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EUROPA
Nouveau Front Populaire: successi e sfide all’indomani del voto francese
La vittoria dell’NFP, il 7 luglio, è frutto di mesi di mobilitazioni che aprono nuove possibilità al futuro dell’Europa, mettendo a nudo le prime crepe del liberalismo autoritario e del suo doppio mostruoso neofascista. La sinistra radicale francese fronteggia nuove sfide per essere all’altezza del momento storico attraversato dal paese
Dal suo esilio brasiliano, durante la Seconda Guerra Mondiale, Georges Bernanos scriveva ne La France contre les robots (testo ripreso in un cortometraggio da Jean-Marie Straub): «Ciò che annunciamo si farà contro l’intero sistema attuale, o non si farà. Se pensassimo che questo sistema è capace di riformarsi, che può rompere autonomamente il corso della sua fatale evoluzione verso la Dittatura – la Dittatura del denaro, della razza, della classe o della Nazione – ci rifiuteremmo certamente di correre il rischio di un’esplosione capace di distruggere delle cose preziose che non si ricostruiranno che con molto tempo, perseveranza, disinteresse e amore.
Ma il sistema non cambierà il corso della sua evoluzione, per la ragione che ha già cessato di evolvere; si organizza solamente al fine di durare un momento di più, di sopravvivere. Lungi dal pretendere di risolvere le sue proprie contraddizioni, d’altronde probabilmente irrisolvibili, sembra sempre più disposto a imporle tramite la forza».
Il 7 luglio non siamo entrati in un nuovo periodo rivoluzionario in Europa, ma la sensazione di essere giunti a un momento di esaurimento del liberalismo autoritario e dal suo doppio mostruoso neofascista è stata palpabile. Come è noto, il FP vince con un progetto di rottura rispetto al paradigma neoliberale: Mélenchon – il primo a prendere la parola da per affermare la volontà di formare un governo del FP che applichi «rien que son programme, mais tout son programme» – ha citato alcuni punti fondamentali: pensione a 60 anni, aumento dei salari minimi e del settore pubblico, piano di gestione dell’acqua (ci ricordiamo tutti e tutte della battaglia di Sainte-Soline).
Si tratta anche di una sconfitta per il grande capitale francese (Bolloré in primis) che già si era mostrato compiaciuto della dissoluzione dell’Assemblea, confidando in una vittoria del Fronte Nazionale che avrebbe permesso di rilanciare l’accumulazione delle ricchezze e lo sfruttamento, come già successo in Italia con il governo Meloni. La nuova torsione autoritaria è stata però impedita da una mobilitazione elettorale con pochi precedenti (tasso di partecipazione più alto dal 1997) e soprattutto da un enorme lavoro a livello locale svolto da militanti e società civile. In queste poche settimane di campagna, vi è stato un vero sussulto che ha visto partecipare soggetti che finora si erano interessati alla politica senza prendervi parte in prima persona.
Per citare un testo caro alla nostra storia nazionale (e ricordarci che anche in Italia siamo stati capaci di momenti di questo tipo, in situazioni ben più drammatiche), è questo un fenomeno che si produce quando «la politica cessa di essere ordinaria amministrazione e impegna tutte le forze di una società per salvarla da una grave malattia, per rispondere a un estremo pericolo».
Se ci si attendeva una vittoria del Fronte Nazionale, a ben vedere, Parigi che domenica festeggiava aveva già manifestato nei mesi precedenti le avvisaglie di un sussulto – che per il momento non è niente di più, ma nelle possibilità aperte da quel sussulto passa molto del futuro europeo.
Di fronte all’eterno ritorno delle ecatombi e della mortificazione dei desideri, in un periodo storico in cui nulla sembra ricordare la possibilità stessa di un incidente in favore della vita umana, un blocco storico si componeva nelle manifestazioni di lutto per la Palestina e nei giorni immediatamente successivi allo scioglimento dell’assemblea del 9 giugno, iniziando a trasformare la tragedia in carburante per la lotta.
Nella composizione sociale delle mobilitazioni che in questi ultimi mesi hanno percorso il centro di Parigi si trovava già in potenza un programma politico per un partito di sinistra radicale (e nell’averlo saputo cogliere sta l’intelligenza della FI): nelle prime vi erano famiglie in lutto, indigeni della Repubblica, militanti della sinistra e dei movimenti antirazzisti; forse ancor più impressionante era la composizione dei rassemblements in place de la République nelle sere successive al 9 giugno, in cui l’età media non superava in nessun modo i venticinque anni e le parole d’ordine erano «la jeunesse emmerde le front national», «Siamo tutti antifascisti», «Paris debout, soulève-toi». Era una chiamata alla mobilitazione a cui la capitale, le altre città e una parte del paese non sono rimaste indifferenti.
Dopo la vittoria e il sollievo, si apre adesso una nuova fase politica. È evidente che il popolo della sinistra, per non smarrire lo slancio e riprecipitare nell’incubo, deve giocare al rialzo, puntare alle elezioni presidenziali del 2027 per applicare il progetto di una VI Repubblica, che la faccia finita con il presidenzialismo, il colonialismo interno ed esterno all’hexagone e la perdita vertiginosa di diritti sociali e civili che ha caratterizzato gli ultimi anni.
L’unico soggetto, anche all’interno del Fronte Popolare, che può avere la capacità e la volontà politica di realizzare questo progetto dentro le istituzioni è la France Insoumise, (che a sua volta non può rimuovere le sconfitte dei candidati di partito di fronte ai dissidenti di sinistra e che ricorda come in un partito fluido e necessariamente al servizio delle lotte, la base mal digerisce il decisionismo centralizzato).
Ma soprattutto significa che il NFP non può permettersi una crisi come con la NUPES (coalizione precedente definitivamente esplosa con il 7 ottobre), ciò che equivarrebbe al tradimento: il Partito Socialista è risorto grazie al progetto di una sinistra unitaria, i Verdi non possono più fare a meno della questione sociale e il PCF ha perso numerosi seggi (Fabien Roussel incluso) proponendosi alla classe operaia bianca come alternativa identitaria al FN. Solo se il FP tirerà le giuste conclusioni potrà governare con il supporto di un movimento sociale.
Infatti, la prima necessità, come già nell’esperienza del ’36-’38, è la presenza costante e parallela di un conflitto sociale, nei luoghi di lavoro e negli spazi pubblici, che tenda all’insurrezione e riesca a porre un rapporto di forza materiale con il grande capitale finanziario, già spaventato da uno spettro simile. La Francia è certamente un paese pieno di contraddizioni, spesso intollerabili; ma è anche il paese di Robespierre, Louise Michel e Paul Ėluard cantato da Jean Ferrat, e citato da Mélenchon a conclusione del suo intervento. Un paese in cui vi è una tradizione di lotte che hanno sviluppato un’intelligenza tattica e strategica unica in Europa, soprattutto nei movimenti di piazza.
I “cortèges de tête” apparsi prima con i movimenti contro la loi Travail del 2016 e ritualizzati con i Gilets Jaunes nel 2018-2019 sono solo l’ultima testimonianza della capacità di rinnovamento di pratiche di rivendicazione politica, in particolare in relazione all’uso della violenza.
Non si tratta solo della partecipazione e della frequenza delle mobilitazioni, ma anche della capacità di riconoscere gli obiettivi della contestazione e del conflitto e, in un momento segnato dall’impossibilità rivoluzionaria, di ribaltarne il significato e riappropriarsene (nella tradizione del détournement situazionista e del braconnage culturel alla De Certeau).
L’antagonismo fra città e campagna, contraddizione fondamentale della Francia moderna e ancor più contemporanea, se ha prodotto diseguaglianze smisurate, ha anche reso più facile individuare bersagli simbolici nelle città (dalle sedi delle banche e delle multinazionali ai palazzi del potere e i loro orologi). Oltre alla vittoria elettorale di una sinistra radicale, sarà necessaria tutta questa tradizione e l’intelligenza politica che può maturare nei movimenti per egemonizzare la direzione politica, imporre una rottura radicale e stare all’altezza del momento storico.
Tutte le foto nell’articolo sono di Ilaria Turini
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