riferimento possano decidere, qualora Pérez non arrivi al ballottaggio, di sostenere o Lasso o Arauz. A questo punto le mosse di Izquierda Democratica saranno decisive. Nel corso della campagna elettorale, la questione dell’estrattivismo e della necessità di superare il modello di stato “minerale” è stata affrontata in maniera decisa solo da Yaku Pérez. Gli altri candidati, chi più chi meno, si sono espressi per la “mineria” corretta, sostenibile, per l’aumento dello sfruttamento delle risorse minerarie.

Un’ulteriore considerazione riguarda chi lavora “dal basso”. Uno degli eventi di maggior rilevanza politica degli ultimi anni fu la “consulta popular” nazionale sulla protezione dello Yasuni. Anch’essa, come quella di Cuenca, convocata secondo quanto previsto dalla Costituzione.

 

ITT Yasuni è una zona ad altissima biodiversità, nella foresta amazzonica ecuadoriana, ed abitata da popolazioni indigene non contattate, Ishpingo, Tambococha, Tibutini.

 

A un certo punto prese corpo una proposta di lasciare il petrolio sottoterra in cambio di fondi per la protezione delle foreste e la trasformazione della cosiddetta “matrice produttiva” proposta che di fatto venne disarticolata dal governo Correa che da una parte la sosteneva e dall’altra era preso a elargire concessione alle imprese petrolifere cinesi. Pertanto, il movimento Yasunidos (anch’esso vittima della repressione) organizzò una consulta popular che si espresse a maggioranza schiacciante in sostegno alla proposta.

Che rimase però lettera morta e venne ostacolata in ogni maniera da Correa, fino a quando recentemente la Corte Costituzionale Ecuadoriana con un suo pronunciamento ha riaperto la possibilità di proporre una nuova consulta.

Resta il conflitto con il Consiglio Nazionale Elettorale che in passato si era piegato alle pressioni di Correa e oggi è nell’occhio del ciclone per la vicenda delle presunte frodi elettorali e il riconteggio delle schede contestate. La seconda consulta popular sullo ITT Yasuni, qualora si dovesse svolgere, sarà una grande occasione per riaffermare l’opposizione al modello estrattivistico e per compattare ulteriormente una base sociale di opposizione alle politiche estrattiviste di chi andrà a sedere nel palazzo presidenziale di Carondelet, che sia Arauz o che sia Lasso.

In parallelo, in molte parti del paese si stanno utilizzando gli strumenti previsti dalla Costituzione di Montecristi. In un ricorso ad una corte locale il popolo Waorani è riuscito a ottenere il riconoscimento dei loro diritti minacciati dalla Covid-19 e dall’espansione della frontiera petrolifera nelle loro terre. Neanche la pandemia era riuscita a fermare l’avanzata della macchina estrattivista, una “doppia pandemia” che accomuna i Waorani a decine di comunità indigene in ogni parte del mondo.

Numerose sono state poi le sentenze di tribunali locali che hanno sancito i diritti di fiumi ed ecosistemi. Recentemente un ricorso legale, presentato a difesa di due specie di rane minacciate di estinzione sulla base dei diritti della Natura riconosciuti dalla Costituzione, si è concluso con il riconoscimento dei loro diritti e con il blocco di un progetto minerario nel cantone di Cotacachi (da decenni teatro di una forte resistenza popolare all’estrazione mineraria).

 

Insomma, l’uso della Costituzione come strumento di contenzioso legale e di “lotta” risulta essere assai efficace nel tutelare ciò che il governo di turno non vuole tutelare.

 

A questo va aggiunto che per la prima volta nella storia del paese, un presidente eletto non avrà da solo la maggioranza in parlamento, un colpo importante contro ogni tentativo di “nuovo caudillismo” che di fatto segna la trasformazione del paese da repubblica presidenziale a una sorta di repubblica parlamentare. Questi sviluppi aggiungono indubbiamente energia alla vivacità ed alla capacità di resistenza e mobilitazione delle comunità indigene e delle “mujeres indigenas” dell’Amazzonia in prima fila, dei movimenti, e della società civile ecuadoriana, capaci di esercitare un forte contro-potere in autonomia e all’esterno delle istituzioni rappresentative, e rappresenteranno una combinazione inedita nella storia del paese.

 

Foto di copertina di Wambra. Cartina della riserva ITT Yasuni da Wikipedia