editoriale

Noi, Daniel Blake

Daniel Blake è un uomo. Una precaria. Un migrante che lavora sulle impalcature, nel cuore della città. Una disoccupata che percepisce la Naspi. Un ingegnere precario che scrive linee di codice per un subfornitore di Google. È tutti coloro intendono ribellarsi ai dispositivi neoliberali di governo della forza lavoro. Daniel Blake è un nome collettivo. Un cantiere di ricerca aperto e plurale. Questo è il suo manifesto. Ci ha promesso che scriverà ancora, esplorando le trasformazioni del sistema delle politiche del lavoro e del welfare in Italia

“Non sono un cliente, né un consumatore, né un utente, non sono un lavativo, un parassita, né un mendicante, né un ladro, non sono un numero di previdenza sociale, né un puntino su uno schermo. Ho pagato il dovuto, mai un centesimo di meno, orgoglioso di farlo. Non chino mai la testa, ma guardo il prossimo negli occhi e lo aiuto quando posso. Non accetto e non chiedo elemosina. Mi chiamo Daniel Blake, sono un uomo e non un cane; come tale esigo i miei diritti, esigo di essere trattato con rispetto.”

Sono le parole pronunciate dal protagonista del film di Ken Loach «Io, Daniel Blake», ambientato nel Regno Unito. Un film che racconta la trasformazione della rete di sicurezza sociale in una trappola fatta di sanzioni, colpevolizzazione della povertà, coercizione al lavoro, controllo sociale e intimidazioni.

Noi però non sappiamo esattamente dove e quando sia nato Daniel Blake. Di sicuro è stato visto aggirarsi nei Jobcenter Plus inglesi, qualche foto pubblicata sui giornali lo ha ritratto in fila nei Pole-Emploi francesi, altri lo hanno visto protestare alle porte dei Job center tedeschi. C’è qualcuno che giura di averlo persino già visto all’opera nei ghetti neri di Los Angeles ad organizzare la protesta degli afroamericani negli anni sessanta del secolo scorso.

Una vicenda collettiva, dunque, che parla anche al nostro presente, a quello che sta accadendo in Italia con l’applicazione del Jobs Act e i tentativi di affermazione del workfare.

Noi, Daniel Blake siamo i milioni di soggetti che annualmente si recano all’Inps e nei Centri per l’Impiego per accedere alle prestazioni di sostegno al reddito, precarie, disoccupati e migranti sospesi tra lavoro, non lavoro e povertà relativa. Siamo le migliaia di soggetti in povertà assoluta che dal 1 dicembre 2017 hanno invaso i CAF, da Milano a Palermo, per poter accedere al Reddito di Inclusione. Siamo le donne che lottano per un reddito di autodeterminazione contro la violenza dello sfruttamento. I precari che hanno attraversato negli ultimi decenni le strade d’Europa rivendicando un welfare universale e salari più alti. I migranti esclusi dalle reti di protezione sociale. Noi, Daniel Blake siamo gli operatori, precari e non, che nonostante la frammentazione istituzionale e la riduzione delle risorse, ogni giorno cercano di garantire i diritti degli utenti dei Servizi pubblici per l’Impiego.

Prendiamo parola adesso, perché proprio in questo momento, in Italia, va prendendo forma un sistema organico di politiche attive e un apparato di workfare su scala nazionale. Dopo questa lunga crisi, siamo ad una svolta, forse, e mentre altrove si discute dei nuovi modi di produzione, dal capitalismo delle piattaforme alla diffusione della robotica, si sperimentano anche in Italia nuove politiche e istituzioni per il governo neoliberale della forza lavoro.

Noi, Daniel Blake siamo un nome collettivo, un cantiere di ricerca comune che vuole iniziare a raccontare cosa si nasconde dietro ogni numero della previdenza sociale.