DIRITTI
Neanche cinque minuti di vergogna
Se il Sap applaude per cinque minuti gli assassini di Federico Aldrovandi.
Le pagine di cronaca dei quotidiani nazionali e non, sono piene di abusi e atti di violenza perpetrati dalle forze dell’ordine. Dopo le immagini di un poliziotto che calpestava una manifestante il 12 aprile le istituzioni si erano affrettate a parlare di “mele marce” e “cretini”. La verità è che le istituzioni nei fatti coprono l’operato delle forze dell’ordine, e i poliziotti tra di loro si coprono e si difendono, in un malinteso senso di solidarietà di corpo e forti del privilegio della propria immunità.
Il 25 settembre 2005, Federico Aldrovandi, un ragazzo di diciotto anni, viene massacrato di botte e ucciso senza nessun motivo da quattro poliziotti mentre stava tornando a casa. Dopo anni di favoreggiamenti, depistaggi e omissioni da parte dei loro colleghi che hanno tentato di coprirli in tutti i modi, vengono condannati a sei mesi di carcere. “Scontata” la loro pena, tornano in servizio nel gennaio 2014. Il 29 aprile 2014, a un congresso del Sindacato autonomo di polizia, un lungo applauso viene dedicato al valore dei “quattro colleghi”, perché è vergognoso che si condannino i tutori della legge. Cinque minuti di applausi, mani che si fanno rosse e qualcuno che quasi quasi si commuove pensando ai colleghi. Presenti anche gli ex ministri Giorgia Meloni, Ignazio La Russa, l’inquisito per peculato Maurizio Gasparri e Lara Comi, che così rivela, oltre la nota stupidità, anche la sua gentilezza d’animo.
Le istituzioni piangono le solite lacrime di coccodrillo, si sprecano i messaggi di solidarietà a Patrizia Aldrovandi e le condanne dei quei cinque minuti di applausi arrivano quasi unanimi.
Come mele marce vennero sempre definiti quei poliziotti che, alla manifestazione del 12 aprile, si divertirono a picchiare con gusto gente stesa per terra, forti del fatto che, grazie al loro abbigliamento, è molto difficile risalire alla loro identità. Quel giorno, in realtà, non ci furono, come molto spesso vertici di polizia e di partito vogliono far credere, gesti isolati di qualche “cretino”: le forze dell’ordine in toto attuarono una pratica di violenta repressione nei confronti di tutto il corteo, usando manganelli rigirati e colpendo a suon di calci e pugni al volto chiunque gli si parasse davanti. Come sempre accade però l’atteggiamento e il comportamento delle forze dell’ordine difficilmente è riconducibile al gesto di un singolo, ma si prepara in un clima e in humus ben preciso, organizzato e favorito dai piani alti. La differenza è stata che qualcuno è stato scoperto. Tanti altri, hanno agito impuniti al riparo dalle telecamere.
Come sono stati filmati gli assassini di Riccardo Magherini, morto per strada durante un fermo di polizia e i cui segni sul corpo non lasciano adito a nessun dubbio sulle cause del decesso. Dopo averlo immobilizzato, i quattro carabinieri hanno iniziato a riempirlo di calci all’addome e alla testa. A nulla sono valsi gli interventi dei passanti che hanno provato a farli smettere, anzi: l’azione intimidatoria dei quattro operatori delle forze dell’ordine, si è poi rivolta verso di loro, iniziando a minacciarli e chiedendo i documenti a chiunque tentasse di porre fine a quello scempio.
Viviamo in un paese dove se ti dovesse mai capitare di andare a una manifestazione o di essere fermato dalla polizia, non sai mai se riusciresti a uscirne con le ossa tutte al loro posto. O vivo. Lo sanno Federico Aldrovandi, Stefano Cucchi, Giuseppe Uva, Aldo Bianzino, Niki Aprile Gatti, Carlo Giuliani. Lo sanno le donne stuprate nelle caserme. Lo sanno i migranti, su cui è più facile accanirsi perché giuridicamente più deboli. La retorica delle “mele marce”, dei “cretini”, non regge più da tempo ormai: per molti che si rendono protagonisti di questi atti di violenza e di questi assassinii, c’è dietro una cultura ben precisa dell’ordine pubblica e la garanzia della sostanziale impunità. Così è d’obbligo provare empatia, riconoscersi in quei poliziotti responsabili della morte di un giovanissimo ragazzo che rientrava a casa di notte. Perché si sa, un Federico Aldrovandi, sarebbe potuto capitare per le mani a tutti.