ITALIA
In piazza per il futuro: le sfide dei movimenti ambientalisti in Italia
Comincia la settimana di mobilitazione e si avvicina lo sciopero del clima: una conversazione sulla crisi climatica e sulle lotte ecologiste con tre attiviste e attivisti dei movimenti ambientalisti emergenti in Italia
Questa sarà una settimana di mobilitazione per i movimenti ambientalisti italiani. Dal 5 all’11 si terranno la settimana di ribellione di Extinction Rebellion e la settimana di attivazione di Fridays for Future mentre il 9 ottobre si svolgerà lo sciopero per il clima. Per comprendere le questioni più urgenti, i nodi politici da sciogliere e le strategie adottate per affrontarli, ne abbiamo discusso con: Naida, di Palermo, attivista di Extinction Rebellion; Marco, siciliano residente a Forlì, cofondatore del gruppo locale di Fridays For Future e attivo in Extinction Rebellion; Jacopo, attivista di Fridays For Future nell’area della provincia romana.
I movimenti ambientalisti tornano in piazza a un anno dai primi scioperi per il clima in Italia e dentro una crisi pandemica che ha segnato il 2020. Come vi state organizzando?
Naida: Credo che l’emergenza sanitaria che stiamo attraversando abbia messo in luce in particolar modo due elementi: da una parte, si è trattato di un’ulteriore evidenza – semmai ne avessimo avuto bisogno – di come il cambiamento climatico e lo sfruttamento umano nei confronti della terra abbiano delle conseguenze gravi e a 360 gradi. Dall’altra, è stato interessante osservare la risposta dei governi all’emergenza: per far fronte alla crisi è stata messa in campo una mobilitazione di energie e risorse di stampo quasi bellico. Non che questa sia la risposta che cerchiamo, però, questo ci dimostra che è possibile prendere scelte importanti per cercare di affrontare la crisi climatica e occorre dunque continuare a fare pressione affinché questo avvenga.
Jacopo: Il problema su come fare pressione e creare consapevolezza, cioè sulla strategia di lotta da adottare, è molto dibattuto all’interno dei movimenti. Oggi sono governi e grandi imprese quelli che dovrebbero dare inizio a una riconversione ecologica, e quindi è su di loro che dovremmo fare pressione. L’orizzonte verso cui tendere deve essere quello di un cambiamento radicale delle realtà e delle modalità con cui vengono gestite le risorse e la produzione. Dobbiamo quindi continuare a denunciare con forza i crimini delle multinazionali, far sentire loro il nostro fiato sul collo come è stato fatto al summit di Madrid, per esempio.
Marco: Esistono evidentemente delle istituzioni e delle persone che noi abbiamo eletto a cui dobbiamo chiedere conto per la salvaguardia della nostra salute e del clima. Dopodiché, a mio modo di vedere è chiaro che la semplice pressione non può bastare ma occorre mettere in pratica una disobbedienza civile di massa. Dobbiamo trovare il modo di parlare “ai cuori e alle menti” delle persone, affinché un numero sempre più alto decida di impegnarsi per un cambiamento. Cambiamento che – è questa poi la riflessione che viene portata avanti da Extinction Rebellion – passa anche dall’elaborazione di nuove forme di democrazia.
Uno dei nodi problematici sta infatti nel coniugare il cambiamento sistemico con la responsabilità individuali e l’azione collettiva…
Jacopo: la relazione tra cambiamenti sistemici e il cambiamento di abitudini individuali non è una questione semplice da sciogliere. Io credo bisogna cambiare i propri modi di consumo soprattutto per non essere ipocriti, come persone e come movimento: risulta difficile criticare le grandi multinazionali che fabbricano plastica, per esempio, quando poi si beve tutti i giorni dalle bottiglie di plastica. Tanto più che una cosa non esclude per forza l’altra: tanti e tante hanno sviluppato una maggiore coscienza politica partendo dalla propria consapevolezza individuale. Inoltre, la società in cui viviamo ti spinge a sottovalutare comportamenti e fenomeni diffusi e all’apparenza “normali”, ma che sotto nascondono una grande violenza sistemica. Uno dei compiti dei movimenti sociali è proprio quello di aprirci gli occhi verso questo tipo di fenomeni – come ad esempio fa Non Una di Meno verso il sessismo e la violenza patriarcale.
Marco: Prendere coscienza dei cambiamenti climatici e delle questioni ambientali, ascoltare e capire quanto dicono gli esperti sul tema ha cambiato radicalmente il mio stile di vita. Al di là delle conseguenze personali, il processo interessante è quello per cui attorno a determinati stili di vita consapevoli si creano poi delle comunità e questo genera poi altri cambiamenti e prese di coscienza. Dopodiché è vero che, quando si discute di problematiche ecologiche, si finisce molto spesso a parlare solo di quanto inquinino le bottiglie di plastica e di come dovremmo limitarne l’uso. Questo è un grande limite: così si perdono di vista le reali entità e complessità della questione. Ma soprattutto si perdono di vista i veri responsabili, oltre a magari generare un senso di colpa in chi vorrebbe unirsi alla lotta.
Naida: Il più delle volte poter seguire un comportamento responsabile dal punto di vista ambientale implica essere portatore o portatrice di un privilegio. Io stessa, per esempio, ho la possibilità di utilizzare prevalentemente prodotti biologici, possibilità che a tanti altri è preclusa dal punto di vista economico. Tuttavia, col tempo e con il confronto, ho anche imparato a elaborare il mio privilegio non come senso di colpa ma come responsabilità, come strumento con cui lanciare delle “sfide” a un sistema tossico. Dopodiché, è chiaro che quello del “consumatore verde” è un mito: spesso viene utilizzato dall’alto per farci fare la cosiddetta “guerra fra poveri”, alimentando accuse e astio fra chi invece subisce le conseguenze di decisioni prese a un altro livello. La lotta deve essere verso l’alto, e creare solidarietà tra chi sta in basso.
Ecco, chi sono i “nemici”?
Jacopo: Innanzitutto coloro che negano l’esistenza di qualsiasi “questione climatica”, da Trump in poi… Peraltro, sono questi stessi leader e capi di stato che supportano o non ostacolano aziende e multinazionali inquinanti. Dopodiché, è vero che – come nel caso italiano dell’Eni, per esempio – esiste anche una forte legittimazione sociale verso tali aziende. Il fatto che offrano posti di lavoro a molte persone e che contribuiscano in maniera determinante al fabbisogno energetico del paese fa sì che molti abbiano un atteggiamento “positivo” nei loro confronti.
Marco: A questo proposito val forse la pena di menzionare alcuni studi, fra cui il rapporto Oxfam che mostra come l’uno per cento più ricco della popolazione mondiale è responsabile di più del doppio dell’inquinamento da carbonio rispetto alla la metà più povera del pianeta, oppure lo studio dell’associazione per le economie sostenibile Carbon Disclosure Project del 2017 in cui si evidenzia come il 70% circa delle emissioni di anidride carbonica sia imputabile a cento multinazionali.
Naida: Credo che vada anche smontata la narrativa per cui esista una contraddizione insuperabile fra problematiche ecologiche e diritto al lavoro. Il nostro sistema economico è sbilanciato sotto tutti i punti di vista: l’organizzazione del lavoro di aziende e multinazionale non solo è eccessivamente inquinante, ma va anche a beneficiare – in un ordine di grandezza che definirei “oscena” – di gran lunga i potenti, chi è già ricco. Neanche in questo c’è dunque un equilibrio.
Chi vedete invece come vostri alleati? Con quali lotte ci sono delle “intersezioni”?
Naida: Sappiamo che i cambiamenti hanno bisogno di processi sociali e politici lunghi, che si sviluppano nei decenni e nei secoli. Purtroppo, ora tutto questo tempo non ce l’abbiamo. Ci auguriamo che l’impellenza delle questioni legate al clima e alla sopravvivenza degli ecosistemi possa fungere da catalizzatrice per tutta una serie di differenti lotte per la giustizia, ambientale e sociale. Anche perché, se assieme alla riduzione dell’inquinamento, non si cambiano anche i sistemi politici è facile arrivare all’ecofascismo, a una “salvezza” che esclude i più deboli.
Marco: È più che mai necessario “unire i puntini” delle varie oppressioni. Forse il movimento ambientalista può sviluppare nuovi spazi di connessione tra le lotte esistenti, non certo per intestarsi singolarmente chissà quale merito, ma anzi proprio per sviluppare insieme un fronte di consapevolezza condivisa. Credo che, a livello pratico, ci stiamo lavorando attraverso una miriade di reti informali, assemblee comuni, singoli rapporti di conoscenza…
Jacopo: Esistono delle lotte e dei movimenti che sono legati in maniera evidente alle questioni ambientali e climatiche, pensiamo ad esempio ai movimenti migratori, per cui la connessione è chiara. Poi ci sono altri tipi di questioni, come quella di genere, la cui intersezione con la lotta per il clima risulta meno scontata e necessita dunque di maggiore riflessione. Perciò Fridays For Future sta intraprendendo percorsi comuni di discussione con Non Una di Meno, per costruire forme di solidarietà reciproca tra le lotte. Tuttavia, occorre considerare anche il fatto che lo spazio di attivazione sulle questioni ambientali è nato da poco. Credo anche che molti e molte vi stiano cercando forme di attivismo inedite, slegate dalle forme più tradizionali. È importante allora tenere insieme i due orizzonti: collaborare, essere intersezionali e non perdere il focus sulla lotta per il clima.
Foto di copertina: Gaia di Gioacchino