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MONDO
Il golpe bianco di Bukele: non c’è nessuna tradizione democratica in El Salvador
Golpe tecnico, golpe bianco, crisi costituzionale. La tempestiva rimozione di alcuni magistrati dalla Corte Suprema salvadoregna rappresenta una spaventosa ricaduta autoritaria e un preludio a un futuro prossimo in cui un esecutivo con troppi poteri, nella persona di Nayib Bukele, potrà schiacciare l’opposizione senza incontrare alcun ostacolo
Il presidente Bukele, che ora controlla l’assemblea legislativa, ha rimosso i funzionari pubblici a lui invisi, cosa che permette di riformulare le leggi salvadoregne e renderle più adatte alle sue esigenze e alla sua immagine. In un paese il cui senso della storia sembra evaporare, Bukele appare ai salvadoregni come una novità assoluta piuttosto che come l’ultimo esponente di una lunga tradizione di pericolosi demagoghi.
La “nuova assemblea legislativa”, come è stata definita dai sostenitori del governo che gestiscono i social media istituzionali, ha anche votato per tassare la stampa, una chiara ritorsione contro il giornalismo che è da sempre una spina nel fianco di Bukele. Si presume che un simile trattamento sarà riservato a breve anche ad altri gruppi di “evasori fiscali” e che seguiranno altri licenziamenti, come anticipato dall’assemblea.
Se questo scenario era stato previsto dagli analisti a seguito della vittoria schiacciante del partito di Bukelee dei suoi alleatialle elezioni legislative e municipalilo scorso febbraio, ciò che non poteva essere anticipato era cheBukele avrebbe instaurato una personale forma di assolutismo in un colpo solo, grazie al controllo incontrastato dell’assemblea. La rimozione e la sostituzione dei magistrati della Corte Suprema e del Procuratore Generale il primo giorno della nuova legislatura rappresentano di fatto l’eliminazione degli ultimi elementi di un sistema di bilanciamento del potere. La mossa antidemocratica del primo maggio, assieme allo spostamento sempre più evidente di Bukele verso una forma di governo apertamente autoritaria, fa di quest’ultimo un esponente della tradizione demagogica di El Salvador.
Con la nuova assemblea e una crisi giuridica in corso, il partito Nuevas Ideas e i suoi alleati stanno usando la maggioranza assoluta che detengono nell’assemblea legislativa per creare un clima politico in cui non sarà possibile opporsi alle scelte di Bukele.
I decreti di Bukele non verranno più esaminati dall’assemblea legislativa o respinti nei tribunali e il suo potere – il suo dispotismo illuminato – difficilmente verrà messo in discussione. I capi di Stato, i membri del Congresso degli Stati Uniti, le istituzioni che vigilano sui diritti umani, i giornalisti e i salvadoregni da varie parti del mondo hanno espresso il loro sconcerto per le azioni di Bukele e per il tracollo della democrazia. In molti hanno parlato di fascismo, autoritarismo, dittatura, di una presa di potere alimentata da un narcisismo insaziabile – accuse che comunque non rallentano l’operato di Bukele.
Bukele ha risposto ai suoi critici dicendo loro di non intromettersi. Secondo il Presidente questi cambiamenti, oltre a essere del tutto costituzionali, semplicemente riflettono l’esigenza di un ricambio interno, che non richiede alcun contributo o commento esterno. Se la data del 9 febbraio 2020 –giorno in cui Bukele ha fatto il suo ingresso nell’assemblea legislativa scortato da soldati pesantemente armati – è stata definita come anacronistica, come il segnale di un’intimidazione e di un “neofascismo” emergente, gli eventi del primo maggio mostrano una strategia legale più evoluta tesa al raggiungimento dell’autocrazia, la realizzazione di quel colpo di stato che un anno fa poteva dirsi evitato.
Ciò che il primo maggio ribadisce, e che la maggior parte dei salvadoregni già sa, è che non c’è mai stata una vera tradizione democratica in El Salvador.
Con l’esaurirsi dello spirito che animava gli accordi di pace del 1992, accordi che hanno definito l’attuale impalcatura istituzionale e molte delle norme che regolano la vita politica del paese, la presidenza ha gradualmente accumulato, come in altri momenti del passato, un immenso potere unilaterale. A oggiEl Salvador rimane un paese con una forte tradizione militar-presidenziale. Nel corso della storia, e soprattutto nel ventesimo secolo, il governo salvadoregno è stato sostenuto da “uomini forti” e caudillos locali(leader politico-militari), con i quali ha coltivato una gestione del potere presentata come legittima ed efficace. Queste forme tradizionali di governo (Regalado, Hernández Martínez, Osorio, Romero e le coalizioni e le giunte militari della seconda metà del secolo scorso) hanno anticipato la comparsa di dittature più moderne come quella di Bukele che sono il frutto della disaffezione di una parte dell’élite locale.
Agli occhi di quanti hanno familiarità con la politica salvadoregna questo ritorno all’autoritarismo sarà pure sconvolgente, ma non rappresenta nulla di nuovo o di inaspettato. Il fascismo è un elemento di continuità nella politica salvadoregna, qualcosa che ribolle sotto la superficie, ha caratterizzato i governi precedenti e caratterizza tutt’ora la cultura militarista di cui è imbevuto il nazionalismo salvadoregno, la retorica securitaria giustificata dalla necessità di combattere le organizzazioni criminali e, in maniera diversa, l’incapacità di assicurare giustizia per le comunità che vivono nel trauma dei crimini di guerra degli anni ‘80. Ci sono, infatti, una varietà di genealogie del fascismo salvadoregno e molti dei suoi tratti continuano a essere valorizzati, a occupare un posto importante nell’immaginario politico del paese – dall’idea di “governo competente” a una concezione distorta della democrazia diretta, che sembra emanare direttamente dalla figura di Bukele.
Non sorprende, quindi, che Bukele e le sue tattiche spregiudicate godano di ampia popolarità. Le sue opinioni hanno infiltrato il sentire comune dei salvadoregni che risiedono nel paese e di molti esuli, di quanti sono emigrati negli Stati Uniti o in regioni ancora più lontane. Per questo motivo Bukele ha potuto presentare questa presa di potere come l’espressione della volontà popolare.
Lo sprezzo delle regole, lo stile “disobbediente” con cui governa, possono apparire come elementi di novità in un paese in cui il sistema bipartitico sembra essersi logorato e dove è forte il desiderio di migliorare le condizioni materiali di vita, condizioni che sono peggiorate costantemente nel corso degli ultimi trent’anni. Anche gli elogi che il Presidente si è rivolto da solo durante la pandemia, nonostante la gestione sia stata incompetente e improvvisata, ha aumentato la sua popolarità presso i salvadoregni.
La presidenza di Bukele è in un certo senso una lezione per le classi politiche bersaglio della delusione dei settori popolari. Un invito a correggere gli errori della politica contemporanea, una condanna della solita governance “democratica”, che ha portato miglioramenti trascurabili. Facendo leva su queste frustrazioni, Bukele sfrutta lo scontento per usare il pugno di ferro, veicolando il messaggio che il fascismo (una logica politica ed economica che si riflette nella dimensione culturale del paese) è l’unico mezzo per garantire una gestione politica efficace.
Il fascismo, in breve, non è mai veramente scomparso dall’arena politica. Piuttosto, è diventato parte integrante della coscienza collettiva, una risposta e una soluzione istantanea ai problemi sociali che affliggono il paese.
Bukele e il suo partito – anello di congiunzione tra il risentimento popolare e le istituzioni – hanno sfruttato queste tendenze a cui rispondono con uno stile personalistico basato su un’idea di salvezza. Bukele ha fomentato i media creando una bolla in cui i desideri dei suoi elettori (i suoi dettami) sono percepiti come meritevoli, spiritualmente lodevoli e moralmente giusti. Facendo leva sullo scontento della popolazione e sulla generale diffidenza nei confronti delle istituzioni,che è aumentata nel corso degli ultimi trent’anni, Bukele ha capitalizzato la poca fiducia rimasta dirottandola verso il suo progetto populistico, che prende forma a partire dal carattere pragmatico delle sue ambizioni dittatoriali e del modello verticistico imposto alla gerarchia di comando.
Attraverso il consolidamento della torsione autoritaria del primo maggio, Bukele e i suoi alleati tentano di riscrivere le regole, minando i già fragili meccanismi democratici su cui si tiene il governo salvadoregno.
Gli attuali processi di erosione della democrazia sono avvenuti di pari passo alla dismissione della sfera politica a favore di un fascismo ordinario di cui Nayib Bukele è l’emblema, giustificato dall’esigenza di mostrare il pugno di ferro nella lotta contro il crimine e di risolvere i problemi con la repressione o con un uso discutibile degli strumenti giuridici.
Solo la ricomposizione di un’opposizione popolare progressista potràarginare l’avanzata del fascismo, ma la formazione, l’organizzazione e la mobilitazione politica di una simile arearichiede tempo e non assicura nulla. In assenza di un’opposizione strutturata,le proteste, gli slogan o le prese di posizione contro Bukele avranno un valore meramente simbolico.
Articolo pubblicato su El Faro
Traduzione in italiano a cura della redazione di DINAMOpress