ITALIA
No grandi opere e giustizia climatica: in assemblea a Roma verso il 23 marzo
Una affollata assemblea pubblica presso la Facoltà di Filosofia e Lettere della Sapienza, sabato 26 gennaio ha dato il via al percorso verso la manifestazione nazionale del 23 marzo a Roma contro le Grandi Opere.
Le esperienze territoriali di resistenza alla speculazione e allo scempio dei territori si sono confrontate a lungo per costruire la più ampia e allargata partecipazione al corteo di marzo.
Un filo rosso che ha unito moltissimi interventi è il collegamento tra la devastazione delle grandi opere nei territori e il cambiamento climatico. Questo collegamento è duplice: da un lato molte grandi opere sono basate sull’investimento nei combustibili fossili (Tav e Trivelle come esempi paradigmatici) e producono quantità considerevoli di Co2 attraverso la loro costruzione che è sempre molto impattante. Dall’altro, queste sono tutte opere irreversibili che violentano il territorio e lo rendono incapace di adattarsi alle trasformazioni in atto dovute del riscaldamento globale. Pertanto la manifestazione si configura come un momento per chiedere al tempo stesso giustizia climatica per tutt* e lo stop alla devastazione del territorio e alla sua messa a profitto.
Hanno partecipato all’assemblea anche vari membri della rete Genuino Clandestino, sottolineando il nesso esistente tra la speculazione effettuata dalle grandi opere e lo sfruttamento della terra operato dall’agricoltura industriale.
Sostegno all’iniziativa è venuto anche dal movimento Non Una di Meno, che ha sottolineato invece il collegamento tra violenza sul corpo delle donne e violenza ambientale.
Condiviso da tutti è l’attacco senza sconti all’attuale governo, di cui fa parte una compagine che ha spesso in passato appoggiato alcuni movimenti ecologisti e che ora ha voltato definitivamente le spalle all’ambiente per mantenere i propri equilibri politici con l’alleato leghista, ma più in generale con il gotha del capitalismo italiano.
Il corteo del 23 marzo quindi si prospetta come un grande appuntamento ecologista radicale, un appuntamento che manca in Italia almeno dai momenti di espansione massima del movimento per l’acqua pubblica, cioè il 2010/2013, anche se alcuni hanno lanciato un nesso anche con i movimenti antinuclearisti degli anni Ottanta. La consapevolezza collettiva è che non c’è alcuna alternativa riformista possibile, il sistema di sfruttamento e devastazione ambientale sul quale si basa il capitalismo è destinato a mettere fine alla vita sul pianeta e sono pochi gli anni rimasti per provare a cambiare rotta – secondo l’Onu sono solo 12.
Il corteo del 23 marzo vuole pertanto connettere energie e ribellioni per non arrendersi all’ineluttabile e rivendicare democrazia ecologica e sociale a partire dai territori.