EUROPA
Neil Datta: «L’offensiva antiabortista in Polonia è parte di una strategia globale»
Ordo Iuris, l’organizzazione anti-abortista polacca, tra le più attive promotrici della legge anti-aborto, fa parte di una rete ultraconservatrice attiva in Europa, ma nata in Brasile, la Tradition, Family and Property: una intervista a Neil Datta, segretario dell’European parliamentary forum for sexual and reproductive rights (EPF), un network di parlamentari europei, con base a Bruxelles, impegnati nella difesa dei diritti umani sessuali e riproduttivi, in Europa e nel mondo
«Quello che è successo in Polonia non è accaduto perché, come siamo abituati a pensare, la Polonia è tradizionalmente conservatrice e cattolica. Questa è solo una parte della storia. In realtà, la direzione che sta prendendo il paese è il risultato dell’azione deliberata di persone e organizzazioni specifiche, le quali agiscono non solo a livello nazionale, ma anche internazionale». A parlare è Neil Datta, il segretario dell’European parliamentary forum for sexual and reproductive rights (EPF), un network di parlamentari europei, con base a Bruxelles, impegnati nella difesa dei diritti umani sessuali e riproduttivi, in Europa e nel mondo. Da anni le ricerche di Datta sui cosiddetti movimenti anti-gender europei stanno guadagnando l’attenzione dell’attivismo e della ricerca internazionale.
A marzo dell’anno scorso, durante il Congresso Mondiale delle Famiglie (WCF) a Verona, il suo report Ristabilire l’ordine naturale, in cui si rivelavano obiettivi e strategie della rete europea di ultraconservatori Agenda Europa, è stato distribuito tra tutti i movimenti di protesta. Quest’anno ne ha pubblicato un altro, Modern-day crusaders in Europe. Qui Ordo Iuris, l’organizzazione anti-abortista polacca, tra le più attive promotrici della legge anti-aborto del 2016 (alla base della sentenza attuale), viene descritto come l’«antenna» in Polonia di una rete ultraconservatrice attiva in Europa, ma nata in Brasile, la Tradition, Family and Property. Lo abbiamo raggiunto al telefono, in una Bruxelles in pieno lockdown, per capire meglio quanto sta accadendo da una prospettiva transnazionale.
Le sue ricerche mostrano che i recenti avvenimenti polacchi, che hanno portato al divieto d’aborto anche in caso di malformazione del feto, non sono una questione locale, ma parte di una strategia più ampia che coinvolge anche attori internazionali. Può spiegarci meglio?
In Polonia, l’organizzazione maggiormente coinvolta nella promozione di leggi restrittive sull’aborto è la fondazione ultraconservatrice Ordo Iuris (Istituto di cultura giuridica della Fondazione “Ordo Iuris”). Fu Ordo Iuris a redigere la proposta di legge per vietare l’aborto nel 2016. Dallo studio dei suoi documenti fondativi, e dal controllo incrociato dei suoi membri con quelli di altre organizzazioni, sappiamo che Ordo Iuris è il rappresentante polacco, probabilmente quello più di successo, di una rete transnazionale di ultraconservatori chiamata Tradition, Family and Property (TPF). Fondata nel 1960 in Brasile dal politico e latifondista Plinio Corrêa de Oliveira, TFP riunisce insieme circa 40 organizzazioni di ispirazione cattolica e conservatrice, provenienti da tutti i continenti e unite da una visione e da obiettivi comuni.
Quali sono gli obiettivi di TPF?
TFP è nata come movimento ultracattolico, caratterizzato dalla fusione tra conservatorismo sociale e iper-liberismo economico e da anni di complicità con l’estrema destra, a partire dai regimi autoritari dell’America Latina degli anni ’60 e ‘70. Dall’America Latina, la TFP si è poi diffusa anche in Europa dove, a partire dalla morte del suo fondatore alla fine degli anni ’90, come molti altri movimenti anti-gender internazionali, ha iniziato un processo di rinnovamento, diventando una tra le reti europee più attive in Europa contro i diritti sessuali e riproduttivi delle donne e delle persone LGBTQI+. Oltre al caso dell’aborto in Polonia, negli ultimi anni abbiamo osservato il verificarsi di altri eventi riconducibili all’azione di TFP.
Nel marzo 2017, per esempio, l’allora Ministro degli Affari Esteri croato ha deciso di prendere posizione contro la SheDecides, un’iniziativa globale di raccolta fondi per la tutela dei diritti sessuali e riproduttivi e di dare istruzioni ai diplomatici croati per convincere altri Stati membri dell’Unione Europea (UE) a prendere una simile posizione. Qualche anno prima, nel 2013, una raccolta di quasi 40.000 firme (su una popolazione di 1,5 di abitanti, ndr) in Estonia contro le unioni omosessuali ha costretto il Parlamento a sospendere temporaneamente le deliberazioni sulle unioni civili. Entrambe queste azioni sono state orchestrate da organizzazioni che fanno capo a TFP: Vigilare in Croazia e Sihtasutus Perekonnaja Traditsiooni Kaitseks (SPTK-Foundation for theProtection of Family and Tradition) in Estonia.
Usando la sua terminologia, Ordo Iuris può essere quindi considerato un «attuatore nazionale» di TFP. Come agisce in Polonia?
Nata nel 2012 come un’organizzazione della società civile, in pochissimi anni Ordo Iuris è diventato una delle più grandi ONG della Polonia. Oggi è in grado di sviluppare sofisticati pacchetti legislativi con cui è capace di avanzare proposte di legge al governo, come quella per l’abolizione del diritto all’aborto del 2016. Inoltre, è in grado infiltrare i contesti in cui avvengono i processi decisionali. In Polonia, Ordo Iuris ha legami molto stretti con il partito al governo Diritto e Giustizia (PiS) e alcune delle persone che fanno parte di quest’associazione sono state nominate dal governo per ricoprire posizioni molto importanti. Un esempio è il fondatore di Ordo Iuris, Aleksander Stepkowski, il quale oltre a essere stato vice-ministro per gli affari esteri, è stato anche, in una nomina contestatissima, Presidente della Corte Suprema polacca.
E in che modo, invece, si muove a livello internazionale?
Innanzitutto, abbiamo scoperto recentemente che Ordo Iuris ha formato organizzazioni simili in altri paesi: in Estonia, Slovacchia, Svizzera, Croazia e i Paesi Bassi. Oltre a veder comparire sempre gli stessi nomi nei loro board, siamo anche risaliti a delle transazioni finanziarie che vanno dalla Polonia alla Lituania e alla Slovacchia. Si tratta di somme importanti per un’organizzazione polacca, anche 100.000 euro in un anno, che ci fanno dedurre che stanno preparando il campo per azioni simili in altri paesi. In secondo luogo, utilizzano strategie legali come l’apertura di contenziosi e s’impegnano in attività di advocacy presso organismi che si occupano di diritti umani a livello nazionale, europeo e internazionale.
Nel febbraio 2017, Ordo Iuris ha ottenuto lo status consultivo presso le Nazioni Unite e a maggio 2017 ha registrato una sede nel distretto dell’UE a Bruxelles. A ottobre 2018, con il sostegno di altre organizzazioni est-europee affiliate a TFP, ha presentato al Parlamento europeo un’alternativa alla Convenzione di Istanbul contro la violenza sulle donne e la violenza domestica, la Convenzione sui diritti della famiglia. In Polonia, infine, Ordo Iuris si è presentata ai tribunali polacchi, fino a espandere la sua causaa livello internazionale, sostenendo con successo il caso di una cittadina norvegese che richiedeva l’asilo in Polonia per sottrarsi ai servizi sociali che volevano toglierle la figlia.
Dalle sue ricerche emerge che, oltre a TFP, Ordo Iuris è legato anche a un’altra rete informale nata nel 2013 nel contesto delle istituzioni europee: Agenda Europa. Ma chi finanzia queste organizzazioni?
È molto difficile trovare informazioni riguardo ai loro fondi. Da una parte, molti dei loro donatori vogliono restare nell’anonimato; dall’altra le organizzazioni stesse nascondono i loro finanziatori o mentono apertamente al riguardo. Tuttavia, sempre più informazioni stanno venendo alla luce. Innanzitutto, come mostra un articolo di Open democracy uscito di recente, molti dei loro soldi provengono dalla destra cristiana statunitense. Ma non solo. Se infatti si analizza il sistema, si capisce che a farne parte sono anche miliardari statunitensi, molto vicini al partito repubblicano e spesso suoi grandi donatori. Una di queste famiglie è quella di Betsy DeVos, segretario dell’istruzione durante l’amministrazione Trump e titolare di una fondazione. Quindi queste famiglie creano negli Stati Uniti delle fondazioni, le quali a loro volta danno soldi a think-thank e ONG che li spendono in Europa. Possono spendere questi soldi in due modi. O via partner, ovvero associandosi con delle organizzazioni europee locali e pagando per organizzare dei meeting; oppure stabilendo direttamente dei propri uffici in Europa.
Un esempio di questo secondo tipo è l’European center for law and justice (ECLJ) e Alliance Defending Freedom (ADF), entrambe con sede anche a Bruxelles. Un’altra risorsa di fondi è la Russia – e quando dico Russia intendo più che altro individui che agiscono privatamente, oligarchi vicini al Cremlino dalle idee sovraniste e religiosamente conservatrici, i quali creano delle fondazioni che utilizzano poi i loro fondi in Russia e in altri paesi europei. Tra questi, i più importanti sono Vladimir Yakunin, un oligarca che ha creato una fondazione chiamata Istoki (in russo “origini”, ndr), con la quale ha finanziato il movimento anti-abortista Sanctity of Motherhood Programme, e Konstantin Malofeev, intellettuale di estrema destra, che ha una sua fondazione chiamata St. Basil the Great Charitable Foundation. Entrambi, oltre a essere molto vicini alla chiesa ortodossa russa, creano alleanze con partiti politici europei, soprattutto di estrema destra. Per fare un esempio, Malofeev e i rappresentanti della sua fondazione parlano regolarmente alle riunioni della Lega in Italia o di Vox in Spagna.
E in Europa?
Per quanto riguarda i fondi europei, sono più difficili da tracciare, in quanto in molti stati le organizzazioni non sono obbligate a dichiarare la provenienza dei loro finanziamenti. Per esempio, abbiamo cercato di identificare in Italia i fondi di Movimento per la vita, ma a causa di queste norme non ci siamo riusciti. Tuttavia, qualche informazione c’è, da cui abbiamo potuto stabilire una frequente prossimità tra molti attori anti-gender e individui ricchi. In Italia, per esempio, quando ebbe luogo il WCF a Verona, sempre Open democracy scoprì che tra i suoi sponsor vi erano cittadini privati italiani. In Spagna possiamo vedere che ci sono organizzazioni come CitizenGo legate a miliardari spagnoli. Altre organizzazioni, infine, hanno persone molto ricche nei loro board a cui non costa niente chiedere aiuti finanziari in caso di necessità. Una specificità europea, rispetto per esempio agli Stati Uniti, è che molte di queste persone sono ex aristocratici, principi, contesse, arciduchi, ora privi di potere politico. Infine, molti gruppi europei ottengono anche fondi pubblici. Quello che osserviamo, più studiamo i diversi paesi, è che un certo numero di attori nazionali diventano capaci di prendere fondi dalle risorse pubbliche. Lo scorso anno uscì un articolo su “El País” in cui si mostrava come alcune organizzazioni spagnole avessero ottenuto finanziamenti direttamente dallo stato spagnolo o dalle differenti regioni autonome, spendendoli nei cosiddetti Crisis pregnancy counsellings (CPC). Pernon menziona i fondi erogati da governi illiberali come la Polonia, il cui governo finanzia apertamente organizzazioni anti-gender e contro i diritti umani.
A livello europeo, o meglio come European parliamentary forum for sexual and reproductive rights, come avete risposto a quanto stava accadendo in Polonia?
Dopo un confronto con i membri del Parlamento polacco e con gli attivisti locali, abbiamo organizzato una petizione da inviare alle élites polacche: al Presidente, al primo ministro e allo speaker del Parlamento. Nella lettera abbiamo espresso le nostre rimostranze. Vietare l’aborto in caso di malformazione del feto è una pratica tanto più inumana in quanto, in questi casi, la decisione d’interrompere la gravidanza è raramente presa della donna in modo volontario. Il più delle volte, infatti, la donna avrebbe voluto la gravidanza, ma per alcune ragioni questa non è più possibile. Forzarla a portarla avanti è terribile. La lettera è stata firmata dai parlamentari di circa venti o trenta paesi, incluse in Italia Laura Boldrini e Lia Quartapelle. Sapevamo che avrebbe avuto un impatto irrisorio, ma era utile per registrare la preoccupazione della comunità internazionale per questa decisione e per dare supporto ai nostri alleati nel Parlamento polacco e nella società civile. Laura Boldrini e Lia Quartapelle hanno scritto anche al Ministro italiano per gli affari esteri, chiedendo di registrare le loro preoccupazioni e chiedendo di agire nel modo opportuno.
In che modo le società civili europee possono rispondere a questo fenomeno?
Innanzitutto, devono capire di essere di fronte a un pericolo reale che ci riguarda tutti. Non è una questione polacca, ma riguarda potenzialmente ogni paese europeo, in quanto in ognuno esistono e agiscono organizzazioni anti-gender, che a seconda dell’opportunità politica possono trovare più o meno ampi margini d’azione. In secondo luogo, è importante prendere atto che siamo di fronte a un movimento nuovo, diverso dai movimenti pro-family o pro-life con cui abbiamo avuto a che fare nei decenni precedenti e che ha delle strutture professionali capaci di agire a livello nazionale e internazionale. Un terzo aspetto da tenere presente è che gran parte di queste organizzazioni non si sentono vincolate alle nostre stesse regole democratiche. Questa è una cosa molto importante perché potrebbero emergere contestazioni in aree che avevamo pensato come consolidate. Per esempio, le mobilitazioni di questi gruppi contro la Convenzione di Istanbul sono state sorprendenti anche per me. Pensavo che sulla violenza contro le donne avessimo trovato un ampio consenso e non avrei mai immaginato che saremmo stati coinvolti in contestazioni di questo tipo, anche in paesi che l’avevano già ratificata.
Bisogna imparare a pensare che il progresso in termini di diritti umani non è ineluttabile, le cose possono tornare indietro, sui diritti si può retrocedere. E così anche sulla democrazia e sullo stato di diritto, basti pensare che la Corte che ha emesso la sentenza in Polonia è stata sottoposta a procedura d’infrazione da parte dell’Unione europea, in quanto i giudici che ne facevano parte erano stati scelti direttamente dal PiS senza alcun rispetto per il principio d’indipendenza della magistratura. Per questo è sempre più necessario formare delle reti transnazionali tra le società civili dei diversi paesi, per scambiare informazioni, perché una cosa è certa: quando questi movimenti producono un’iniziativa in un paese, quella in poco tempo emergerà anche da altre parti. Le tattiche e le strategie di questi movimenti sono le stesse e mettendoci in rete sarà più facile riconoscerle in tempo.
Alcuni critici potrebbero dire che vuole limitare la libertà di espressione di chi la pensa diversamente da lei e che, in fondo, queste organizzazioni non fanno altro che le stesse cose fatte anche dai movimenti progressisti: creare reti su obiettivi comuni, cercare d’influenzare i processi legislativi e politici…
Rispetto alla libertà di espressione, io credo che essi abbiano tutto il diritto di dire ciò che vogliono, e anzi li incoraggerei a dire ancora di più. Più informazioni daranno, più saremo in grado di valutare fino a che punto le loro posizioni sono inaccettabili. Tuttavia, non si può non considerare che molte di queste organizzazioni, per esempio negli Stati Uniti, sono classificate come gruppi d’odio, in particolare contro le persone LGBTQI+. Il diritto alla libertà di espressione non significa impunità rispetto a ciò che si dice. In secondo luogo, queste organizzazioni parlano spesso di diritti umani e libertà, ma al contrario lavorano per danneggiarli ed è importante che sia il pubblico più ampio che i decisori politici ne siano informati. Infine, per quanto riguarda queste stesse organizzazioni, quando dicono che fanno le stesse cose dei movimenti progressisti, è vero, perché questo è esattamente parte della loro strategia.
Ciò in cui però differiscono dalle organizzazioni progressiste è che cercano di nasconderlo, mentendo apertamente su ciò che fanno e su chi sono. Si presentano al pubblico come gente dai buoni propositi, ma a porte chiuse si stringono la mano con l’estrema destra e i fascisti, con cui condividono gli stessi obiettivi. Non l’avrebbero mai fatto apertamente e, ora che lo sappiamo, sono obbligati a vivere le conseguenze di tutto questo.
A Maggio 2021 Neil Datta sarà uno dei relatori della conferenza internazionale Your body is a battleground: ultra-conservative strategies to restore a “natural” order, organizzata a Francoforte dal museo d’arte contemporanea Frankfurter Kunstverein Museum e dal centro di ricerca Normative Orders della Goethe University.
Immagine di copertina: Tommaso De Felice