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Mutaforma Santarcangelo

Come vivere insieme? Al festival dei teatri di Santarcangelo è stata una domanda ricorrente. Alla ricerca delle alternative al governo tossico della pandemia

Sono tornato al Festival dei teatri di Santarcangelo mentre il regime psicopolitico depressivo generato dal governo della pandemia stava curvando di nuovo verso quello psicotico: Tutto aperto/Tutto chiuso; Si vax/No vax; Libertà/Controllo; Euforia/disforia e così via. Il passaggio da un polo all’altro rallenta o si velocizza man mano che l’ondata del Covid cresce o decresce. Invece di rafforzare la solidarietà e socializzare le tutele e le ricchezze, questo sistema delle ingiunzioni paradossali moltiplica le paure e individualizza le colpe. Il modo in cui è gestita la crisi pandemica ha intensificato all’inverosimile una logica già conosciuta dall’individuo neoliberale. Si promette un’immunizzazione dal virus permetterà il ritorno alla produttività totale di una società di individui, mentre questa immunizzazione moltiplica nuove gerarchie e diseguaglianze.

Invece di immunizzarci da un eccesso di immunizzazione, rafforzando ciò che abbiamo in comune rispetto all’immune, si separano gli esseri umani tra loro e si nega la loro fondamentale esposizione verso l’altro e l’improprio.

Il primo effetto di questo arrocco è stato la cancellazione delle cause sociali che hanno provocato la pandemia. C’è una convergenza tra i filosofi libertariani e i governanti di ogni colore: dai primi il virus è inteso come un’eccezione. Dagli altri come uno “choc esogeno”: un alieno venuto dallo spazio. Da punti di partenza diversi arrivano allo stesso risultato: considerare il virus un incidente, non il prodotto della famiglia dei coronavirus generato dall’agrobusiness, delle monoculture animali e delle deforestazioni che provocano i salti di specie e l’esplosione di nuove malattie. La specialità del capitalismo è rendere invisibili le cause delle sue crisi. Entrambi svolgono il suo lavoro.

Sovrimpressioni di Francesca Tresoldi

Mutaforma

In quest’aria tossica ho trovato salutare l’invito di Daniela Nicolò ed Enrico Casagrande, registi dei Motus e curatori anche di questa ultima edizione del Festival di Santarcangelo, a pensare a nuove forme di individuazione politiche, sociali, estetiche. La parola che hanno scelto per rendere possibile questo esercizio politico è “Mutaforma”.

Mutaforma è un neologismo. Viene dall’inglese “Shapeshifter”. Ha una lunga storia nella letteratura, nella mitologia. Da qui è possibile creare nuove genealogie o creare connessioni inaspettate tra umani e altre creature.

Noi siamo già Mutaforma. Non si tratta di inventarla, ma di esercitarla in una causalità immanente. Non c’è un tutto (l’Umano) superiore alle parti (l’Animale, il Vegetale ecc). Il tutto è invece interno al tutto. Il suo divenire è la sintesi disgiuntiva dei singoli divenire molteplici che si scontrano e incontrano modificandosi. Questo significa che nessun individuo agisce da solo. Non siamo i buoni esecutori del copione che ci obbliga a essere padroni di quel deserto chiamato “Io”. Siamo il frutto di assemblaggi di altri individui, specie organiche e attori abiotici. L’individuo non è il terminale dell’individuazione, ma uno dei modi del divenire. Non è un assoluto in sé, ma è una relazione tra forze. Individuo è una molteplicità di molteplicità in un processo di differenziazione tra generi, specie e esperienze.

Divenire con, metamorfosi

Mi sono messo in ascolto degli echi prodotti dalle ultime opere della filosofa più letta negli ultimi mesi: Donna Haraway. I suoi libri li ho trovati citati nel disegno del Festival, nei talk e altrove. Il suo invito a creare parentele (“Make kin”), cioè connessioni inventive, e non stabilire gerarchie tra specie e generi (“kind”) era sottinteso a una delle domande più ricorrenti in questi giorni: come vivere insieme oggi? La parentela (“kin”) è spesso l’opposto della genere o della specie (“kind”). Non significa necessariamente essere biologicamente imparentati, ma stare in un processo di differenziazione che produce esiti impensabili all’inizio.

Il gioco linguistico tra “kin” e “kind”, fatto da Haraway, è interessante perché individua nella riduzione del mondo alla parentela con l’umano l’origine del dominio che si intende esercitare oggi in nome di un’identità pura, ricavata su un modello di Uomo, Famiglia e Gerarchia.

Stare dentro i problemi (Staying with the Troubles è il titolo inglese di un libro di Haraway) non significa fare da perno evanescente tra passati terribili o edenici e futuri apocalittici o salvifici, ma agire come creature politiche intrecciate in una miriade di configurazioni non finite di luoghi, tempi, significati. L’obiettivo è creare alleanze tra i disparati, evitando di ontologizzare le identità. Se la politica che rimuove la sua connessione vivente è nefasta, se invece è ridotta alla biologia genera mostri. La Mutaforma non è né l’una, né l’altra.

Mutaforma è il risultato delle nuove epistemologie politiche della natura sulle quali ragionano le filosofie e le estetiche non sequestrate dal soggettivismo dominante. Mi chiedo se, giunti a questo punto, non sia il caso di lasciare il lessico della parentela, della filiazione o della biologia e scegliere quello della politica e del divenire. In questa prospettiva la critica dei ruoli e delle gerarchie stabilite dall’ontologia può farsi pratica e mettere in discussione anche i criteri che giustificano l’ingiusta attribuzione di profitti, ruoli, status, saperi e superano la divisione tra governanti e governati o tra proprietari e non proprietari.

Io Non Sono Nessuno di Emilia Verginelli (foto di Claudia Pajewski)

Tale possibilità che non è data, né acquisita, una volta per tutte. “Stare dentro il problema” significa fare i conti fino in fondo con una prospettiva non pacificata. Non lo è oggi quando affrontiamo il tremendo, non lo sarà nemmeno domani. La Mutaforma è divenire con, metamorfosi.

Liberazione

Mi sono così trovato a guardare il teatro non dal punto di vista del critico teatrale che discute se uno spettacolo è riuscito o meno e risponde agli sfuggenti criteri dell’autorialità, ma da quello di una filosofia del presente che parte dalla critica di quella che Kant ha definito la concezione terrorista della fine del mondo. Con questa espressione il filosofo tedesco descriveva il millenarismo o il chiliasmo medioevale: il terrorista morale pensa che l’agire produce l’annientamento e solo un Dio lo salverà dopo l’apocalisse. Quello moderno vive in un mondo senza riscatto e intende la vita come una «farsa» alla quale partecipa «l’intero spettacolo del commercio che la nostra specie ha con se stessa su questo globo». Così egli si dispera tra una salvezza desiderata e una impossibile.

tO liVE – we dIED di Va-Bene Elikem Fiatsi (foto di Sara Farid)

Il nichilismo che attraversa i discorsi estetici, filosofici, politici o ecologici sono il risvolto di questa impotenza. Di solito si pensa che non ci sia più nulla da fare, perché la potenza è estinta. Credo invece che oggi ci sia una sovrabbondanza di potenza ed è usata per negare la possibilità di una liberazione. Questi discorsi servono a giustificare a rovesciare la potenza nel suo opposto e a usare la liberazione contro se stessa. La Mutaforma rovescia questa impostazione e prospetta un uso diverso della potenza.

Futuro fantastico

Una sintesi l’ho trovata di nuovo nella scritta al neon blu che ha illuminato la notte del parco Baden Powell a Santarcangelo: “Futuro fantastico”. L’espressione va intesa in maniera ambivalente, frutto dell interregno in cui ci troviamo, sospesi tra una potenza non usata e un suo uso impotente. Il “fantastico” che si prospetta nell’apocalisse capitalista è “orrendo”. L’uso sarcastico della parola è comprensibile nell’espressione: «Ammazza, proprio un futuro “fantastico”».

Ma “fantastico” va inteso anche nel senso proprio della categoria estetica: straordinario, inconsueto, fuori della norma, creato dalla fantasia, favoloso.

“Fantastico!”, ora nel senso di “meraviglioso”, “sorprendente”. nella creazione, e nella pratica artistica, lo spettatore emancipato riconosce in questa espressione l’emersione di un’azione originale, la sua concreta e materiale bellezza che si dà nella relazione. Tutto quello che il pensiero apocalittico rimuove torna nella concezione e nell’esecuzione di un attore o un’attrice. Nel tempo della rinuncia anche alle armi della critica questo movimento sorgivo cerchiamolo nella vita e nei suoi teatri.

Immagine di copertina dalla performance Betty Apple, IT ME – ITME — TIME (Travel)