approfondimenti
ROMA
Il Moses del film e gli “sviluppatori” de’ noantri
Le difficoltà del mercato immobiliare e l’imminente fine del blocco degli sfratti rischiano di gettare sul lastrico, svuotare i risparmi e incrementare l’indebitamento di migliaia di inquilini. Una conseguenza di politiche abitative esclusive e parassitarie
Motherless Brooklyn, 2019 ma uscito precipitosamente dalle sale causa Covid e ora su Sky, recitato e diretto da Edward Norton, è un noir di buona fattura, ambientato in una New York anni ’50 ben ricostruita e fotografata con accenti hopperiani, colonna sonora di Wynton Marsalis, in cui un detective idealista alla Marlowe, affetto della sindrome di Tourette, per vendicare un collega fatto fuori, ficca il naso in una torbida storia di potere e speculazione edilizia.
Cosa ha di speciale e perché ne facciamo oggetto di una considerazione in prevalenza politica?
Non solo perché intreccia un plot poliziesco e amoroso a una vicenda sociale e urbanistica – come altri film Usa (Chinatown di Roman Polanski) o serial (The Wire e The Deuce di David Simon) – ma perché, come il romanzo di Jonathan Lethem da cui è tratto, si fonda sull’archetipo dell’urbanistica distruttiva e del nesso fra genio organizzativo e gestione arrogante del potere, la storia di Robert Moses (qui appena mascherato in Moses Randolph), già oggetto di una dura biografia di Robert Caro, premio Pulitzer nel 1974, e di un importante saggio di Marshall Berman (1982), Tutto ciò che è solido svanisce nell’aria. L’esperienza della modernità, critica del produttivismo prometeico in cui Moses figura come moderna reincarnazione del Faust goethiano, che per i suoi grandi progetti di bonifica calpesta la modesta dimora di Bauci e Filemone, riluttanti all’esproprio, e li fa sopprimere per commissione.
Moses, dagli anni ’20 ai ’60, moltiplicando gli incarichi amministrativi, costruendo parchi, ponti, highways ed expressways e gestendo spregiudicatamente un bilancio di fatto indipendente dalle sovvenzioni statali e municipali e autofinanziato con innovative pratiche di project financing (con i pedaggi dei ponti e superstrade), cambiò la faccia di New York cercando di farne una città a misura di automobili e sventrando i quartieri poveri e i ghetti neri.
Prima di essere contrastato duramente da una campagna condotta dall’attivista civica Jane Jacobs e infine sconfitto alla metà dei ’60, Moses riuscì ad avviare la distruzione del South Bronx, il più spettacolare dei suoi numerosi interventi di “risanamento” in nome del “decoro urbano” e dell’espulsione delle “classi pericolose” e coloured dalle aree residenziali per bianchi agiati. Ma già nell’anteguerra le sue brillanti soluzioni autostradali per il collegamento con Long Island – il paradiso dei ricchi newyorkesi come Gatsby – erano sormontate da ponti ribassati che consentivano il passaggio delle auto ma non degli autobus che avrebbero scaricato sulle pregiate spiagge orde di poveracci, magari neri.
L’edilizia residenziale post-bellica, sulle macerie dei ghetti e delle case popolari demolite, privilegiava i ceti medio-alto borghesi, escludeva i veterani neri e le splendide piscine pubbliche (una delle passioni personali di Moses) erano mantenute a una temperatura leggermente inferiore al normale per scoraggiare (così si credeva) i neri dal frequentarle.
Questa versione “democratica” degli sventramenti mussoliniani e della politica autostradale di Hitler, che univa (non senza intrecci con il produttivismo rooseveltiano del New Deal) gli interessi di Ford e della General Motors con la logica della rendita urbana e della finanza, eccede di gran lunga i meccanismi palazzinari e le scelte pro-Fiat del nostro secondo dopoguerra ma, fatte le dovute differenze di scala, non è tanto lontano dai più dispersi interventi edilizi e urbanistici che sono risultati dominanti anche a Roma, dal ruolo dell’Olimpica e del Gra negli anni ’60, alle composizioni del piano regolatore veltroniano e al conseguente sprawl che impone l’uso dell’automobile.
(foto da commons.wikimedia.org)
Certo, senza le grandi realizzazioni architettoniche e strutturali di Moses o la rete della metropolitana – siamo pur sempre una città coloniale, non la vetrina dell’Impero. Eppure qualche insegnamento possiamo trarlo da quella vicenda e dall’uso retorico e parassitario della “distruzione creativa” che Marx e Schumpeter attribuivano a merito della borghesia imprenditoriale.
Berman attribuisce a Faust la triplice figura di Sognatore, Amante ed Evolutore (nell’originale inglese Developer), preferendolo al termine saint-simoniano “organizzatore”, cui pure Goethe, accanito lettore di “Le Globe” si era ispirato. La grande impresa terminale faustiana era infatti la bonifica dell’Olanda, nell’afflato umanistico-progressista di porre un libero popolo su una libera terra». E Moses, prima visionario e poi Developer, fu anch’egli grande coordinatore di costruzioni, concessioni pubbliche e potere finanziario, usando i ricavati di affitti e pedaggi al posto dei denari di Mefistofele, la città e lo stato di New York in luogo dell’Imperatore, anch’egli assai propenso a offrire al pubblico vasti terreni abbandonati e spesso paludosi (Flushing Meadows) utilizzati per impianti sportivi.
Un meno fortunato “sviluppatore” (per autodefinizione) vernacolare fu da noi Luca Parnasi, che cercò di estinguere i suoi debiti bancari rifilando a Roma e alla “magica” Roma uno stadio con annesse unità residenziali in un’ansa acquitrinosa sotto il livello del Tevere, senza neppure ricorrere ai collegamenti di cui almeno Moses era maestro. Un Moses de’ noantri, a tutti gli effetti…
Ma ben altri pericoli incombono sulla Capitale, che non siano Parnasi e gli altri costruttori trasformatisi da “mercanti di campagna” a palazzinari e infine in “sviluppatori” per i loro legami con le banche e le istituzioni.
Le difficoltà del mercato immobiliare italiano (peraltro non paragonabili al tracollo spagnolo) e l’imminente fine a giugno del blocco degli sfratti adottato per l’emergenza Covid-19 rischiano di gettare sul lastrico, svuotare i risparmi e incrementare l’indebitamento di migliaia di inquilini, non solo suscitando l’avidità di Confedilizia che, oltre allo sblocco, chiede ristori e soppressione dell’Imu, ma invogliando i grandi edge fund come Cerberus e Blackstone ad avventarsi sul mercato italiano come già hanno fatto su quello spagnolo.
Nella stessa direzione spingono l’accordo fra Confedilizia e banche popolari. La presumibile massa di crediti deteriorati collegati ad abitazioni vuote (cittadine e seconde case) che si genera in queste situazioni potrebbe in futuro essere assorbita sottocosto dai grandi fondi speculativi. Finirebbero nelle mani delle banche e soprattutto dei fondi speculativi le case sfitte, le aree urbane da rigenerare, i centri commerciali, teatri, cinema messi fuori uso dalla pandemia Covid, gli esercizi commerciali falliti per lo stesso motivo e che non sono stati presi dalle mafie (che ormai sono fondi speculativi illegali, svolgendo le stesse attività di cattura per debito, usura e riciclaggio di quelli legali).
Qualcosa di simile si è delineato a Milano-Isola con l’intervento dei fondi qatarini e in misura minore a Roma con l’operazione Bnl-Paribas sulla Tiburtina. Ma non sembra ancora la tendenza dominante. Si tratta di forze ben maggiori dei nostri palazzinari (che, del resto, si arrabattano con la finanza, come Parnasi con Unicredit) o delle madamine che aprono la strada con i discorsi sul decoro e l’espulsione dei senzatetto da sotto i portici. Forze che si avvarranno della benevola indifferenza dello stato e delle regioni, che definanziano i programmi di edilizia popolare e di riutilizzo dell’invenduto, della complicità dei comuni, che svendono o mettono a bando il proprio patrimonio immobiliare, di tutti i volenterosi retaker che spianano la strada alle gentrificazione dei quartieri appetibili.
L’art. 5 della legge Lupi-Renzi continuerà a imporre il rifiuto della residenza e il distacco delle utenze per gli occupanti “abusivi”, mentre la sezione non soppressa dei decreti Salvini garantirà, in giusta continuità, una ferma repressione giudiziaria e amministrativa delle proteste e il Daspo per le anime irrequiete e senza dimora.
Giurerei che pure il green del Recovery Plan entrerà nel bottino dei fondi speculativi, non senza l’altruistica copertura di qualche archistar. Già evidente è il ruolo delle banche per anticipare i soldi garantiti dallo stato al 110% per le ristrutturazioni edilizie e qualche zampino potrebbe mettercelo pure la Cassa Depositi e Prestiti.
Sarà il prometeismo collettivo di Blackstone e del nostro dissestato sistema bancario a raccogliere l’eredità di Faust e Moses? Materia di inchiesta, davvero. Ricordiamo però che Faust, angosciato, pentito e cieco sarà tirato su dall’ewig-Weibliche, dall’eterno femminino, e che alla fine Moses fu sconfitto da Jane Jacobs…
Qualche link per approfondire:
Sulla biografia di Moses è possibile consultare la pagina inglese di Wikipedia dedicata. È possibile trovare il testo di Berman qui, mentre a questa pagina è possibile consultare il fondamentale testo di J. Jacobs. Su DINAMOpress abbiamo parlato dell’assalto dei fondi al rovinante mercato immobiliare e bancario spagnolo nell’articolo Casa Delenda Est e in Da casa nasce casa, mentre Napolimonitor se ne è occupato qui. Anche dello “sviluppatore” Parnasi e della tragicomica vicenda dello stadio della Roma abbiamo parlato su DINAMOpress, nello specifico nell’articolo Di che cosa dovremmo parlare quando parliamo del nuovo stadio della Roma e in La partita doppia di Unicredit sullo stadio della Roma.
Immagine di copertina di William da Flickr