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Nel nuovo videogioco di Ubisoft, Black Lives Matter è il nemico
Ubisoft ha pubblicato “Tom Clancy’s Elite Squad” il videogioco che combatte l’organizzazione terroristica “Umbra”, rappresentata dal pugno nero alzato e stilizzato, simbolo di Black Power prima e Black Lives Matter adesso. Chi sono coloro che danno parere sui videogiochi in uscita e quale è l’atteggiamento delle compagnie videoludiche?
A fine agosto la multinazionale di videogiochi (con base francese) Ubisoft ha pubblicato Tom Clancy’s Elite Squad per dispositivi mobili Android e iOS. Nel videogioco, guidiamo una squadra di agenti speciali che combattono contro un’organizzazione terroristica chiamata Umbra, rappresentata nel trailer introduttivo del gioco dal pugno nero alzato e stilizzato, simbolo adottato prima dal movimento Black Power e oggi da Black Lives Matter
L’immagine non è l’unica cosa che richiama il movimento: nel solito trailer introduttivo, Umbra è descritta come un’organizzazione senza volto che tenta di minare l’ordine mondiale sfruttando manifestazioni e social media (usati per attaccare i politici) e promettendo “una utopia egualitaria.” Mentre continuano le manifestazioni per l’omicidio di George Floyd, mentre a Kenosha si protestava dopo che Jacob Blake, il 23 agosto, è stato colpito ripetutamente, alle spalle, dai proiettili della polizia, Ubisoft entra nel dibattito con un videogioco esplicitamente costruito per metterci nei panni dei poliziotti che combattono contro l’organizzazione terroristica che starebbe alle spalle di queste manifestazioni, del movimento per i diritti civili e di Black Lives Matter. Poco conta che a giugno, come altre compagnie, Ubisoft abbia annunciato che avrebbe donato centomila dollari alla National Association for the Advancement of Colored People e Black Lives Matter e poco conta che sabato 30 agosto la compagnia si sia scusata e abbia promesso di rimuovere dal video introduttivo l’immagine del pugno alzato, come se il problema fosse la singola icona e non l’intera narrazione.
Su Twitter, due persone che hanno lavorato al videogioco come contractor esterni hanno spiegato di non essere stati a conoscenza del contesto narrativo del videogioco. E in molti hanno fatto notare che qualcuno avrà probabilmente provato a sottolineare il problema, per essere però totalmente ignorato perché non parte della ristretta cerchia che in uno studio di sviluppo di videogiochi ha diritto a esprimere opinioni su questa materia. Una ristretta cerchia che è, spesso, quasi interamente maschile, bianca, eterosessuale e cisgenere. Secondo quanto scoperto da Bloomberg, il video introduttivo sarebbe stato realizzato nel 2018. La scelta del pugno nero alzato, come ammesso da Ubisoft stessa, sarebbe dovuta alla volontà di usare «un simbolo universale di resistenza». Ubisoft non stava volontariamente attaccando il movimento Black Power o Black Lives Matter, ma voleva rappresentare genericamente i movimenti rivoluzionari mondiali come guidati da una agenda terroristica (un’accusa spesso rivolta a questi movimenti dai cospirazionisti di destra) e voleva realizzare un videogioco dove i governi combattono contro tali organizzazioni. Ora ci sentiamo tranquillizzati.
La serie Tom Clancy’s non è estranea a simili situazioni. Il marchio prende il nome dal romanziere e sceneggiatore cinematografico statunitense Tom Clancy, che nel 2008 ha venduto il marchio a Ubisoft per una somma ignota. Molte opere firmate da Tom Clancy (deceduto nel 2013) erano in realtà scritte da ghostwriter e i videogiochi della serie Tom Clancy’s sono spesso legati all’autore da cui prendono il nome solo a livello tematico: sono videogiochi ambientati in un futuro prossimo, con ambientazioni fantapolitiche, una spiccata feticizzazione per il complesso militare statunitense e contenuti reazionari.
Il romanzo Rainbow Six (1998), adattato da Ubisoft in una serie di videogiochi che continua anche oggi (l’ultimo è Tom Clancy’s Rainbow Six Siege del 2015), rappresenta agenti speciali provenienti da tutto il mondo nella loro lotta contro un’organizzazione di eco-terroristi. Lo spauracchio dell’eco-terrorismo, inesistente nella realtà (non esistono vittime o feriti dell’eco-terrorismo), è una delle armi usate da governi e multinazionali per criminalizzare l’azione dei movimenti ambientalisti. In Italia, l’accusa è stata mossa a membri del movimento NoTAV, colpevoli di aver dato fuoco a un compressore. Nel 2017 Ubisoft ha invece pubblicato Tom Clancy’s Ghost Recon: Wildlands, che ci mette nei panni di un gruppo di soldati americani impegnati a… invadere la Bolivia per salvarla dai narcotrafficanti che ne hanno preso il controllo. La Bolivia, uno Stato che nella realtà è riuscito a combattere il narcotraffico proprio cacciando via i soldati statunitensi dal suo territorio e regolamentando la coltivazione della coca. Il governo boliviano non è stato felice della rappresentazione nel videogioco, che ha causato una piccola crisi diplomatica con la Francia. Per non rischiare, Ubisoft ha ambientato l’episodio successivo di Tom Clancy’s Ghost Recon (Tom Clancy’s Ghost Recon: Breakpoint) in un luogo di fantasia.
Gli esempi potrebbero continuare. Ubisoft, da parte sua, ha sempre mantenuto un atteggiamento ambiguo, tipico delle grandi compagnie videoludiche, quando si è trovata a discutere i contenuti esplicitamente politici dei suoi videogiochi. In un’intervista a The Guardian, il co-fondatore Yves Guillemot ha affermato: «Il nostro obiettivo in tutti i videogiochi che creiamo è far pensare le persone. Vogliamo metterle di fronte a domande che non si pongono di solito. Vogliamo fare in modo che sentano diverse opinioni e che si formino la loro opinione. Il nostro obiettivo è dare a chi gioca gli strumenti per ragionare sull’argomento». Secondo Ubisoft, insomma, i suoi videogiochi possono anche avere temi politici, ma sono politicamente imparziali. Imparziali come il videogioco in cui gli USA devono salvare la Bolivia dal narcotraffico messicano, per dire.
In Tom Clancy’s The Division 2 interpretiamo un agente speciale intento a riportare l’ordine a Washington DC dopo un’epidemia dovuta a un attacco terroristico. Ciò significa sparare e sparare e sparare a tutti i “cattivi criminali” che vogliono saccheggiare la città prima che la saccheggiamo noi. Ubisoft è arrivata a promuovere il videogioco presso la stampa definendolo un’opera che mostra «che aspetto ha un vero shutdown del governo”»(all’epoca il governo americano rischiava uno dei suoi periodici blocchi delle attività amministrative, detti “shutdown” in inglese). Ma poi ha dichiarato che non starebbe «assolutamente facendo alcuna affermazione politica” e che “l’obiettivo non è fare dichiarazioni politiche o rappresentare qualcosa che sta accadendo nel mondo reale al momento». Ammettendo però, infine, che è una questione di affari. «Non possiamo essere apertamente politici nei nostri giochi», ha affermato Alf Condelius di Ubisoft Massive (sviluppatori di The Division). «Fa anche male agli affari, sfortunatamente, se volete sapere la verità».
Owlient, lo studio di Ubisoft che ha sviluppato Tom Clancy’s Elite Squad, è diretto da Charlie Guillemot, figlio di Yves Guillemot. Charlie Guillemot ha acquisito la direzione dello studio del 2014, appena dopo aver conseguito il suo “master degree” (che equivale più o meno alla nostra laurea magistrale), in un caso di nepotismo abbastanza tipico all’interno di Ubisoft, che negli anni nonostante la sua dimensione internazionale è rimasta gestita come un’impresa familiare, con al vertice la famiglia Guillemot e i suoi amici più vicini.
A questo modo di gestire Ubisoft si legano anche altre recenti controversie che hanno coinvolto la compagnia. Per proteggere alcuni potenti uomini al vertice dell’azienda e quindi molto vicini alla famiglia Guillemot, Ubisoft avrebbe ignorato diverse lamentele, inoltrate ufficialmente, per molestie e abusi, emerse finalmente a luglio quando l’industria mondiale del videogioco ha avuto un suo momento #MeToo. Le accuse, raccolte anche in questo caso da Bloomberg, descrivono Ubisoft come un club maschile dove le donne vengono sminuite e anche molestate sessualmente e dove non mancano commenti apertamente sessisti e razzisti. Quando le accuse sono diventate pubbliche e Ubisoft non ha più potuto ignorarle, Yves Guillemot ha promesso cambiamenti e ha allontanato le persone coinvolte.
Quello che è successo con Tom Clancy’s Elite Squad è solo un caso particolarmente spettacolare dello stretto rapporto tra videogiochi ad alto budget, feticizzazione degli apparati militari e glorificazione di fascismo e imperialismo. In questi giorni, la grande compagnia Activision sta pubblicizzando il nuovo episodio della sua serie Call of Duty, una delle principali serie di videogiochi per console, promuovendo teorie della cospirazione provenienti dalla Guerra Fredda. Il teaser di Call of Duty: Black Ops Cold War dedica molto spazio a Yuri Bezmenov, informatore del KGB che lasciò l’Unione Sovietica per l’Occidente, e a una sua intervista (reale) in cui racconta come i sovietici volessero destabilizzare gli Stati Uniti d’America tramite i movimenti per i diritti i civili. Più o meno la stessa teoria portata avanti da Tom Clancy’s Elite Squad e da chi pensa che ci sia un piano marxista, con lo scopo di distruggere l’Occidente, dietro il (lieve) aumento di personaggi femminili, di colore e appartenenti al mondo LGBTQ+ nei videogiochi.