ROMA
“Non tollerabile” a chi? Geco, la sindaca Raggi e il “valore” della street art
La scoperta dell’identità del writer che si firmerebbe con il nome di lucertola ha riaperto il dibattito sulla street art. Ma non può rispondere a una domanda fondamentale: Chi decide dell’artisticità di un murale, di un tag o di una scritta urbana?
Si dirà: “fa parte del gioco”. Se i graffiti e la cosiddetta street art sono dei tipi di intervento artistico che si pongono volutamente al limite fra legale e illegale, fra attivismo politico e puro gesto fine a se stesso, la denuncia e la confisca dei “ferri del mestiere” (bombolette spray, adesivi, etc.) da parte delle forze dell’ordine è qualcosa di pur sempre possibile, di prevedibile. Certo non augurabile a nessuno, ma che può accadere.
Meno prevedibile, però, è che un rappresentante delle istituzioni esibisca gli oggetti sequestrati sui social e che faccia ufficialmente vanto della “cattura” del writer in questione, manco si trattasse di un pericoloso criminale. Invece, due giorni fa la sindaca della capitale Virginia Raggi così commentava le operazioni repressive intraprese nei confronti dell’artista di strada Geco, attivo da anni in molti paesi: «Era considerato imprendibile, ma ora Geco è stato identificato e denunciato», ha scritto la prima cittadina romana sul proprio profilo Facebook con tanto di foto a corredo. Aggiungendo: «Ha imbrattato centinaia di muri e palazzi a Roma e in altre città europee, che vanno ripuliti con i soldi dei cittadini. Una storia non più tollerabile».
Verrebbe da chiedersi quanto sia di converso “tollerabile” che, per “acciuffare” Geco, sia stato impiegato (su ammissione della stessa Raggi) «un anno di indagini coordinate dalla Procura della repubblica di Roma», con la magistratura che ha «disposto perquisizioni domiciliari e nei mezzi a sua disposizione». Oppure che il Nucleo Ambiente e Decoro, una sezione della polizia capitolina che ad agosto dello scorso anno è andata a sostituire i vecchi Pics (Pronto Intervento Centro Storico), abbia utilizzato parte delle proprie forze in operazioni come questa invece che per contrastare altri tipi di “degrado”, quale potrebbe essere quello dato dall’accumulo eccessivo di rifiuti nello spazio urbano?
In molti stanno facendo notare come le parole della sindaca risultino davvero fuori luogo e fuori misura, tanto che alcuni sostenitori del writer stanno organizzando un’iniziativa di “mail bombing” diretta all’indirizzo elettronico della prima cittadina. Ma il punto, forse, non è solo che «Geco è un writer e non Pablo Escobar», come annota ironicamente Natascia Grbic su Fanpage.it. Il punto è che la reazione di Virgina Raggi – frutto di un travisamento dei social media manager, à la Toti o della volontà di lisciare gli istinti più ottusamente legalitari dell’elettorato 5stelle (come nella recente vicenda dell’allontanamento del cittadino marocchino Mustafà Fannan dal quartiere di Torpignattara)? – lascia trasparire una contraddizione, per così dire, più strutturale.
Vari giornali e pubblicazioni online ricordano, in risposta alla posizione espressa dalle istituzioni capitoline nei confronti del writer arrestato, che si sono già verificate scelte sconsiderate da parte di rappresentanti del Comune di Roma “accecati” da fanatico zelo per preservare il “decoro”. Pensiamo a Keith Haring: il celebre artista statunitense morto alla fine degli anni ‘80, fra i maggiori esponenti al mondo del graffitismo e sodale artistico di Andy Warhol e Jean-Michel Basquiat, realizzò infatti alcune opere per le strade e sugli edifici della capitale, come un disegno di sei metri per due sulle pareti trasparenti del Ponte sul Tevere della linea A della metro e un ampio murale sul Palazzo delle Esposizioni. Peccato che entrambi questi interventi finirono cancellati, il primo su decisione della giunta di Franco Carraro (Psi e poi Forza Italia) in occasione della visita a Roma dell’ex-presidente sovietico Michail Gorbacev nel 1992, e il secondo nel 2001 su scelta di Francesco Rutelli appena dopo il Giubileo.
Eppure, anche seguendo questa linea, sembra di entrare dentro una frattura difficilmente ricomponibile: l’errore commesso dalle amministrazioni Carraro e Rutelli sarebbe quello di aver perso “l’occasione” di avere sul proprio territorio opere di alto valore artistico (ed economico)? Chi decide dell’artisticità o meno di un murale, di un tag o di una scritta urbana? Gli interventi di Geco sono delle sorta di performance più che opere pittoriche: volutamente anti-estetiche, o comunque non riconducibili a un’idea bellezza canonica (benché avanguardistica), vengono interpretate dal writer stesso più come un gesto di sfida provocatoria che come atto di creazione concettuale («Geco ti mette le ali», è la gigantesca frase su un edificio in via Magna Grecia a Roma, che si lascia ammirare per la spregiudicatezza dell’operazione più che per l’impatto visivo).
E, difatti, il cosiddetto valore (inteso in senso classico) è forse più un nemico che un alleato della street art e degli street artist. Ce lo ricorda la vicenda di Blu, writer di fama internazionale che – proprio per scongiurare la valorizzazione di un suo murale da parte della giunta Merola di Bologna, la quale avrebbe voluto trasporne dei pezzi dalla parete del centro sociale oggi sgomberato Xm24 ed esporli al museo per una mostra – decise nottetempo di ricoprirlo interamente di vernice grigia. Un gesto radicale e, se vogliamo, anche simbolicamente “violento” (peraltro messo in campo dall’artista pure in altre occasioni) ma che serve a ribadire un concetto molto semplice: il “valore” dei graffiti e dell’arte di strada non sta nelle forme o nei colori, in una parola nelle qualità estetiche delle opere realizzate di volta in volta, bensì nella totale e insindacabile libertà della scelta con cui tali opere vengono di volta in volta concepite e messe a disposizione dello spazio pubblico e di chi lo attraversa.
Forse, sarebbe stato più “decoroso” che la sindaca Raggi e il Nad (che, da statuto, «opera alle dirette dipendenze della sindaca») avessero provato a costruire dei ragionamenti su queste tematiche, relative cioè alla fruizione dei luoghi condivisi, alla partecipazione della cittadinanza nelle decisioni sugli sviluppi urbani, al ruolo culturale dell’arte nella “riqualificazione” della città (anche e soprattutto di quell’arte che non si pone a diretto servizio degli interventi istituzionali). Invece ci troviamo – come sempre più spesso accade, viene da dire – alla riduzione di problematiche complesse a questioni di “ordine pubblico”. Con l’aggravante che una vicenda giudiziaria privata viene deliberatamente sbandierata nel tentativo di farla diventare un simbolo, non si sa bene se dell’efficienza dell’amministrazione comunale o del pugno duro dei suoi apparati di gestione e controllo.
Si potrà discutere se l’arte di Geco “ti mette le ali” o meno, ma quello della sindaca Raggi non è certo volare alto.