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MONDO

Museums are not neutral e lo scandalo Sackler

Negli Stati Uniti, la maggior parte dei musei conta sulla filantropia privata. Fra i tanti finanziatori c’è anche la famiglia Sackler, che ha accumuato un patrimonio enorme con farmaci che hanno causato la morte di migliaia di persone

Quando nel 2020 scoppiò la rivolta di Black Lives Matter, la maggior parte dei musei negli Stati Uniti mostrò il proprio sostegno ai manifestanti tramite le proprie pagine Instagram e Twitter, scatenando però la reazione opposta. Moltissimi commenti infatti criticavano quelle che sembravano dichiarazioni circostanziali. «Do BLM matter on your curatorial team or board? Do they matter in your collections and shows? you have to earn the right to say Black Lives Matter». Effettivamente l’ipocrisia di istituzioni che da anni vengono supportate economicamente dagli ingenti fondi dei cosiddetti white donors non è una novità.

Negli Stati Uniti, la maggior parte dei musei conta sulla filantropia privata, rendendo questi ultimi luoghi facilmente compromettibili alla sfera politica. Il public cultural funding americano è pressoché inesistente e musei come il MOMA devono necessariamente ricorrere a denaro proveniente da fondi privati, rafforzando di fatto un sistema che si autoalimenta e che solo apparentemente regala ingenti fondi all’arte.

La maggior parte delle istituzioni culturali negli Stati Uniti gode dello status di organizzazione no-profit, quindi esente da imposte. Non avendo l’obbligo fiscale di dichiarare la provenienza dei fondi, spesso queste operazioni vengono svolte in modo poco trasparente. In più, nella maggior parte dei casi, sono i ricchi finanziatori a decidere come questi fondi devono essere spesi. Tutto ciò ovviamente non fa altro che alimentare la privatizzazione di istituzioni culturali e aumentare la gerarchia sociale. I consigli di amministrazione di queste medesime organizzazioni no-profit hanno due funzioni essenziali: la prima è una responsabilità fiduciaria generale che assicura il rispetto delle norme governative e della missione, mentre la seconda è la selezione del direttore. Il consiglio di amministrazione è solitamente composto da volontari facoltosi che vogliono sostenere l’istituzione. Tutto ciò crea un grosso divario tra il personale museale e i consigli di amministrazione e, come ribadisce la curatrice Helen Molesworth, «l’infiltrazione del no-profit nelle logiche del mondo for profit ha portato a una divergenza tra i valori di chi dona e di chi lavora. Alla luce di questi sviluppi, quanto possiamo stupirci di trovare un divario tra donatori e lavoratori che sembra quasi insormontabile?».

Dati alla mano, solo il 24,4% dei finanziamenti all’arte proviene dal governo, mentre il restante 36,5% proviene da donazioni di beneficenza, il 27,6% da redditi da lavoro e l’11,5% da redditi da capitale. Nel suo libro Lo Squalo da 12 milioni di dollari, l’economista Donald Thomson affronta brillantemente il tema del capitalismo culturale, prendendo come esempio il milionario Ron Lauder, uno degli uomini più ricchi d’America nonché fondatore dell’omonima azienda di bellezza Estée Lauder che assicura un fatturato annuale di circa 6 miliardi di dollari. I Lauder, pur avendo la propria collezione personale alla Neue Gallery di New York, contribuiscono con diverse donazioni annuali a svariate istituzioni museali, tra cui il Met, che solo nel 2020 ha ricevuto 91 opere d’arte provenienti dalla collezione Lauder.

Il concetto di benefattori esterni con un’intensa passione per l’arte è tipica di un sistema sociale ormai datato e genera una situazione in cui il valore culturale degli artisti è dettato da quello economico e le voci di una comunità finiscono per essere ignorate. Anche il Museo d’Arte Moderna di New York è stato fondato da tre ricchi mecenati e talvolta ha faticato a mantenere la linea progressista, che era il pilastro della sua esistenza.

Tuttavia, negli ultimi anni ci sono state svariate proteste in merito, tra cui la campagna Strike MoMa, guidata dal gruppo International Imagination of Anti-National Anti-Imperialist Feelings, che ha visto gruppi di artisti e di intellettuali ripensare l’istituzione artistica senza il suo imperialismo. Tra i nodi centrali vi era quello di portare l’attenzione su diversi aspetti dell’aggressione perpetrata dalla élite dei finanziatori del MoMA, dall’estrazione dell’oro nella Repubblica Dominicana all’occupazione israeliana della Palestina.

Nel 2019, gli artisti Hannah Black, Ciarán Finlayson e Tobi Haslett hanno scritto una dichiarazione per “ArtForum” in cui criticavano il Whitney Museum per aver accettato ingenti donazioni dall’allora membro del consiglio di amministrazione Warren Kanders, la cui azienda, Safariland, fornisce regolari forniture militari alle forze di polizia statunitensi, compresi i gas lacrimogeni usati contro i manifestanti. Una delle proteste, inscenata al Metropolitan Museum of Art, chiedeva che il museo smettesse di accettare fondi dalla famiglia Sackler.

Le rivolte che unirono artisti, dipendenti dei musei, storici dell’arte, giornalisti, ecc. portarono i musei a ripensare i nomi delle gallerie dedicate all’omonima famiglia. Brutalmente definiti dal “New Yorker” come «The family that built an empire of pain», i Sackler furono una delle più grandi dinastie filantropiche americane. Nati a Brooklyn, i fratelli Arthur, Mortimer e Raymond, tutti e tre laureati in fisica, sono noti per aver donato negli anni ingenti somme di denaro a un’ampia gamma di istituzioni, tra cui Harvard, il Guggenheim, il Louvre ecc., molte delle quali hanno dedicato intere sezioni ai ricchi finanziatori. In particolare, l’ala nord del Met, che include il tempio di Dendur (pezzo forte del museo), era nota ufficialmente come The Sackler Wing. Dopo la morte dei tre fratelli, i figli portarono avanti l’attività di filantropia intrapresa dai genitori.

Oggi si stima che i Sackler siano una delle famiglie più ricche d’America, con un patrimonio di circa tredici miliardi di dollari. Mentre la loro attività di beneficenza è sempre stata sotto i riflettori, il vero family business è passato sottobanco. Fondatori dell’azienda farmaceutica Purdue Pharma, la prima a sviluppare il farmaco OxyContin, non casualmente noto come “l’eroina dei poveri”, i Sackler sono accusati di essere responsabili della morte di centinaia di migliaia di persone negli Stati Uniti.

Il farmaco oppioide a base di ossicodone iniziò a essere prescritto dagli anni Novanta come semplice antidolorifico per dolori cronici, portando alla dipendenza moltissimi pazienti. In una delle prime campagne pubblicitarie l’OxyContin era infatti presentato come un farmaco non assuefacente, in grado di trattare una grande varietà di problemi e malattie, commercializzato per anni ai medici come una «panacea resistente alla dipendenza per ogni tipo di dolore persistente».

In realtà l’ossicodone, ha un potere analgesico simile a quello della morfina ed è solitamente usato nel trattamento del dolore di origine oncologica. Infatti, mentre inizialmente milioni di persone si giovarono di un sollievo immediato da un dolore straziante, altri ne diventarono talmente dipendenti da avere delle vere e proprie crisi d’astinenza tra una dose e l’altra.

Si stima che dal 1999 furono circa 200.000 i decessi da overdose dovuti al farmaco. Spesso molte delle persone che diventavano dipendenti da ossicodone, non riuscendo più a ottenere il farmaco tramite ricetta, passavano all’eroina. Secondo la American Society of Addiction Medicine, oggi quattro su cinque persone che consumano eroina, hanno sviluppato la dipendenza come conseguenza di quel farmaco.

Mentre fino a poco tempo fa non era difficile trovare il nome della famiglia Sackler in associazione a importanti istituzioni accademiche o museali, quest’ultimo non compare mai in relazione alla casa farmaceutica e negli anni, la famiglia ha rilasciato pochissime dichiarazioni in merito alla crisi. In una delle poche interviste rilasciate nel 2019 a “Vanity Fair”, David Sackler afferma che il reale problema legato ai silenzi della sua famiglia era la manipolazione della narrativa sulla vicenda.

La causa che è conseguita allo scandalo si sta risolvendo solo in questi giorni ed è recente la notizia che vede la famiglia Sackler assolta dalla Corte suprema americana. I miliardari proprietari dell’azienda farmaceutica saranno protetti da eventuali cause legali legate a oppioidi, in cambio di un accordo da 6 miliardi di dollari.

Oggi davanti alla Corte Suprema tra i manifestanti ci sono anche le famiglie e i genitori di alcuni dei ragazzi che non ci sono più. Tra questi c’è Dede Yoder, la madre di Chris, a cui fu prescritta l’OxyContin a 14 anni dopo un intervento. Chris Yoder morì nel 2017 all’età di 21 anni.

Lo scandalo della famiglia Sackler, è stato condiviso in prima persona dall’artista Nan Goldin, sul palco di uno degli eventi dei Saloni R&S organizzati da Paola Antonelli, dove artisti e intellettuali condividono le loro riflessioni su ciò che accade nel mondo. Logicamente quando l’origine del reddito diventò di dominio pubblico e le proteste iniziarono a farsi sentire, le istituzioni culturali note per aver regolarmente accettato fondi dai Sackler come il Met, l’American Museum of Natural History, la Washington DC Gallery (che aveva da poco ricevuto 4 milioni), il Guggenheim di New York, la Tate Modern, la National Portrait Gallery di Londra e il Louvre furono prese di mira. Goldin fu una delle prime a protestare. Artista affermata, usò la sua figura per portare avanti la rivolta davanti al Metropolitan Museum nel marzo 2019, con uno slogan che recitava: «Siamo qui per puntare il dito contro la famiglia Sackler, che è diventata sinonimo di crisi degli oppioidi». Nel 2018 l’artista ha guidato la protesta in cui gli attivisti lanciavano finti flaconi di medicinali sul Tempio di Dendur, proprio nell’ala egizia sotto il nome di Sackler. Fece la stessa cosa al Guggenheim, facendo rotolare i flaconi giù per le scale a chiocciola.

Tra il 2019 e il 2022 il Metropolitan Museum, il Louvre, la Tate, le Serpentine Galleries di Londra, Kettle’s Yard a Cambridge, Kew Gardens, la Sussex University, l’Imperial College di Londra e la Shakespeare’s Globe hanno rimosso il nome Sackler dalle proprie mura.

Nell’aprile 2023 il gruppo PAIN, fondato da Nan Goldin, manifesta all’interno dell’Harvard Museum. Tra gli artisti influenti a portare avanti le proteste ricordiamo anche Richard Serra e Kara Walker. È solo grazie a queste recenti proteste che le istituzioni museali statunitensi hanno iniziato a rifiutare i fondi a seconda della loro provenienza. Analogamente a quanto accaduto con la famiglia Sackler, nel 2018 il Brooklyn Museum e il Met hanno restituito i fondi ricevuti dal regime saudita, accusato dell’assassinio del giornalista Jamal Khashoggi a Istanbul.

Tutte queste vicende confermano la non neutralità dei musei. D’altronde, citando Roland Barthes, il colore neutro macchia il pavimento come qualsiasi altro colore.

L’immagine di copertina è di Manfred Werner su Wikimedia Commons

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