ITALIA

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Non c’è Donna Vita Libertà senza Maysoon e Marjan libere

Majidi e Jamali hanno sono fuggite dall’Iran temendo persecuzioni e violenze. Ora sono detenute in Italia per aver distribuito cibo e acqua ai loro compagni di viaggio

Le storie e la detenzione di Maysoon Majidi e Marjan Jamali rivelano l’ipocrisia dei governi europei. Majidi e Jamali sono due donne iraniane che hanno lasciato il loro paese per fuggire da persecuzioni e violenze, dirigendosi verso l’Italia, sulle cui sponde sono giunte su una barca nel dicembre 2023. Hanno distribuito cibo e acqua ai loro compagni di viaggio e li hanno aiutati a sopravvivere in circostanze incredibilmente difficili. Per questa ragione, sono state arrestate con l’accusa di favoreggiamento dell’immigrazione irregolare e, in particolare, di essere delle “capitane”. Dal dicembre 2023 sono recluse rispettivamente a Castrovillari e Reggio Calabria, dove hanno intrapreso scioperi della fame e tentato il suicidio per protestare contro le condizioni detentive, cercando di evidenziare le procedure investigative poco chiare da parte delle autorità italiane.

Ci chiediamo cosa abbiano pensato Majidi e Jamali durante la rivolta Donna Vita Libertà (DVL) delle numerose immagini dei politici europei che si tagliano i capelli in solidarietà con loro e con la loro lotta. Ci chiediamo se Majidi e Jamali abbiano creduto a quelle parole di solidarietà,e ci chiediamo se chi le ha pronunciate ci abbia creduto in primo luogo

“Circostanze incredibilmente difficili” sono tre parole chiave, poiché descrivono bene la necessità che Jamali e Majidi hanno avuto di lasciare il loro paese di origine e sopravvivere durante il viaggio verso l’Italia. La necessità di sopravvivere ha fatto sì che condotte come condividere cibo e acqua e organizzare forme di vita comunitaria sull’imbarcazione fossero qualcosa che le due donne hanno automaticamente svolto e preso in carico durante il viaggio. 

Allo stesso modo, la sopravvivenza ha reso necessaria la scelta di lasciare l’Iran.

Sappiamo che l’Iran può essere un contesto ostile, quando si tratta dei diritti delle donne e dei diritti delle comunità, etniche o altro, marginalizzate. Lo sapevano anche i politici europei, quando condannavano la violenta repressione del movimento DVL da parte dello stato e le numerose condanne a morte eseguite in relazione alla rivolta.

Jamali, 29 anni, ha deciso di andarsene a causa della violenza domestica subita quotidianamente. La legislazione iraniana in materia è, nella migliore delle ipotesi, precaria per le donne, poiché la violenza di genere non è un crimine di per sé e le sopravvissute spesso vengono criminalizzate al posto dei maltrattanti. Ciò ha motivato Jamali ad andarsene col figlio all’estero. Maijdi, 28 anni, è un’attivista curdo-iraniana, che ha vissuto nel Kurdistan iracheno prima di decidere di continuare il suo viaggio verso l’Europa. Nel Kurdistan iracheno i curdi godono di un diritto all’autodeterminazione sconosciuto al resto di coloro che vivono in Turchia, Siria e Iran. Tuttavia, questa regione non è un luogo sicuro per gli attivisti iraniani, a causa della libertà con cui operano gli apparati di polizia e l’intelligence iraniani. Gli attivisti possono essere arrestati, perseguitati e persino uccisi, come già accaduto nel passato. Inoltre, i bombardamenti da parte dell’Iran sul Kurdistan iracheno in seguito allo scoppio della rivolta del DVL, potrebbero aver pesato sulla decisione di Majidi di cercare sicurezza altrove.

Perché Jamali e Majidi sono stati arrestate? L’articolo 12 del Testo Unico Immigrazione (TUI) codifica «il reato di favoreggiamento dell’immigrazione irregolare», che copre una vasta gamma di comportamenti, includendo tutto ciò che può aiutare le persone a sopravvivere durante il transito.

Majidi e Jamali sono accusate di aver facilitato la traversata del Mar Mediterraneo distribuendo cibo e acqua e tenendo al sicuro i telefoni dei loro compagni di viaggio. Sebbene queste condotte siano reazioni umane in circostanze incredibilmente difficili, motivate dalla volontà di sopravvivere a una minaccia e a un pericolo comune, l’Italia le criminalizza

L’articolo 12 non punisce comportamenti dannosi contro altri esseri umani e non si occupa nemmeno di contrastare il fenomeno della tratta internazionale, considerando che le condotte criminalizzate (come quelle adottate da Jamali e Majidi) possono essere perseguite penalmente in assenza di remunerazione economica o in altra forma. L’articolo 12 semplicemente fornisce alle autorità italiane un capro espiatorio da criminalizzare, con l’obiettivo di assolvere le politiche sui confini nazionali. Per questo motivo, non è sufficiente sostenere che Majidi e Jamali sono innocenti: è necessario contestare il reato stesso. Dovremmo chiedere l’abrogazione dell’articolo 12, sostenendo chiaramente che gli atti che esso criminalizza sono comportamenti legittimi, siano essi compiuti da attivisti, ONG o da migranti individualmente o nel contesto delle loro reti di sostegno informale. Dovremmo difendere ogni singolo atto di solidarietà, chiedendo che venga legalizzato, anziché criminalizzato.

Il reato di favoreggiamento dell’immigrazione irregolare, come codificato dalla legge, crea anche un circolo vizioso di detenzioni lunghe e distruttive, spesso preventive. Ciò è particolarmente atroce in casi come quello di Majidi e Jamali, poiché queste due donne cercano protezione da regimi e condizioni di vita violentemente repressive. È la scelta stessa di uscire da tali ambienti repressivi a essere punita, nel loro caso ma anche in centinaia di altri casi, spesso invisibili nel dibattito pubblico. Le loro storie di detenzione sono simili a quelle di centinaia di altri migranti, con il loro corollario di scioperi della fame, tentativi di suicidio, mancanza di comunicazione chiara da parte delle autorità italiane, resoconti di testimoni incriminanti impossibili da confermare perché i testimoni sono irreperibili, carcerazioni prolungate e separazione genitori-figli.

Si tratta di traumi irreparabili che le persone migranti subiscono regolarmente in condizioni di assoluto isolamento e abbandono. Queste sono vite che non interessano ai nostri governi. Majidi e Jamali, che sono curde e iraniane, insieme a qualsiasi altra persona, razzializzata e di colore, il cui profilo politico collettivo può essere meno mediatizzato e conosciuto, meritano una storia diversa e la nostra piena solidarietà

I comportamenti di Jamali e Majidi hanno protetto la vita e impedito la morte di decine di persone. Le celebriamo nello spirito di Jin, Jiyan, Azadi, che non potrebbe descrivere meglio chi sono e cosa hanno fatto: donne che difendono la vita e cercano la libertà. I loro atti interrogano la nostra complicità di cittadini europei che vivono all’interno dei confini europei. L’espediente retorico della “lotta al traffico di esseri umani” viene utilizzato come arma per prevenire la solidarietà. Attraverso di esso opera un regime di confini mortale, rafforzato da politiche e leggi intenzionalmente elaborate dai nostri rappresentanti istituzionali, passati e presenti. Come femministe e attiviste antirazziste, è quindi importante costruire solidarietà per rompere questo sistema di complicità e proteggere il diritto di tuttə all’autodeterminazione, anche della libertà di movimento.

L’immagine di copertina è di Taymaz Valley

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